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BILYCHNI5
RIVISTA MENSILE DI STUDI RELIGIOSI
Anno X. - Fasc. Ili
ROMA - MARZO 1921
Volume XVII. 3
SOMMARIO
A. CALDERINI : Sacerdozi e Sacerdoti nell’Egitto degli Antonini...........161
M. ROSSI : Che cosa è la Comunione e il Corpo di Cristo ? (sulle tracce di S. Paolo) 173
P. A. PASCHETTO: La Comunione. Disegno (Tavola tra le pagg. 180-181).
Nòte e commenti:
V. MACCHIORO e r.cp.: Otfutno e Cristianesimo . 188 | P-- Cf-HMINELLI: Per una maggiore tolleranza ed intellettualità - Il monumento a G. Rossetti . . . 192 j
Cronache:
Gli avvenimenti di politica religiosa del mese nella stampa . . . . . 194
Rassegne :
G. Ferretti, g. Parazzou, V. Cento- Pedagogia e filosofia religiosa....................¡98
, Rivista delle riviste:
Riviste italiane ....... '. 206
Riviste tedesche............................... 214
La vita dello spirito nella letteratura:
D._ PROVENZAL: Asterischi e note . . . . . 219
Recensioni :
Psicologia religiosa - Biografia - Musica sacra - Santa Sede - Cristologia - Apocalisse - La guerra . . 223
Ansie spirituali d’oggi:
Pensieri di G. Papini, G. Sottochiesa, M. Missiroli 226
Bollettino bibliografico ....... 228
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rii YCHNIS rivista mensile di studi religiosi
-----— < * < < FONDATA NEL 1912 > ► ► ►
CRITICA BIBLICA STORIA DEL CRISTIANESIMO E DELLE RELIGIONI PSICOLOGIA, PEDAGOGIA, FILOSOFIA RELIGIOSE MORALE - QUESTIONI VIVE LE CORRENTI MODERNE DEL PENSIERO RELIGIOSO
LA VITA RELIGIOSA IN ITALIA E ALL'ESTERO - CRONACHE RIVISTA DELLE RIVISTE -> BIBLIOGRAFIA
REDAZIONE: Prof. LODOVICO PASCHETTO, Redattore Capo; Via Crescenzio, 2, Roma.
D. G. WHITTINGHILL, Th. D., Redattore per l’Estero; Via del Babuino, 107, Roma.
Corrispondenti e collaboratori sono pregati d’indirizzare quanto riguarda la Redazione impersonalmente alla
Direzione della Rivista “ B1LYCHNIS ” - Via Crescenzio 2, ROMA 33
Gli articoli firmati vincolano unicamente l’opinione dei loro autori.
Z manoscritti non si restituiscono.
I collaboratori sono pregati nel restituire le prime bozze di far conoscere il numero degli estratti che desiderano e di obbligarsi a pagarne le spese. Per il notevole costo della carta e della mano d’opera la Rivista non dà gratuitamente alcun estratto.
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i 12 fascicoli mensili di “BILYCHNIS”, di pagi 64 l’uno in-8° grande, illustrati, formanti 2 volumi di pag. 384 l’uno;
i 6 fascicoli bimestrali dei Quaderni di Bilychnis. eleganti volumetti in-8° piccolo di pag. 64 (o, se raggruppati, multipli di 64), illustrati, formanti un'insieme di 384 pagine annue.
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l’abbonamento cumulativo col “TESTIMONIO”, rivista mensile delle chiese battiate italiane ;
il bel volume del CHIMINELLI, “ Il Padre nostro „ e il mondo moderno ; l'interessante opera da noi edita. La Chiesa e i nuoci tempi.
CONDIZIONI : IN II PER 1 ANNO ALIA PER 6 MESI ESTERO PER 1 ANNO
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AMMINISTRAZIONE: Via Crescenzio, 2 - ROMA 33
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II TESTIMONIA rivista mensile delle chiE-—- fcdllinWllU gE BATTISTE . ANNO xxxviii . Si pubblica in fascicoli di 36 pagine elegantemente fregiate ed illustrate - Pubblica articoli di propaganda e di informazione sul cristianesimo in genere e sul movimento battista in ispecie - Rubriche spedali: Rubrica dello spirito. Vita ecclesiastica, La pagina dei piccoli. Si propone di fornire ai pastori argomenti per meditazioni e sermoni e di essere largo di notizie sulle chiese battiste d'Italia.
:: :: DIREZIONE: ARISTARCO FASULO - Via Cassiodoro, 1 - ROMA 33 AMMINISTRAZIONE: BENIAMINO FODERA - Via Crescenzio, 2 - ROMA 33 . Abbonamento per l’Italia, annuo L. 5 - Semestrale L. 3
Per l’Estero, L. 10 - Un fascicolo separato L. 0,60
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PUBBLICAZIONI IN DEPOSITO
CULTURA DELL’ANIMA
Borsari R. : Guardando il sole
Burt W. : Sermoni e allocuzioni ................ —
GRATRY A. : Le sorgenti, con prefazione di G. Semeria 5,40
Monod W.: L’Evai^ilc du Royaume ...............io —
— Délivrances . •. . .io— Il régnera..........io —,
— Il vit.......... . . io —
— Silence et prière . . . io—.
Vienot J. : Paroles françaises
Crononcées a 1’ oratoire du ouvre..............3,50
Wagner C.: L’ami . . . 12—
— Justice .;.... io — j
Rivista Propheta (Unica an-1 nata 1914) ..... 5 — I
FILOSOFIA
BLONDEL M.: “ L’ Azione ", Saggio di una critica della : vita e di una scienza della pratica (vol. 1 e lì) .28 —
Della Seta U.: G. Mazzini pensatore ..............15 _
Della Seta U.: Filosofia morale (Vol. I e II)-. . 15 —
1 Ferretti G.: L’Alfabeto c i fanciulli .................2 —
[ Lombardo Radice G.. Clericali e massoni di fronte al problema della scuoia. . . 2 —
: Losacco M.: Razionalismo e Intuizionismo . . . 1 —
! Momigliano F. : Vita dello spirito ed croi dello spirito 8 —
I A e al T H : Vico e l’immanenza 1 —
j— Giovanni Vailati . . . t—
ì Martinelli: Per la vittoria mo-raIe................. 3.50
Papini G.: Il tragico quotidiano 5,50
— Chiudiamo le scuole, 1 —
— La Toscana e la filosofia italiana. . . . *.......1 —
Rensi G.: Sic et non (metafisica e poesia) . . . 3,50
Scarpa A.: La scuola delle mummie . . . . . 1 —
Semprini G. : La morale mistica dell’imitazione di Cristo
. s .. • ’5Taglialatela E.: Giovanni Locke educatore, (per la prima volta tradotto in italiano) . . 4 —
GUERRA E ATTUALITÀ
Bois H.: La guerre et la bonne conscience . . . . . 0,70 Brauzzi U.: La questione sociale ................... —
Ciarlantini: Problemi dell’Alto.
Adige ....... 3,50 Ghelli S.: La maschera dell’Austria . . . . . 6 — Kolpinska A.: I precursori della rivoluzione russa 6 — Maranelli e Salvemini: La questione dell'Adriatico. 6 —-Murri R. : L’ anticlericalismo (origini, natura, metodo e scopi pratici) .... 1,25 MURRI R. : Guerra e religione, Vol. I. Il sangue e l’altare 2 — MURRI R. : Guerra e religione.
Vol. II. L'imperialismo ecclesiastico e la democrazia religiosa .- ....... 2 — — Dalla democrazia cristiana al partito popolare ita). 5 — Puccini M.: Come ho visto il
Friuli . . . '. . 5____
Scar foglio : L* Italica Iugoslavia e la questione dalmata 0.25 Senizza G.: Storia e diritti di Fiume italiana .... 1 —
Soffici A.: Kobilek (giornale di battaglia) . . . . . 3,50 Stapfer: Les leçons de la guerre
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Llb. Ital. 15-IV-20 .
4
Il
Libreria Editrice BILYCHN1S - Via Crescenzio, 2 - ROMA 33
Sui prezzi del presente Catalogo aggiungere il 10 % per le aggravate spese generali. (Deliberazione dell’Ass. Tip. Lib. Ital. 15-IV-20 .
Wilson : Un soldat sans peur et sans reproche (en mémoire de André Cornet-Auquier). 2,30
ZANOTTI-BIANCO e CAFFI A.: La pace di Versailles, I note e documenti (con 20 carte etnografiche e politiche)
TO' —
La Chiesa e 1 nuovi tempi 3,50
Raccolta di scritti originali di. Giovanni Pioli - Romolo Muffì -Giovanni E. Meille - Ugo Ianni j - Mario Falchi - Mario Rossi - , “ Qui Quondam ,, - .Antonino ■ DeStefano - Alfredo Tagliatatela. !
LETTERATURA
Arcari P. : Amie! . . . . 2— | Brauzzi U.; I Luciferi . 5 —- , Bonaria C.: La tenda c la notte*. . . ...... 3.50
Chini M.: F. Mlstral,. .2 — Della. Seta U.: Morale, Diritto ’ e Politica internazionale nel- •
la mente di G. Mazzini. ‘
I.5O
Dell’Isola M.: Etudes sur Montaigne ....... 2,50
F. Momigliano: Scintille dèi I
Roveto, di Stagliene . io — : Gallarati Scotti T. : La, vita di
A. Fogazzaro . . . . . 12 — Jahier P.: Ragazzo . . 3.501 Lanzillo A'.: Giorgio Sorel. 1 —- i Papini G.: Esperienza futurista ;
3,50!
Papini G. : Cento pagine di | poesia..................'5 —
Sheldon : Che farebbe Gesù ? 2 — ì Soffici A.: Scoperte e massacri' (Scritti sull’arte) 5 — |
Vitanza G.: Spiriti e forme del, divino nella poesia di M. Ra- I pisàrdi (conferènze). 1,50
RELIGIONE E STORIA
Buonaiuti E.: S. Girolamo 2 —
Caracciolo I.:'Baglio»! di co-j munismo nella Riforma. La i guerra dei contadini . 6 —
CHIMINELLI P. : Gesù di Nazareth Ediz. . . . 6 -— II Padrenostro e il mondo mo-1 derno ........ 3 —
— Bibliografia della Storia delia Riforma religiósa in Italia
5 —
Costa G.: Diocleziano . 3 — ■ (Profili) Ediz. Formigginh - Politica e religione nell’impero romano.............2 —Cumont F.: Le religioni orientali nel paganesimo romano ........ 0,50
Di Soragna a A.: Profezie di Isaia, figlio di Amos. 7,50
Doellinger I. : H papato dalle origini'fino al 1870 . 30 —
Janni U.: Il dogma dell'Eucari- { stia e la ragione cristiana 1,25 j
Labanca B.: La riforma del | scc. XVI ed il celibato chiesastico . . . . . ’. . . 1 — I
LOISY A.: ,Mors et vita. 2,25 — La palx des nations . 1,50; Ottolenghi R.: I farisei antichi e moderni .... 4 —
PETTAZZONI R. : Là religione primitiva in Sardegna | 6 —
Salvatorelli L.: Introduzione bibliografica alla scienza delle Religioni. . . . . 5 —
— 11 La Bibbia•• Introduzione al-l'Antico e Nuovo Testamento ... . ...... 20 —
— Il significato di « Nazareno ■ ....... 1,50
TYRREL G. : Autobiografia e Biografia (per cura di M. I D. Petre) ...... 15 —
Tyrrel G. : Lettera- confidenziale ad un professore d’antropologia ...... 0,50
Vitanza C.: La leggenda del « Descensos Christi ad ¡jiferos* ....... 1,50
Wenck F.: Spirito e spiriti nel Nuovo Testamento. 0,75
X. La Bibbia e la Critica. 2 — X. Lettere di un prete mo dernista ; . . . . . 3,50
La Bibbia (Vers. Diodati Edi-zioqfr >919) ...... 2,50
Nuovo Testamento e Salmi ad uso. dei vecchi . . . . . 2 —
I Vangeli e gli Atti degli Apostoli (edizione Fides et A
mor).................r.So
1 Salmi (Edizióne Fides et Amor) ...... r,8o
Giobbe, tradotto da G. Luzzi
I,8o
Ianni U.: 11 culto cristiano rivendicato contro la degenerazione romana . . . . 1 —.
Tagliatatela E.: L’educazióne nella Chiesa dei primi secoli • 3/50
Taylor G. B.: Il Battesimo 0,50
VARIA
Almanacco dei ragazzi . 5,50.
Beatrice E.: Origini filosofiche ed economiche dell’attuale letta di classe ; . . . 4,80.
Bar Jona.: Ite missa est 5—.
Carletti A. : Con quali senti-, nienti són) tornato dalla guerra.. . . . . *. . 1,50.
Del Vecchio G. : Effetti morali del terremoto in Calabria se-, condo F. M. Pagano . 2 Majer Rizzoli E: Fratelli e sorelle (Libro di guerra 1915-1918) . '........ 4,50. Merlano F. : Croci di legno 3,50 Niccolini E.: I contadini e la
terra . . .. . . . .. 2,50 Pioli G.: Educhiamo i nostri
padroni ....... 2.50.
Provenza! D. : Carta bollai a da.
due lire . ...... 1 —.
NOVITÀ
RAPINI G: STORIA di CRISTO
680 pagine L. 17 —
5
Ili
Libri raccomandati della Casa Editrice ** BILYCHNIS ”
Via Crescenzio, 2 - ROMA, 33
Il “ Padrenostro ” ed il mondo moderno
di PIERO CHIMINELLI
Bel volume di pag. ix-200, con 7 tavole disegnate dal pittore Paolo Paschetto............... L. 3,50
Per T Estero L. 5 — |
=— La Chiesa e i nuovi tempi
Scritti originali di vari autori sui seguenti soggetti : |. Chiesa e Chiese - Chiesa e Stato - Chiesa e questione sociale - Chiesa e filosofia - Chiesa e Scienza - Chiesa e critica -Chiesa e sacerdozio - Chiesa ed eresia Chiesa e morale
Volume di pag. XXXI-307...........L. 4 —
Per l’Estero L. 6
GESÙ di NAZARETH
Studio Critico-storico di PIERO CHIMINELLI — Di questo bel volume la cui prima edizione fu esaurita in pochi mesi è uscita ora una 2a edizione riveduta ed arricchita di numerosissime note archeologiche e filologiche e di dodici ampie bibliografie. — Eccone i capitoli : Il mondo al tempo della nascita di Gesù - Il Paese di Gesù - La madre di Gesù - Gli anni silenziosi di Gesù - La predicazione di Gesù - Le parabole di Gesù - Gl’insegnamenti di Gesù -I miracoli di Gesù - Le riforme operate da Gesù - L’ultima settimana di Gesù - Oltre la tomba!...
11' volume di pag. xv-483 costa . . . . . L, 6 -z- .
Per F Estero L. 10 —
Il------------- .. ------- .
6
— IV Casa Editrice ‘BILYCHNIS’
Novità
Si è pubblicato in questi giorni 1 importantissimo volume di PIERO CHIMINELLI: Bibliografia della storia della Riforma religiosa in Italia
E un libro la cui necessità era sentita altamente nel nostro paese. Libro unico nel suo genere, esso riporta alle fonti della storia della Riforma evangelica italiana e ne segue le fortune, con rigoroso metodo bibliografico, dai precursori ai tempi nostri. Esso riporta circa 3000 referenze, bibliografiche. • >1 —I
Il volume fregiato d’artistica copertina dell’artista P. Paschetto, di complessive pagine IX-260, è in vendita al prezzo di . . . . . . . L. 5
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Via Crescenzio, 2 - ROMA, 33
7
Anno X - Fasc. 111.
BILYCMNI5
rivistadi sTvdi religiosi
EDITA- DALLA-FACOLTÀ- DELLA-SCVOL A-Jsfè SSSfekTEOLOGICA- BATTISTA-DI-ROMA
ROMA - MARZO 1921
Vol. XVII. 3
Sacerdozi e sacerdoti nell’Egitto degli Antonini
(SECONDO UN PAPIRO RECENTEMENTE PUBBLICAI O)
Hl definire dogmi e credenze trascendentali è bene compito capitale di ogni studio scientifico delle religioni. Ma esso tuttavia non risulta veramente completo se non quando lo studioso abbia indagato, sin nei più minuti particolari, anche l'applicazione pratica delle Stesse teorie religiose, in quelle norme di -vita che, pur cristallizzate in un rito o nelle leggi, per es., di una casta o classe o gruppo sacerdotale, sono assai spesso un indizio non meno prezioso per fissare le caratteristiche di una fede e determinarne gli spiriti e le forme.
S’aggiunga che, se è vero che sopra quei principi astratti della contemplazione agiscono le più varie influenze di vita e di pensiero anche estranee ad ogni fede, coteste influenze sempre meglio si esercitano sopra la pratica applicazione di quelle teorie alla vita, sicché anche per questo rispetto lo studio del rito e del costume religioso è pur grandemente significativo per ricostruire in noi una visione più storicamente esatta del^nomeno che indaghiamo.
In modo speciale il raccogliere le leggi che regolarono in un momento della storia religiosa di un popolo i propri sacerdozi e le istituzioni ad essi collegate fornisce contributi importantissimi fin nei suoi minuti particolari, non solo allo studio della fede in se stessa, ma anche all’ indagine rivolta a stabilire
le caratteristiche di tutta una civiltà e di tutto un paese.
Ogni documento perciò che ci porta notizie di questo genere per i tempi soprattutto di trapasso e di evoluzione, quali sono quelli che videro il tra-
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BILYCHNIS
monto del paganesimo e l’avvento della religione di Cristo, deve essere salutato dagli studiosi, quasi come essi salutano la scoperta di preziosi contributi di nuovi testi filosofici o teologici. Da essi, come da questi, chi vorrà tracciare in una sintesi sempre più comprensiva e profonda le ragioni reali e le vicende* del grandioso conflitto di idee e di vita fra i tempi antichi ed i nuovi, potrà attingere larga materia di utili considerazioni.
Come tenuissimo contributo a una consimile ricerca giovi qui ricordare quanto sui sacerdozi romani nell' Egitto del n secolo d. Cristo è venuto recentemente a rivelarci un papiro berlinese già per molte altre ragioni notevolissimo e annunciato e atteso dagli studiosi di tutto il mondo per ben sei anni, fino a quando cioè nel 1919 lo Schubart (1) si induceva a pubblicarne il testo completo, che solo in questi ultimi mesi per le difficili relazioni internazionali potè inco. minciare ad essere noto più in là della cerchia ristretta della scienza tedesca. Si tratta in questo papiro, che proviene da Teadelfia nel Fajum e a cui viene assegnata all’incirca la data del 150 d. Cristo, regnando l’imperatore Antonino Pio, di una serie di disposizioni emanate già da Augusto e successivamente ritoccate dagli imperatori seguenti e dal Senato, circa le attribuzioni dell’/<z7tf-logo, cioè di un magistrato finanziario, chiamato fra l’altro a sorvegliare le rendite dei templi e investito poi, come del resto è avvenuto in Roma per l'autorità dei censori, dell'incarico di esercitare una certa tutela anche giuridica e morale sui suoi sottoposti, sicché certamente verso il II secolo d. Cristo noi lo troviamo tutto una sola cosa con l’àp^cepiz; ’AXsgftvSps&a; zat Aiyówrou waoìc, che presiede a una gran parte dei culti in Egitto (2). Pertanto dei 115 paragrafi (circa 250 righe), in cui si può suddividere il documento, ben 26 sono esclusivamente dedicate ai sacerdoti romani di Egitto, intorno ai quali le nostre conoscenze non sono affatto così copiose da farci disprezzare un qualsiasi pur tenue nuovo contributo.
S’aggiunga che in Egitto la posizione del sacerdozio di.fronte allo Stato e degna di una considerazione tutta particolare per le sue complesse influenze, non solo morali, ma anche politiche e finanziarie nella vita di tutto il paese
(1) Ber Gnomon des Idios Logos ( — Aegypiische Urkunden aus d. Staallichen Musson su Berlin, Gricch. Urk. V, 1), Berlin, Weidmann, 1919; il testo fu ripubblicato per intiero da P. M. Meyer in Jurislische Papyri, Berlin, Weidmann, 1920, pp. 315 e seg.; per la letteratura dell’argomento che va facendosi ogni giorno più copiosa vedi ora soprattutto Plaumann, Der Idios Logos in Abh. Ak. Berlin, 1918, n. 17 (cfr. Pauly-Wissowa, Rcalencycl. IX, voi. 88 seg.); e le recensioni al testo in Z. S. S, 40 (1919) PP- 37°-1 2' del Mitteis [una inedita ancora dell’Arangio Ruiz apparirà quanto prima in Rass. Hai. di Lette?. Classica}, aggiungi l’articolo dello Schubart, Rom und die Aegypter nach dem Gnomon des Idios Logos, in Zeilschrift /. Aegypl Sprache 56 (1920) pp. 80 e seg. e Lenel c Partsch, Zum sog. Gnomon des Idios Logos, in Silsb. Ak. Heidelberg, Ph.-hist. Klassc, 1920, i<> (cfr. recensione in Aegyptus 1 (1920), pp. 387-9 De Francis«). .
(2) Cfr. PlaumanninPauly-Wissowa, cit. IX, voi. 893eseg.;WiLCKEN, Grundz, I, p. 127.
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SACERDOZI E SACERDOTI NELL’EGITTO DEGLI ANTONINI IÓ3
E noto infatti quale e quanta fosse stata in certi momenti della storia egiziana d’età faraonica la potenza sacerdotale anche prima che assumesse quella forma di teocrazia caratteristica, che si rifugiò poi e si perpetuò nell’Etiopico regno di Napata.
Contro di essa sta la concezione del Re-Dio, cioè di un’autorità religiosa-mente più grande che la classe sacerdotale, e tale che le contrasta il passo a grado a grado e la contiene e la frena, quando non cada invece i^igioniera di essa in periodi più torbidi della lunga storia millenaria, sopraffatta più che da ragioni trascendenti, da esigenze semplicemente militari o meglio finanziarie, avendo come è noto il sacerdozio monopoli industriali, proprietà terriere e rendite innumerevoli nell’unica concorrenza colla potenza finanziaria del sovrano.
I Lagidi, occupando l’Egitto come successori delle dinastie nazionali, non rinnovarono le violenze di Cambise verso le credenze e i sacerdoti d’Egitto, ma cercarono di secondare in ogni modo quella loro autorità locale, che aveva così grande potere sulle cose e sulle anime, e che forse, meglio di ogni altro mezzo, li avrebbe riconciliati, nel favore necessario delle plebi indigene. La debolezza naturale e poi l’inettitudine dei successivi sovrani Lagidi, la loro posizione resa precaria dalle lotte dinastiche interne e contro gli altri sovrani creati successori di Alessandro, le insidie stesse della politica romana, che continuava lentamente la sua pacifica penetrazione in Oriente, senza contare altre cause minori, facevano del dominio tolemaico un organismo che male si sarebbe potuto sottrarre od opporre alla potenza sacerdotale; ma quando con Augusto si stese sull’Egitto, il dominio romano, la mano più ferma dell’arbitro latino, la compagine più salda di istituzioni non già solo locali, ma europee, la potenza enormemente più vasta di una organizzazione che dominava dall’Oceano al mar Nero, dall’ultima Tuie al deserto, poterono concedere al governo di sottrarre gradualmente l’amministrazione e la politica locale alla influenza preponderante dei sacerdoti, che con abile mossa, così nei culti e nei riti, come nell’economia e nelle finanze, fu lentamente circoscritta e poi diminuita, fino a scomparire quasi totalmente. Così mentre sugli altari egiziani salivano accanto e al posto dei culti indigeni dei sovrani Faraonici e Lagidi, i nuovi dèi imperatori, il favore che lo Stato concedeva sempre maggiore alle associazioni di cittadini esercenti il culto, come per es., anziani di villaggi, emanazione diretta del popolo, restringeva via via le funzioni dei sacerdoti, in quanto fossero esclusivi depositari dei culti e delle fedi, e più, dei benefici e dei privilegi che ne accompagnavano l'esercizio ufficiale.
* * *
Il documento nuovo che ci sta intìanzi considera direttamente o indirettamente nove specie di individui addetti ai templi e alle sacre cerimonie e cioè gli i gli GToXwraí, i fzo^oacppay'.GTaí, i nacr<pópot, i Tctyoi (indicati
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BI LYCHNIS
con una perifrasi), e i Pocxof, pure indicati con una perifrasi, i «ruoterai e infine gli Í£pÓ{¿£VOL.
Nè l’enumerazione stessa è priva di importanza, sia per l’esclusione di alcuni nomi sacerdotali che ci aspetteremmo (per es. i zespopópat, gli
i xoajrórai, i vswxópot), sia perchè fissa talvolta le attribuzioni rispettive di alcuni di questi incaricati del culto comparativamente fra loro, sicché alcuni dubbi che avevamo circa le loro attribuzioni sono ora dissipati.
Non è inopportuno anche affermare subito che si deve trattare quasi esclusivamente di addetti ai culti indigeni (come è noto in Egitto coesistevano culti indigeni, greci e romani) (i), perchè una sol volta è asserita l'esistenza di santuari greci fGXX^vucà íepá) per notare che alle processioni (xwparíac) di questi potevano aver parte anche i laici fi 86) (2) ; nè va dimenticato che il nuovo papiro riconosce implicitamente anche 1’esistenza di templi di varia importanza, poiché in un luogo fi 87) parla di Xóytj/.a íspá, cioè di « templi di primo ordine », come erano pur noti per altre attestazioni greco-egizie, non frequenti, ma di singolare interesse per noi (3).
ìeps-j; è termine, come credo, specifico e non generico nel testo di Tea-delfia(4); si tratta di un sacerdote che viene contrapposto specialmente ai woero<pópot fi§ 75» 82, 94, 95) e una volta al «ropwrfc fi 75) e vien considerato ad essi superiore; è notevole poi una distinzione che viene fatta fra due categorie di iepsT;, quelli cioè che sono ammessi al «divino <pàou » e quelli che vi sono estranei fi 71). Di questo misterioso <|»àpu altrove è detto che vi sono esclusi quelli fra i sacerdoti (e in cotesto luogo non sono -designati con nessun nome speciale, ma vi si allude per sottinteso), che siano affetti da ulcera (ecvo;) o da altro male insanabile fi 90); «coloro che in causa di un’ulcera o di una malattia inguaribile sono esclusi dal fàpu,* non ricevono... ma solo gli stipendi». Lo Schubart suppone che tj/àpu (di cui neppure la lettura è certa; essendo per esempio il ¿ assai dubbio) sia « un oggetto di culto a cui erano collegate particolari rendite » ; aggiunge poi che la parola deve essere egizia, ma esclude che abbia relazione secondo gli suggerisce il Moller con il copto stira, « saldo » o
(1) Rimando per queste ed altre questioni analoghe al libro dell’Oiio, Priester und Tempii itn hellenistishen Aegypten, Leipzig-Berlin, Teubner, 1905, che è tuttora ottima guida per queste ricerche.
(2) Otto, op. cit., I pp. 94, 165, 385; nessun documento finora, che io sappia, parlava di esclusione assoluta di laici dalle sacre processioni, neppure da quelle indigene; ora qui l’attestazione del papiro porta a credere che invece vigessero disposizioni di questo genere.
« J3) Cir- Orro' op- cit - 1 2 PP- 18-19 e aggiungi P. Tebt. 2985 (del 107-8 d. Or.): P. Tebt. 2925 (del 189-190 d. Cr.). '
SU Mbyer (Jur. Pap. p. 336) parrebbe di. opinione diversa; la mia asserzione a sul confronto fra i §§ 74 e 75 (cfr. Otto, op. cit. I, pp. 91 e seg.); in ogni modo è certo che nel complesso del documento <«?«?« non potrebbero essere al più he 1 « sacerdoti maggiori ».
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SACERDOZI E SACERDOTI NELL’EGITTO DEGLI ANTONINI
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con caipg'.v «ordinare», come vorrebbe il Sethe ricordando il passo di Plutarco (Z>/ Iside et Osiride, 29) in cui si vuol dare una supposta etimologia del nome Serapide. Comunque sia da risolvere la questione particolare, a me preme di avvertire che le prescrizioni qui notate vietano in modo perentorio che possa essere addetto a questo speciale culto un sacerdote che non abbia singolare purezza di corpo, anzi, secondo il §71, si sarebbe ' indotti a credere che oltre a ciò anche la necessità di particolari iniziazioni dovesse limitare il permesso di questo culto ad una parte scelta degli éspe%. Tutto questo appunto bene concorda con la meticolosa cura sia della nettezza del corpo sia della purezza interiore che contraddistingue nelle prescrizioni rituali il sacerdote egizio di ogni tempo (1) e caratterizza così, già nella classe sacerdotale più antica, i maggiori depositari de! pensiero religioso egiziano.
I ben noti come appartenenti ai massimi sacerdoti egizio-greci (2),
appaiono qui contrapposti anch’essi ai Tracro^ópo’. (§ 88); di essi si dice anzitutto, oltre ad altro cui alluderemo fra poco, che la loro presenza è obbligatoria in ogni tempio che possieda un vaó; (§ 79); e poiché pare certo che per vxó; si debba intendere la cella stessa trasportabile in cui era custodita l’immagine singolarmente venerata di un dio (3), ne risulterebbe che la funzione specifica dei profeti all’età degli Antonini fosse la custodia e la tutela di quei templi in cui appunto codeste immagini che erano oggetto di culto più devoto attraevano maggior folla di fedeli e quindi offerte più copiose; di esse- poi, dice il nostro papiro, un quinto toccava appunto ai profeti.
A sostituirli potranno eventualmente intervenire, afferma altrove il documento, gli «ToXwrai (§ 80), quei sacerdoti cioè, che, come sappiamo, erano in origine particolarmente addetti a vestire le statue divine, e dovevano poi generalmente provvedere alla conservazione e all’ incremento dei magazzini del tempio, contenenti oggetti cultuali; rileggendo perciò ora la definizione di profeta'.
quale si trova in altri testi già noti (4), siamo in grado di meglio intenderla e di constatare pure che essa veniva applicata fino al punto di concedere che lo rcoXwrw potesse, forse nei templi minori (dove non erano vaoi?), sostituire il profeta.
I y.or/wpx'fiTxi, cioè i sacerdoti incaricati di scegliere e d’imporre il sacro sigillo agli animali adatti per il sacrifìcio, sono pure ricordati nel nostro pa(1) P. cs. Erman* Pellegrini, Reìig. Egizia, pp. 69, 205.
(2) Cfr. Otto, op. cit. I. p'. 82; vedasi specialmente il passo di Clem. Aless., Strom VI, p. 758, dove è chiaramente indicata la funzione del profeta nel tempio egizio-greco: cfr. anche The Tebtunis Papyri, II, p. 55.
(3) Vedi il noto passo di Diodoro, I, 979-ioe Otto, op. cit., I, p. 94, n. 1; p. 332 1 ,Otto' °,pk p> 83< n> e, vedi anchc pTebt. 292 9-xo (189-190
u. Cr.); P Tebl. 393= (187 d. Cr.); e per altri foa&oxct sacerdotali osserva p. es. P Gen 36; P Tebt. 3134.
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piro (§ 87) il quale in un passo dei primi in ordine di luogo (§ 72) non manca di ripetere il divieto a sacrificare vitelli non contrassegnati, pena una multa di 500 dr.
Dico subito che il nuovo documento distingue nettamente i ftocxoaftoaywTa' dagli cTokiarac e ciò contrariamente a quanto era disposto a crédere l’Otto nella sua classica opera (1); ed aggiunge l'importante notizia che essi non dovevano essere assunti se non dopo una prova sostenuta « presso i maggiori santuari », dove evidentemente la loro arte cosi indispensabile per il buon esito del sacrificio riceveva una più completa preparazione o almeno la sua sanzione ufficiale. Il divieto pòi di cui sopra viene in buon punto a confermare quanto si leggeva in un papiro quasi contemporaneo a questo : « essere cioè stato decretato nel 122-3 d. C. da parte appuntò dell’ Idiologo che nessun animale venisse sacrificato senza l’ ispezione del (2) ».
I Kacvooópo'. sono chiaramente e più di una volta contrapposti e agli Upsì; 6§ 75. 32, 95) e ai rcpofijTa: (§ 88); anzi è fatto loro esplicito divieto (§ 82) di designarsi come c£p£ì< e di prendere il posto di questi nelle sacre processioni (SS 54. 55)- Altre differenze di doveri e di costume fra ^ac’ooóco’. e ispsì?, che noteremo fra poco, riconfermeranno sempre meglio nell’opinione che essi siano ancora i tipici rappresentanti nell’Egitto romano dei «sacerdozi minori ».come del resto anche gli autori ci lasciarono intendere chiaramente (3). Di fronte ad essi ispsì?, -po^/j-ac, eroderai e forse aocxcoopayicTai, come già appariva anche dalla tavola Canopica e Rosettana, rappresenterebbero invece i « sacerdozi maggiori» (4).
Il nuovo papiro fa anche un breve cenno a quelli che altrove si convenne di chiamare Tctyoc, ma che il testo qui chiama «oi Sa»TOVT£$ tz iepz ?$*>, i «seppellitori degli animali sacri » (§ 93); di essi si dice, e l’attestazione è forse tra le più notevoli finora apparse che li riguardino (5), non essere lecito loro di fare il profeta, nè di portare il vxó; (leggi, di « essere pastofori »), nè di entrare nell'altra categoria di sacri impiegati che qui pure vengono nominati, cioè i Soczoc, « nutritori dei sacri animali » (6).
SOtto, op. cit., I, pp. 84-5.
Wilck-, Chresl. 87 ( — BGU. 87); vedi del resto i documenti che attcstano l’attività di cotesti impiegati templari in Wilck., Chresl. n. 88 ( = BGU. 356, del 213 d. Cr.) n. 89 (del 149 d. Cr.) e aggiungi forse PSI, 4549 (del 320 d. Cr.); vedi poi Wilcken.
I, p. 396; Grundz. I, p. 126; Wessely, Karanis pp. 61-2: Otto, op. cit., I. PP- 62-3.
(3) Porphyr., de abst., IV, 8; vedi anche Otto, op. cit., I, pp. 94 e scg.
(4) Per tutto questo rimando a Otto., op. cit., I, pp. 75 e seg pp. 94 e seg.; Schu-bart m Zeilschr. Aeg. 56, p. 92; è utile anche esaminare P Oxy. 1144 (del Io II sec. dopo Cristo).
(5) Cfr. Otto, op. cit., I, pp. r.09 e seg.
(6) 11 testo non usa questo termine, ma dice che gli impiegati di cui qui si parla non potranno rpfeuv «epà circa questi popxoc vedi Otto, op. cit. I, p. ni.
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SACERDOZI E SACERDOTI NELL’EGITTO DEGLI ANTONINI 167
Il papiro di Teadelfia ricorda anche fra gli addetti al tempio un impiegato che non appariva finora in altri testi, cioè il Gupwrrfo considerato fra l’iepeóc e il -acTÓcooo; (§ 75). La sua menzione è assai importante per varie ragioni, anzitutto perchè rimette in discussione il problema, se i suonatori del tempio, altrove detti anche w3of, éspo4/a^ca'., ecc. fossero considerati come sacerdoti, secondo asserisce Clemente Alessandrino (Strom. VI, p. 757) (i) o come estranei; il nuovo testo mi pare dia ragione al filosofo antico o almeno confermi senza dubbio possibile che fra gli impiegati fissi del tempio v’era pure il suonatore di siringa, come elemento necessario del culto. La menzione del cvpurrfc fra gli addetti templari più importanti del secondo secolo d. Cr. ci permette inoltre di aprire una pagina nuova intorno alla musica sacra nel tempio egizio-romano: finora infatti era noto il largo uso degli strumenti a fiato fatto dagli Egiziani nelle cerimonie pubbliche sacre e profane (2) ; e l’uso del doppio flauto si affermava risalire fino all'antico impero; ora noi apprendiamo dal nostro testo che il suonatore di siringa, sotto il qual nome è forse da intendere anche il più consueto auleta, veniva considerato fra gli addetti del tempio, non in un documento che emanasse da un singolo luogo di culto, ma nella tariffa stessa del soprintendente ai sacerdozi e ai templi d’Egitto (3).
Una parola che susciterà ancora lunghe discussioni fra gli studiosi è quella di csotouevo'., che troviamo anche nel nostro papiro (§ 91). L’Otto (4) l’aveva interpretata dall’esame di pochi testi superstiti come se significasse « individui in attesa di esser creati sacerdoti». Il Wilcken (5) dall’esame di un papiro dell’Eracleopolite, dove già si parlava di una «cura sacra» (S^tncsca) di '.epw’zsvoi, e dove questi erano appena distinti dagli sosteneva che erano già in qualche modo sacerdoti. Il testo nuovo mi pare possa risolvere la questione nel senso che gli iscójzevoi siano dà considerarsi come addetti al tempio, ma esclusi dagli ordini sacerdotali, una specie di laicato conventuale dei nostri tempi, rispetto a coloro che hanno preso gli ordini. Il passo infatti di cui è questione, a mio avviso, dice così (§ 2) : < I figli che sopravvengono a coloro che sono cep^cisvoc, non diventano cspójzsvot. I figli che siano nati da un sacerdote (ispsó?) prima di una sua condanna, hanno diritto di sostituirlo; i figli nati dopo diventano tspó^svot ». Ne dedurrei che gli iscóp.evoi sono individui
(1) Cfr. Otto, op. cit., I, p. 90.
(2) Vedi Grassi in Studi Scuola Papirol., Ili (1920), pp. 1x7 e seg. e le memorie ivi citate.
(3) Il termine avptoric è qui unico, che io sappia, nei papiri; conosco ancora, enumerato fra altri strumenti musicali un oupwarpiòto'» in BGU. 1x25-3-25 (del 13 av. Cr.); cfr. POxy. 326 verso: Ttpxft) «upt() (del 45 d. Cr.); d’altro canto sì sa però che la siringa anche nei riti greci era non molto frequentemente usata; cfr. Da-remberg-Saglio, Dici. d. ant., s. v. Syrinx; vedi però Luciano, de dea Syria 43.
(4) Otto, op, cit., I, p. 216.
(5) Wilck., Chrest., 87-8 (234 d. Cr.), e vedi p. 101.
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forniti di un privilegio minore in confronto di quelli che possono accedere ai sacerdozi (i), privilegio che non si estende più ai loro discendenti.
Sarebbe infine anche da ricordare fra i nomi degli impiegati templari del papiro di Téadelfia, anche una misteriosa parola, xTjzpcgpTo; (§ 92) (2), che allude anch’essa a individui esclusi dalla possibilità di diventar sacerdoti. Allo Schubart e al Meyer (3) sembra un termine allusivo a impiegati templari, ma, di fronte alla assoluta incertezza della lettura, preferisco non insistere su ipotesi che sarebbero troppo mal certe.
Ciascuna di queste cariche sacerdotali è poi nel nuovo papiro caratterizzata da alcune norme che ne regolano le attribuzioni e i doveri ; e anzitutto circa l’esclusività di esse cariche si afferma (§ 71) che «agli ccpslc non è lecito dedicarsi ad altro ufficio all’infuori del servizio degli dei», mentre altrove, e questa costituisce una differenza capitale fra le due cariche, si osserva (§ 85) che « ai pastofori è lecito dedicarsi agli uffici privati >. L’affermazione ha per me grande valore, perchè mi par di vedervi una recisa smentita a quanto i testi finora noti sembrava ci lasciassero intendere circa gli uffici estranei, pubblici o privati, ai quali il sacerdote poteva dedicarsi. L’Otto infatti da un’analisi accurata di singoli passi antichi deduceva conclusioni affermative circa questa partecipazione dei sacerdoti a cariche civili, pure essendo esitante assai in più di un caso in cui altri giudicava con maggiore risolutezza (4).
Qui il nostro documento con chiarezza cristallina afferma un divieto assoluto per una classe di sacerdoti e la libertà non meno assoluta per un’altra classe ; sicché, malgrado si possa considerare la legge come non priva in pratica di molte eccezioni o fors’anche determinata essa stessa dall’esistenza di soverchi
abusi, tuttavia può spiegarsi appunto con questa sua distinzione la possibilità che i documenti superstiti, finora solo incompleti e frammentari, abbiano potuto indurre gli studiosi alle più diverse conclusioni.
È pure notevole quanto dice il papiro intorno alle vesti e all’acconciatura
sacerdotale, che, come si sa, avevano richiamato già l’attenzione di Erodoto, il quale affermava (II, 36-37) «che i sacerdoti egiziani ipée; erano rasati e non portavano che vesti di lino » (5).
Nel papiro si conferma a distanza di secoli il persistere di codesta tradizione antichissima, ancora nell’Egitto degli Antonini, perchè esso appunto prescrive (§ 71): «agli iepe% non è lecito di presentarsi in vesti di lana nè di
6, pp. 94-5.
(1 Schubart, in Zeitschr., Aeg. Spr., v
(2 La lettura è assai incerta, invece de. * pvuvuuc votivi % oppure che se ue è poco sicura; incertezze sono anche in altre parole del paragrafò.
(3 Junst. Papyri. p. 337.
cl x potrebbe esservi £ oppure v; c anche r.
(4!
Jurist. Papyri, p. 337.
Otto, op. cit., "
., II, pp. 185-195; Wessely, Karanis, p. 67.
w -.... .r..... I, p. 63; II,pp. 78-9; Wessely, Karanis, p. 66. Cfr. pure Diod.
1 Lut., Mor., p. 352; De'Isid. et Osir., 4; cfr. per i sacerdoti ebraici Exod. 39, 27-29.
te
Otto, op. eit.» I, p. 63:
3- 3;
&
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' SACERDOZI E SACERDOTI NELL’EGITTO DEGLI ANTONINI 169
portar chioma » e più oltre {$ 76) si minaccia al trasgressore la multa di mille dramme, che, come si vedrà, comparativamente ad altre multe, è la più grave ed è per es. molto superiore a quella che viene comminata al sacerdote quando trascuri i suoi doveri sacri.
Del massimo interesse è poi il $ 81 che suona così: p.ovwroo. [.] . ai èjòv tò -rffc àtxawrów; oopeìv: «solo al... è lecito portare il contrassegno
della giustizia»; l'integrazione possibile è «al profeta», ma, secondo
•lo Schubart e il Meyer è poco possibile, perchè «il segno della giustizia», la penna della dea Maat veniva in effetto portata dai “T/ipoc>ópoi (1).
Più recentemente il Möller (2) proponeva di integrare ^poéSpw « al capo » e sottintendeva tÖv Sizzctöv « dei giudici », e ciò in base all'osservazione che appunto il simbolo della dea Maat (3), proprio della giustizia e della verità, veniva portato dai giudici ; e lo Schubart (4) approvava sotto il punto di vista paleografico la nuova lettura e quindi si dichiarava conquistato anche dalla nuova j interpretazione. A me par di osservare che, essendo i paragrafi del testo che esaminiamo dal 71 al 97 inclusi, tutti riferiti ai sacerdoti e alle norme che li riguardano, mentre altre parti del papiro sono ordinatamente dedicate ad altri magistrati o impiegati, mi parrebbe poco spiegabile l'intrusione di questo articolo estraneo ; preferirei pertanto spiegare col Möller il « segno della giustizia » come quello ben noto dei giudici-capi, ma lo attribuirei ugualmente al profeta, ad indicare appunto una tal quale sua funzione giudiziaria nell'ambito del tempio; dice infatti fra l’altro di lui il noto passo di Clemente Alessandrino (Strom. VI, p. 758) in cui se ne specificano le attribuzioni, r.z&.i'/z’. crepe twv VÓJ/.WV, « si occupa anche delle leggi ».
Sono significative ed uniche/o quasi finora per noi le disposizioni date nel nuovo papiro circa le multe, comminate ai sacerdoti che non hanno fatto il loro dovere; si passa da un massimo di 1000 dramme imposte, eomc s’è visto, ad un íepeú$ che ha indossato abito di lana e portato chioma (§ 76), fino ad una multa di 500 dramme per un ésosuc che ha sacrificato animali non contrassegnati (S 72); ad una di 300 dramme più, come pare, la perdita delle rendite straordinarie ad uno statista che abbia trascurato i suoi doveri (§ 74); di 200 dramme ad un cepeó; negligente (§ 75); o di 100 dramme rispettivamente a cupwrac e a pastaforì pure negligenti (§ 75). La graduatoria delle multe indica l’importanza relativa dei vari sacerdozi e la diversa gravità delle singole colpe. Si noti poi la contraddizione evidente fra la disposizione del § 76 che fissa in 1000 dramme la multa dello iepeó; che veste di lana e porta chioma, e quella del § 75 che
(i Otto, op, cit., I, pp. 86 c scg.
(2 Zcitsch. Aeg. Spr., 56, pp. 67-8.
(3 3- 54 della classificazione di Holzhauscn. '
(4 Zetschr. Aeg. Spr., 56, p. 92.
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V<> allo stesso sacerdote fissa la multa di sole 200 dramme per l'uso di vesti di lana, senza parlare più dell’acconciatura del capo. Non è credibile che 800 dr. fossero riservate come multa solo per la mancata tonsura, tanto più che i due articoli sembrano assolutamente indipendenti l’uno dall’altro. La contraddizione, che lo Schubart non ha rilevato finora (1), mi pare invece un eccellente argomento in appoggio ad una tesi che già da lui prospettata, ha trovato conferma in altri studi successivi anche solo parziali (2), che nelle disposizioni cioè di cotesto documento siano entrati quasi per tradizione ordini e leggi che risalgono a varie età successive della vita religiosa egiziana (3).
Multe sono pure fissate, evidentemente ai sacerdoti, per il mancato invio di stole all’apoteosi di un Apis o di un Mnevis (§ 89); si tratta di una disposizione forse anche assai antica (4), che è collegata coll'esistenza in monopolio presso ¡ templi della fabbricazione del bisso: il papiro nostro conferma ora in modo esplicito cotesto obbligo di inviare a Memfi e ad Eliopoli il sudario funebre per le sacre bestie, obbligo che già si poteva supporre, ma non asserire in modo assoluto leggendo talune ricevute appunto del il e del ni secolo dopo Cristo che attestano l'invio di questa merce da parte di sacerdoti di Soknopaiu Neso e di Tebtunis (5).
Assai notevoli sono anche le regole sancite dal nuovo testo per le nomine sacerdotali. Esse impongono che la carica di stilista sia vendibile (§ 80), mentre quella di profeta sia talvolta vendibile, nel qual caso non è ammessa la scelta (§ 78), in certe occasioni ereditarie, e allora non può essere diversamente disposto (§ 77). Coleste norme sono di grande importanza per risolvere con chiarezza il problema delle nomine sacerdotali nel II secolo d. Cr., anzi la prescrizione della vendita obbligatoria della carica di stilista è tale da recarci non poca meraviglia; la disposizione invece che lascia la carica di profeta ora in arbitrio delle famiglie sacerdotali, ora aperta alla concorrenza di estranei, nasconde forse un fine politico della diplomazia romana, cosi abile a concedere ai popoli soggetti quanto non poteva diminuire il proprio effettivo predominio, e altrettanto accorto nell’introdurre quelle nuove disposizioni, da cui potesse venire solidamente rafforzata la propria autorità. Una particolare difficoltà è rilevata dallo Schubart (6) nel termine aepset;, che io ho tradotto « scelta » e che si legge nel § 78, là dove si accenna alle ttooqtiteù« vendibili.
(0 Si potrebbe pensare anche ad un errore del copista, ma pare che le cifre siano chiaramennte leggibili.
(2) Per conclusioni simili, rilevate nel campo giuridico, vedi Lenei Partsgh, opera citata.
(3) Zeilschr. Aeg. Spr., 56, p. 89.
(4) Ibid., p. 94.
(5) Wilck., Chresl. nn. 85, 86; cfr. Otto, Priester, I, p. 301; Wilck., Chresl. 1, P- 105-123.
(6) Zeitschr. Aeg. Spr., 56, p. 91.
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SACERDOZI E SACERDOTI NELL’EGITTO DEGLI ANTONINI I7I
Egli infatti, dopo di avere osservato che la disposizione del papiro ivi contenuta, del duplice modo cioè di nomina dei profeti, trova conferma in parecchi documenti superstiti (i), nel leggere poi il testo: ai Ss wpaSsTcac (scil. -G0®7)TS?a'.) òsckó; xac jzn so’acosG'. -pa?ai ewiv, che egli traduce « sono poste in vendita semplicemente e senza-bando {schlechtweg und nichtauf Grumi von Angebot), trova strano che si parli di una vendita pubblica di cosa pubblica per cui si faccia divieto di fare bando regolare. Propone in conseguenza l’abolizione di e la versione: « son poste in vendita in seguito ad un bando ». Conviene però a mio avviso, prima di sottoporre il testo ad una così radicale modificazione, che male si giustificherebbe come un errore di trascrizione del copista, conviene domandarci sé aipscc?, la parola che fa veramente difficoltà allo Schu-bart, oltre che significare «bando, richiesta, offerta» (2) non si trovi anche nel senso di « esame, cernita, scelta > (3), come avviene infatti e anche in papiri quasi contemporanei. Ne concludo, senza alterare il testo, che qui il papiro disponesse, non doversi per le cariche di profeti non ereditarie procedere ad altro che alla semplice vendita, con criteri dunque esclusivamente finanziari, senza la possibilità di scegliere, di dare cioè la preferenza a chicchessia, che non fosse, s’intende, l’offerente migliore.
Circa 1’asSegnazione dèi sacerdozi importa notare anche quanto dice il papiro non solo della nomina dei (§ 82). di cui s’è già parlato,
ma anche circa la norma: «laici non possono avere in potere (¿zixtsTv) cariche sacre » (§ 96), in cui par di vedere contraddizione con l’altra disposizione, che abbiamo più sopra ricordato, essere ai pastofori concesso di occupare cariche estranee al loro ufficio sacro (§ 83) (4) ; se non che ad ¿z'.7.parsTv darei qui il senso di « dominare » (5) e intenderei che il testo volesse avvertire non essere lecito ad un laico avere direttamente o indirettamente alcuna prevalenza sull’autorità di un sacerdote, in modo che o un sacerdote gli fosse soggetto o che egli assumendo tale carica potesse considerarsi prima laico che sacerdote.
E prevalenza di diritto sacerdotale è pure nella norma del § 84, secondo il
(1) Vedine la lista in Zeilschv. cit. a p. 91, n. 2 e cfr. Otto, Priester, I, pp. 2o£, 209, 229; II, p. 291, n. 3; p. 328; e Plaumann in Pauly-Wissowa, Realencycl., IX, P- 895.
(2) 1x3« Plebi. 27«; X31PBGÌ/. 1047, IVix; 137* P Oxy. 72941; 151? BGU. 889x5 161-2* BGU. 9049; 178* P Oxy. iiX7xx; 1864 P O*y. 237 V41; 186* P Oxy. 716»; II BGU. 6564; lì BGU. 890 II7; 218* BGU, 1070«; 222P P Oxy. 1630,; III PRyl. 417 ir. 7, xi, ’6, 23; 359P BGU. 316».
(3) 26oP POxy. 127339 (contr. matrici.): a'pect;; 270-5 POxy. 1414x9; xepi
a-.otatw- x«?«ko|ix£v ; 282P POxy. 1638x8: r«?« ì*Y,Y?*$*èuv®‘« ai aipÉaiatv, cfr. 267P POxy. 907.
(4) Zeitschr. Aeg. Spr., 56, p. 95.
(5) E troppo noto il significato giuridico di «xcxpanv», come affermazione di proprietà reale, per il che vedi Lewaldt, Grundbuchrechi. p. 78 e PRyl. II, p. 173; i papiri ce ne offrono quasi una quindicina di esempi dal 1 al 111 sec. d. Ór.
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172 BILYCHNIS
quale alle figlie dei sacerdoti erano riservati particolari benefici, quali, per es., erano quelli dell’assegnazione del vitto giornaliero, indicati appunto già nel celebre decreto di Canopo (f ).
Appaiono invece esclusi dagli ordini sacri il misterioso del § 92,
e dalla carica di profeti, di .Soszoi e forse di pastofori, i rxooi, come s’è visto secondo il § 93. Inoltre in un articolo speciale è pure disposto, che se i santuari difettano di uomini sia lecito di assumerne per le processioni, da templi forse di uguale grado o di ugual nome, disposizione che ha oltre che una importanza religiosa anche un’ importanza finanziaria e fiscale, in quanto l’intervento dei sacerdoti fuori del loro tempio importava un onere finanziario speciale o in caso diverso doveva imporsi come atto di imperio, come un’estensione dei doveri sacerdotali in forma inconsueta (2).
Al quale proposito non sarà da dimenticare che circa le rendite in denaro o in natura della classe sacerdotale (3), il papiro dispone : che uno statista (§ 74) riceva rendite particolari, probabilmente sulle offerte ; che (§ 79) un quinto delle rendite templari spettino al profeta, là dove esiste questo sacerdote; che (§88) le vittime sacrificate nel banchetto sacro devono essere gustate dai pasto/ori e non dai profeti (4); e tutto ciò con singolare connubio di sacro e di profano, che è caratteristico del resto dei riti e dei costumi di ogni religione e di ogni sacerdozio.
* * *
Per tal modo il nuovo papiro di Teadelfia è di quelli che recano un contributo veramente decisivo a molte questioni piccole o gravi, che riguardano la vita religiosa egiziana nel li secolo d. Cr. ; nè io saprei dopo questo pur tenue saggio licenziare il lettore, che mi avesse seguito fin qui, se non facendogli rilevare il singolare privilegio di questa scienza dei papiri, che ha la possibilità di proporsi ogni più audace problema di studio, con la speranza sicura che dalle migliaia di testi, che continuamente si scoprono, esso venga, quando che sia, interamente risolto.
Milano, ottobre 1920.
Aristide Calderine
(1) Strack, Dyn. d. Ptoletn., n. 38,11. 70-72; Otto, op, cit., Il, p. 35, c Schubart in Zeitschr. Aeg. Spr., 56, p. 93., n. 3, dove 7/?« viene inteso appunto come yip« rpojtia.
(2) Zeitschr. Aeg. Spr., 56, p. 93.
(3) 11 § 73 prescrive poi che non si possano dare in seconda ipoteca le rendite sacre.
(4) Wilck., Chrest., n. 99; e Schubart, in Zeitschr. Aeg. Spr. 56, p. 93; circa il § 97 che non interessa qui direttamente rimando non senza riserve a quanto scrive lo Schubart, ibid., p. 95.
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CHE COSA È LA COMUNIONE E IL CORPO DEL CRISTO?
(sulle traccie di s. paolo).
S. Paolo e i cattivi comunicanti di Corinto (7 Cor. XI, 17-34) — Non verso la croce ma verso il ritorno del Signore è orientato il rito: < Finché Egli venga » — È principalmente un banchetto — Nel mondo della teologia e del rito: La mentalità dell'Apostolo e la presenza reale del Cristo — Agape ed Eucarestia -I nomi: Cena del Signore, S. Cena, Fractio pañis. Eucarestia, Comunione. —Secondo lo spirito: È il mistero dell'amore e dell'unione: il vero corpo del Cristo — La comunione indegna secondo Paolo — La vera preparazione — La rinnovazione negli inni, nell'atteggiamento. — Il mistero dell'unità — « Questa è l'ora del banchetto e del canto ».
Al proj. E. Buonaiuti,
Mi giungevano contemporaneamente nel mio volontario esilio la notizia della tua scomunica c il fascicolo di Religio con l’articolo tuo che l'ha provocata. Sì, d la condanna del tuo sforzo d’accordare la libertà dello studioso e l’onestà dell’insegnante con il regime autocratico e teologico di Roma che caratterizza la tua ultima fase di attività in seno alla Chiesa! — Ricordo. Era la fine del lungo estenua ntc periodo di scoramento, di incertezze, di silenzio rispettoso debile coscienze deboli dopo la vivace nostra lotta modernista. Decisi ad uscire da quel marasma spirituale in un regime di sospetto e in un periodo di decadenza generale del pensiero dello spirito e della politica in Italia — l’Italia degli anni immediatamente prima della grande guerra! — non vedemmo altra via che la via deH’insegnamento, modesta forma di apostolato intellettuale. Così tu salivi la cattedra di storia del cristianesimo al-(’Università di Roma ed io cominciavo l'insegnamento del greco c della letteratura ncotestamcntaria alla Facoltà teologica Battista a Roma. Ci separammo. — Ci raccogliemmo, noi dell’esilio, fidenti intorno al Bilychnis — io li avevo preceduti nel-l'espe ri mento — l’unica rivista che dopo il tragico fallimento di tutti gli organi della coltura religiosa moderna in Italia combattuta dai teologi e dai politicanti della Curia, tenesse alta la bandiera della coltura religiosa in uno spirito di libertà e di rispetto delle coscienze, ignoto fin allora in Italia e frutto delle più pure tradizioni del Bàttismo.
Continuammo, modestamente e in altri modi, quella forma di attività che tu con noi negli anni più belli della lotta modernista, che non potrai ricordare senza commozione. riconoscevi valido mezzo per scendere nelle anime, per rendere accessibili nel fuoco di una esperienza religiosa rinnovatrice quei risultati e quei metodi della critica storica nel campo delle religioni che ci davano un'intelligenza migliore dei fenomeni religiosi e ci offrivano le possibilità e gli élementi per una reinterpretazionc valida ed attuale dei valori eterni dell'anima,e del cristianesimo. Tu ti restringevi nel campo della pura scienza, che ti sembrava più sicuro e neutrale. Noi sentivamo invece di non poter rinunciare al nostro passato in cui insieme con te avevamo peccato fortemente c perdutamente nel campo della mistica c della nuova interpreta-
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zionc religiosa. Avevamo voluto con te, fra l’altro, che il pulpito cristiano ritornasse ad essere la più grande forza di risveglio in seno ad una società religiosa e accanto al lavoro strettamente scientifico avevamo cercato di destárelo spirito del profetismo, il senso sociale della religione, l’interpretazione viva del Vangelo nella speranza dell’attuazione del Regno, per cui noi, senza averne coscienza rinnovavamo lo spirito e l’opera degli Spirituali e degli Anabattisti del 500. Nova et Velerà del 1908 e Prophetà del 1914 sono dei fratelli nello spirito.
Tu lo sai: il lievito è dato dallo spirito mistico, profetico, dal portare nel campo dell’attività pratica e per interpretare di nuovo le vecchie istituzioni ecclesiastiche c rituali, i problemi fondamentali dell’anima religiosa sempre aperti. Non tutti possono attraverso l’ampio deserto arido della critica storica e filosofica arrivare al cuore dei problemi che la moderna ricerca religiosa ha aperto. Molti di quei risultati, di quelle vedute vitali presentate così nella loro veste scientifica, avulse dal punto, di partenza dell’esperienza originale che le ha provocate, fanno paura come cosa forestiera all’anima, come pericolosa importazione. Ma riportate nella loro originale ampiezza e rifuse nel crogiuolo dell’anima divengono cibo assimilabile a redenzione di molti. Noi ne facemmo l’esperienza nel 1908. Ed è anche la via più facile per risvegliare un largo interesse per l’alta coltura religiosa in Italia, che ha bisogno ancoraj dei Giovanni Battista per preparare le strade maestre, le strade diritte e comode che le arrechino in abbondanza da vicino c da lontano gli elementi spirituali rinnovatori della sua anima addormentata da secoli. La via è la via dell'anima, del cuore attraverso il ridestato bisogno di rinnovamento. Sono le idee i sentimenti che portano i fatti c ai fatti, alla ricerca profonda ed esauriente. Bisogna compiere un'opera continua di trasposizione, di incarnazione delle idee, dei risultati, dei problemi a cui giungiamo nel nostro attivo lavoro di studiosi nel campo così vivo della religiosità.
Dovremmo sviluppare qucll'innata facoltà di dislocarci facilmente dai monti dell’alta coltura e delle pure idee alle pianure piatte dell'indifferenza, della mediocrità e della inintelligcnza immerse in un’atmosfera pesante e mortifera creata in Italia dallo spirito di dominio e di .monopolio della gerarchia ecclesiastica. È appunto questa forma di attività di reinterpretazione in uno spirito profondamente mistico c nell’attesa rinnovatrice, quella che fa più paura a quei a cui possiamo attribuire forse una dura cervice nell’intelligènza dei bisogni veri della Chiesa di Cristo, ma a cui certo non possiamo negare l’intuizione, affinata daH’esperienza della lotta di quattro sècoli, di ciò che è pericoloso al loro monopolio spirituale e governamentale. Vedi: quando tu hai osato scrivere un articolo sinteticamente ampio, un articolo in cui hai cercato di cogliere le linee fondamentali del pensiero paolino c di tradurlo in un bel linguaggio chiaro in cui si rifletteva magnificamente il nostro comune spirito — ricordi le vive discussioni quando c’immergevamo negli studi paolini che tanta luce e tanto alimento han dato ai nostri studi? — allora ti han colpito, perchè si son sentiti colpiti in pieno petto. È sembrato a loro di sentir nell’articolo come una squilla che riaprisse il fuoco. Ritornavi, senza accorgertene, ad esser te stesso. « Ora sei fatto libero — Esulta! ». Converrai facilmente con me che in Italia oltre l’attività strettamente scientifica nel nostro campo di studi, ci vuole la più larga attività dell’illuminatore, dell’evocatore, dell’apostolo delle idee. È vero: siamo in pochi, troppo pochi. Ma guai, se noi lasciassimo che questo lavoro fosse compiuto da faciloni, da verbaioli, da incompetenti, da interessati. Abbiamo veduto • i tristi effetti nel pieno della lotta modernista di un tale intervento di mediocrità
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Quindi la necessità—qualche cosa più di un dovere — che tutti noi, non curando talvolta le paure di contaminazione e le disapprovazioni dei specialisti-neutralisti, ci abbassiamo —- come dicono — a far da Marta — da Marta però che è stata Maddalena c che ha la forza di rifarsi continuamente Maddalena. Il mio pensiero corre a quei grandi cuori che furono il Tyrrell e il Gazzola.
Il rinnovamento agostiniano a Wittemberg intorno alla metà del secondo decennio del '500 si sarebbe risolto in una scuola teologica di più dalla limitata efficacia, se non fosse stato rivissuto personalmente e portato nel cuore dei problemi dell'anima e della società del tempo da un Lutero che seppe esprimere nel linguaggio di tutti la profondità del pensiero di S. Agostino c di S. Paolo. E non fu in questo appunto la ragione del successo e dell'influenza sul pensiero latino medievale del tuo Agostino? Tutto il pensiero di S. Paolo non è forse in quelle poche lettere occasionali, scritte sotto la spinta di preoccupazioni pratiche, per volgarizzare, per rendere cibo assimilabile i risultati della sua inquieta ricerca del mistero del Cristo? Eppure è un vino così ricco di Spirito che ancor oggi bolle frizzante da far correre dei rischi ai vecchi, induriti, inelastici otri che ravvolgono.
E nel comune amore a Paolo c in occasione della tua scomunica per causa di Paolo, io pubblico con l’aggiunta di poche note il canevaccio di un discorso di Comunione che tenni nel settembre del 1918. L’anima del discorso come poi lo tenni non vi compare, nè ho la forza di ravvivare con un soffio dello spirito le povere secche ossa dello schema. È una povera cosa, che non meritava di uscire dalla cartella degli appunti; Ma leggendola, comprenderai. Sono le tue stesse idee dell’articolo condannato, espresse in forma facile, pedestre, per Adattarle ad una istruzione catechetica tenuta ad un uditorio di semplici ma intelligenti cristiani. Nè io nè tu abbiamo mai pensato, esprimendo la nostra concezione paolina, di combattere una teologia od un domma. Volevamo edificare sul senso profondo della religiosità paolina che ci si rivelava così ricca di contenuto e di aspetti generalmente trascurati. Ma tant’è: mentre i> mici buoni ascoltatori, abituati alla libertà dei figliuoli di Dio, accolsero con gioia il mio tentativo di interpretare attualmente Paolo e vollero che il mio discorso venisse pubblicato — ciò che mi sarei ben guardato dal fare, se non fosse sopravvenuta la presente circostanza, —- i teologi, gli interpreti autorevoli della tua Chiesa ti hanno lanciato la scomunica. Vàie. Tuo M. R.
Io parlo come a persone intelligenti... adattando le cose spirituali a cose spirituali...; giudicate voi di quello che dico.
_ (S. Paolo, dalla 1“ ai Corinti).
’fQrSùoÌ */Iiamo invitati ad una comunione più intima con il Signor Gesù jOjSjfcÌ77''*3 nell'unità dell'amore mediante un rito che raccoglie tutta la co-fS-rv munita solennemente intorno alla Tavola del Signore. Dobbiamo
ricordare (non ha detto « fate questo in memoria di me »?) e sopratutto acquistare una conoscenza seria del rito. Prendiamo a maestro l’apostolo Paolo, che in due diversi punti della sua prima lettera ai Corinti (cap. io ed 11) ci offre gli elementi per godere di un'ampia veduta spirituale. Paolo ci dà qualche cosa di più del semplice racconto dell’istituzione della Cena nei tre evangeli sinottici, per quanto pur in essi si scorga l’impronta
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del pensiero di Paolo; qualche cosa di più della speculazione sul cibo di vita nel vangelo giovanneo, il vangelo dello spirito, c degli accenni alla celebrazione della Cena negli Atti degli Apostoli.
Nella giovane ed esuberante comunità di Corinto, come in tutte le giovani chiese.si manifestavano dei disordini, delle gare inutili di vanità, riflesso delle differenze sociali ed economiche dei suoi membri; dei partiti non d’idee ma di persone. Questi difetti d’immaturità spirituale, di organizzazione incipiente dovevano farsi sentire in tutta la loro forza distruttiva nella grande riunione della comunità durante il pasto rituale del Signore, tenuto nella casa di qualche fratello più ricco. A Corinto l'ideale di fratellanza nel Cristo veniva gettato sotto i piedi in questo rito che ne doveva essere l’attuazione. Quei che avevano offerto più pane e vino volevano far bella mostra di sé e si credevano in diritto di mangiare e di bere di più degli altri che avevano portato di meno; quei che arrivavano prima mangiavano e bevevano avidamente senza curarsi degli altri che arrivando più tardi non trovavano più nulla. Dove andava a finire il pasto preso in comune e l'amor fraterno? La stessa trasformazione della Vecchia table d'hóle, nei restaurants dei grandi alberghi moderni, nei minuscoli tavolini da pranzo individuali, oggi di moda. Ognuno per sè, chiùso in se, prima o dopo gli altri, secondo il proprio comodo, senza curarsi degli altri, e sopratutto, avidamente. I colpiti fecero pervenire i loro lamenti a Paolo. Era anche una buona occasione di guadagnarsi la sua stima, rivolgendosi a lui, mettendosi dalla sua in un momento critico in cui il suo prestigio in seno alla comunità di Corinto era contrastato dai seguaci di Apollo, di Cefa... Invece il bollente Paolo fu preso da un santo sdegno. «Vi loderò? no, in questo non vi posso lodare ». Non avevano compreso nulla, nè i monopolizzatoti della Cena del Signore nè i protestatari. Sempre carnali e bambini in Cristo i suoi figliuoli di Corinto (I Cor. 3, 1)! Venne la risposta, ma colpiva ugualmente tutti. Quanto ai partiti Paolo è generoso; che ci siano pure, tutto servirà per il meglio; ma quanto all’incomprensione della Cena del Signore non può tacere. « Avete dimenticato quanto vi ho detto dell’origine di essa? ». Non è un secondo panem senza circenses che la comunità offre ai suoi membri ogni volta che si radunano. Paolo, il predicatore del Cristo crocefisso, aveva fissato il rapporto fra questo pasto e il mistero della morte redentrice di Gesù. « È la cena del Signore. Guai a chi vi partecipa indegnamente. Ci vuole la duplice intelligenza e del rapporto con la morte di Gesù e dell’amore fraterno nell'unità del corpo di Cristo ». E l'apostolo finisce con parole di colore oscuro.
Il rito che nelle chiese d’oggigiorno continua il pasto dell’età apostolica è ridotto ad una magrezza, tale che difficilmente potrebbe tentare l'appetito di quei ragazzacci della chiesa di Corinto. Con un piccolo pane ed una caraffina di vino le chiese han messo le loro comunità ad un regime ultra-tesserato, che vorrebbe essere un regime di spiritualità.
Ma non crediate che colpendo un disordine particolare della chiesa di Corinto l'ammonimento di Paolo ora letto sia una pericope ecclesiastica che non ci riguardi.
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Il difetto fondamentale delle riunioni eucaristiche a Corihto è un difetto d’intelligenza dell’amore, è un rinnegamento dello spirito di ^fratellanza che annienta, ne vedremo fra poco la ragione, l’unità della comunità. Cambiano le circostanze, ma, se non erro, il difetto dei Corinti è forse ancorai! difetto di tutte le assemblee cristiane raccolte intorno alla tavola del Signore.
Un restringimento del campo della visione spirituale: mancanza comune ai Corinti e alle nostre chiese moderne. Per i cristiani di Corinto l’ampiezza dell’orizzonte s’era ridotta tanto, da apparir loro la Cena del Signore nè più nè meno di un banchetto offerto dalla comunità. Una visione materiale ed individualista, come abbiamo già visto. Le chiese evangeliche invece han voluto camminar troppo nella via dell'interpretazione spirituale, sì da ridurre la concreta ricchezza del significato primitivo del rito. L’elemento fondamentale, il vincolo della solidarietà effettiva, il valore sociale della Cena è stato perduto. Comunità cristiana o Cena del Signore: due realtà non solo integrative l’una dell’altra, ma due realtà che si compenetrano nell’unità del Corpo dei Cristo. L’individualismo ha regnato nelle Chiese: lo stesso difetto fondamentale che l’apostolo scopre nei suoi Corinti. Ognuno ha voluto celebrare la sua Cena!
È un quadro vivente quello che l’Apostolo vuol far sorgere dinanzi agli occhi dei suoi Corinti partecipanti alla Cena del Signore, misteriosamente, come tracciato da una mano invisibile sulle pareti del convito. È la stessa complessa visione spirituale che si apre dinanzi a voi. È un quadro a tre piani prospettici. Posiamoci anche noi gli occhi. Nel primo piano, nelle povera stanza di un galileo immigrato a Gerusalemme, nel quartiere più lurido, la rozza tavola del convito pasquale a cui siede Gesù e i suoi intimi — una specie di quelle scene del banchetto eucaristico raffigurate in una lunetta d’un arcosolio catacombale — e Gesù che distribuisce il suo pane e il suo calice: « Fate questo in memoria di me »... di lui che vediamo in un secondo piano, in una visione che esce sempre più netta da una nebbia che si dissipa lentamente, confitto in croce, coronato re dei cuori compiuta l’opera di riscatto. Ecco, da uno squarcio apertosi improvvisamente nel fitto velo di nubi nere che gettano sulle cose una tenebra che dà un senso di angoscia scende nell’anima una gloriosa visione che finisce con l'occupare l’ampiezza del quadro; il Cristo glorioso, trionfante della morte e del male, pronto a scendere sulla terra ad attuare il programma messianico del Regno di Dio, regno di giustizia e di amore, speranza dei secoli, a Che il tuo regno venga — Maran atha: Signor nostro, vieni ».
Sentite l’apostolo che commenta, l’interprete e l’evocatore del quadro, come il vecchio del castello nella visione del Bunyan (i) al Pellegrino: « Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore, finché Egli venga ». Sì. «finché Egli venga, finché Egli ritorni », ripeteremo con un cantico inglese.
Voi già v’accorgete che il termine di commemorazione della morte del Signore
(i) Allusione al celebre Pilgrim's Progress del Bunyan.
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per indicare il nostro rito è povero di contenuto, è inadeguato ad esprimere la realtà mistica a cui partecipate. E se poi vi dicessi che la trasformazione avvenuta deH’originaria Cena nel senso ritualista di un «memoriale» fu favorita dal significato rituale che la parola greca paolina « memoria » aveva nella versione greca del Vecchio Testamento (i)? Ma se vogliamo conservare questo appellativo tradizionale chiamiamolo pure commemorazione, ma intendendo qualche cosa di più di un pio ricordo della morte di Gesù; perchè è un ricordo che rendiamo realtà nel corso del rito tutti insieme, come comunità; perchè è un’affermazione solenne, altamente proclamata, della nostra fede in Gesù e della nostra certezza che Egli verrà ad attuare il regno di Dio; un atto solenne d’evangelizzazione, il bando fatto concreto della « buona novella ». Noi in essa ci facciamo « banditori effettivi » del Regno, perchè proclamiamo che il primo passo fondamentale è stato compiuto nella morte redentrice del Cristo.
« Voi annunziate (KaTayyskXsTs) ». Il vincolo fra i due avvenimenti, la croce e la venuta gloriosa messianica, fra il Cristo sofferente e il Cristo che verrà è suggellato nella Comunione; per usare più liberamente un’espressione di moda, è superato in essa il passaggio fra il Cristo storico e il Cristo della fede. Se . la volete chiamare commemorazione, dite pure che essa è commemorazione, ma più del futuro che del presente, perchè il futuro ha nel mondo dello spirito una presenza immanente. Risvegliate questa attesa nella sensazione della presenza.
Sicché potremo chiamare senza timore, interpretando spiritualmente i dati di Paolo, questo banchetto eucaristico una pregustazione del futuro, un'anticipata presa di possesso del futuro nella proclamazione della venuta del Regno di Dio. E che il punto centrale della visione non debba essere la croce, pur passando sotto di essa, ma il Cristo glorioso, pronto nella pienezza dei tempi ad attuare il suo regno è nettamente indicato da Paolo: comunità dopo comunità, seguentesi nel tempo e nello spazio, formano una catena di testimonianza e di ravvivamento di questa fede nostra che è speranza; partecipando a questo pasto noi ci sentiamo gli anelli viventi di questa grande catena che si snoda nei secoli, nell’attesa: noi comunichiamo misticamente con tutti quelli che nel passato, nel presente e nel futuro partecipano di questa medesima fede nella proclamazione eucaristica.
Paolo quando scriveva le luminose parole, così dimenticate dai vecchi teologi « finche egli venga » doveva sentire la sua anima profondamente commossa dalla visione dell'imminenza della venuta del Signore e al suo sguardo dovevano apparire coloro che vivi non godranno più della venuta, per correre incontro al Signore perchè questa fede non han tenuto viva nel loro cuore, han mancato d’affer-marla in maniera viva e personale nella partecipazione intelligente e piena della Cena del Signore. Poveri morti, poveri malati a morte! (v. 30). Una comunità che non ha viva questa fede è una comunità mortificata, spiritualmente agonizzante.
(x) La versione dei LXX. La parola è
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È certamente un merito delle libere chiese evangeliche quello d’esser ritornate, attenendosi a quella sicura guida che è il Nuovo Testamento, ad una pratica nella celebrazione del rito eucaristico che mantiene alcuni tratti caratteristici dell'antica sinassi cristiana. I moderni studi liturgici ci provano che esse ne avevano intuito abbastanza bene gli elementi fondamentali, e ci forniscono il mezzo di ritrovare l’elemento vitale, di riscoprire le linee fondamentali e pure del disegno primitivo anche nelle vecchie liturgie cattoliche, quando con sicuro senso storico le liberiamo dalie superstrutture liturgiche posteriori, ridando la prospettiva ai vari elementi riportati tutti su d’un medesimo piano per un processo fatale di livellamento e di restringimento individualista e sopratutto quando le riguardiamo con occhi scevri da pregiudizi teologici (p. es. dottrina del sacrificio, ecc.). È un merito delle liturgie evangeliche Tesser tornate a separare l’elemento didattico dalla celebrazione della Cena, separazione che ritroviamo nella antica liturgia latina con la distinzione ben marcata fra messa dei catecumeni e messa dei fedeli. La Riforma liquidò definitivamente quelle degenerazioni liturgiche medievali che erano la messa e la comunione privata, rivendicando il carattere sociale e l’unità della comunione e della messa perchè la S. Cena è essenzialmente comunione solenne di tutta la comunità; ripristinò l’unità del rito, incentrandolo nella partecipazione al pane e al calice e ridando il calice ai laici, come già aveva attuato la protesta boema; rimise in rilievo l’idea fondamentale di pasto con un vero ed effettivo spezzamento di una cosa che ricordasse il pane del rito originale; ristabilì l’unità e l'eguaglianza dei fratelli nella comunione, abolendo i poteri miracolosi e il posto privilegiato attribuiti al sacerdote celebrante nella messa e mettendo giustamente, in armonia con la storia e con la pietà, l’accento sulla comunione più che sul preteso rito della consacrazione, che ha ripreso il suo valore iniziale, come in origine nel Canone romano, di commemorazione storica della Cena di Gesù. E ciò che è più importante, le idee, le interpretazioni teologiche del fondamentale rito della comunità cristiana avrebbero dovuto logicamente passare in seconda linea di fronte al fatto di importanza decisiva del ripristino della partecipazione di tutta la comunità al banch tto eucaristico come commemorazione della morte redentrice di Gesù.
Purtroppo su quest'ultimo punto le cose non andarono così bene come avrebbero dovuto andare e si finì col compromettere il valore innegabile delle riscoperte compiute dalla prima Riforma. La teologia guastò ogni cosa. E la politica non mancò di far sentire le sua disastrosa influenza nella deplorevole lotta sacramentaria (i). Sta però il fatto che noi ci troviamo di fronte a parecchie teorie.
(i) Si ricordi il giudizio del Bucero (Butzer), già amico di Lutero e in seguito sostenitore delle idee di Zuinglio (Zwingli). « Quod summac charitatis symbolum nobis esse debebat, male conciliati quidam homines matcriam fecerunt atrocissimae inimicitiac et inscctationis fratrum scissionisque ecclesiarum». (Enarr. iti Evang. Math. — 1527, p? 329).
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o meglio, a diversi sistemi che vorrebbero darci la chiave per l’interpretazione del rito eucaristico e che influenzano diversamente la celebrazione stessa del rito. Dalle teorie della teologia cattolica medievale del rinnovamento del sacrificio della Croce, della consacrazione mediante le parole pronunziate dal sacerdote ad un dato punto del canone, della transustanzazione, della presenza reale c totale del Cristo, della sua permanenza nelle specie consacrate alle teorie estreme del simbolismo è tutta una gamma di forti é contrastanti suoni che colpiscono la nostra anima e che non è possibile riunire armonicamente
È solo liberandoci dall’atmosfera delle astrazioni e delle competizioni teologiche, che pur ebbero la loro profonda ragione d’essere nel passato e che si influenzarono a vicenda, stranamente pur nel forte loro contrasto, e rifugiandoci nel sicuro porto della storia e respirando l’atmosfera più pura ed ossigenata della spiritualità che possiamo ritrovare gli elementi fondamentali per costruire con il materiale offertoci dalla critica storica e con il vivo cemento dell'ispirazione cristiana una vivente Comunione.
Se noi vogliamo essere dei cristiani che hanno intelligenza, dobbiamo cercare di orientarci in questo labirinto ecclesiastico e teologico, rifiutando l’inutile dopo di esserci appropriato ciò che è essenziale e vitale per noi.
in.
Passando dal punto di vista storico (l’origine della Cena) al punto di vista ecclesiastico e rituale ci si presentano tre questioni importanti alle quali non è indifferente rispondere in un modo piuttosto che in un altro. Sono delle alternative vitali per le conseguenze, le risonanze nella vita spirituale del singolo e della comunità.
Ecco: i° che cosa è essenzialmente, dal punto di vista rituale, la comunione? 20 Cristo v’è realmente presente? 3° in che rapporto stanno S. Cena ed Agape?
Senza addentrarci in discussioni, possiamo senz’altro dire che la Cena del Signore è un banchetto della comunità cristiana locale che ricorda e s’appropria misticamente nella frazione del pane e nella distribuzione del calice la morte renden-trice del Signore Gesù con un vivo senso d’attesa del giorno del Signore in cui celebrarlo di nuovo con lui nel regno di Dio. Se volete tradurla in termini d’esperienza psicologica, chiamatela pure il grande simposio cristiano, il convito dei cuori nella speranza cristiana in cui tutti godiamo celebrando il nome di Gesù e la sua vittoria sulla morte. Paolo la ricollega all’ultima Cena di Gesù; da voi stessi potete trarre tutte le conseguenze pratiche che nel campo liturgico ed ecclesiastico derivano da questa connessione e dal significato originale che ora vi si delinea nettamente. I grandi pensatori della Riforma dopo aver intuito il carattere originale della comunione, si trovarono alle prese con un probletna della più alta importanza e che aveva modellato la mentalità cattolica medievale fin dalle prime controversie eucaristiche del secolo ix, il problema della presenza reale di Gesù
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LA COMUNIONE: * Ogni colla che coi mangiate questo pane e bevete di questo calice, coi annunziale la morte del Signore... finch'Egli venga.*
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nell’eucarestia. Ma i termini del problema s'erano spostati più d’un quadrante: prima le influenze mistico-sacramentarie degli antichi misteri, poi il materialismo volgare delle folle neo-cristiane abituate a concentrare il culto nel sacrificio e con il loro bisogno insopprimibile dell’elemento miracoloso nella religione; poi le discussioni teologhce piene di sottigliezze e di vaporizzazione delle realtà religiose: tutto aveva contribuito ad ingrossare il fresco e limpido rivolo alpestre di un originale senso della presenza del Cristo o del suo Spirito nel banchetto eucaristico nel largo e fangoso fiume della dottrina della presenza reale del Cristo nel pane e nel vino. La questione s’era materializzata. L'attenzione dei teologi s'era fissata su di un è, su di una identità (« questo è il mio corpo », « questo è il mio sangue »). Si perdeva di vista l’insieme del rito, e le menti si perdevano su di un punto assolutamente secondario (i).
E noi? La falsa strada creata dall'interpretazione letterale e della teologia non poteva portare al centro delle realtà spirituali; il senso mistico della dottrina paolina, che è a base della interpretazione Cristiana deUa Cena, è una scoperta piuttosto moderna. A noi non fa paura la frase « presenza reale »; reale non s'identifica con materiale, locale ed è qualche cosa di infinitamente più concreto della « presenza dinamica » della teologia riformata. Ora possiamo completare la nostra definizione: « la Cena è un banchetto della famiglia cristiana in cui è sentito presente Gesù, a cui presiede Gesti e in cui si compie misteriosamente la reale unità del corpo di Cristo ». La dottrina, eminentemente spirituale delle chiese riformate del simbolismo intellettualistico è superata oggi dalla dottrina del simbolismo mistico che trova in Paolo il suo patrono.
Quanti equivoci dovuti al disconoscimento della mentalità mistica dell’apostolo’ Se la Riforma scoprì, sulle orme d’Agostino, il teologo Paolo, è merito della critica religiosa moderna averci ridato il senso per comprendere il fondamentale pensiero mistico paolino e il suo cuore. Se volessi tradurre nella maniera più pedestre l’essenziale di questa mentalità, mi troverei imbarazzato. Immaginate che tutto nel mondo dello spirito si svolga contemporaneamente su due serie (tipo, antitipo; figura, realtà) parallele, influenzantesi a vicenda; una specie di perenne e grandioso fenomeno di induzione elettro-magnetica fra noi e il mondo del divino. D’altra parte immaginate che fra le anime, sia possibile una solidarietà concreta, come quella dei vari tessuti in un corpo vivente, un conglobamento addirittura
(i) Lutero, la cui mentalità medievale, cattolica e conservatrice è stata messa in luce da studi recenti, teneva fermo al l’elemento essenziale della tradizione teologica medievale e influenzato dalla filosofìa occamista in cui era stato educato e dalla sua cristologia s’adagiava in una soluzione trovata prima di Ini: la teoria dell’impanazione e della presenza reale nel pane e nel vino durante il rito,
Zuiglio, con la sua filosofia panteista c le tendenze simboliste della esegesi umanista, passava ad una soluzione radicale; le Chiese riformate con Calvino che s’era voluto tener lontano daH’interprctazionc • profana ■ di Zuiglio, s’attenevano ad una soluzione media ammettendo una speciale presenza carnale del Cristo vivo.
E tante e tante altre teorie, variazioni dei pochi temi fondamentali accennati
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delle loro parti vitali; immaginate che vi sia in noi una porzione superiore dell'anima che possa comunicare e unificarsi in un’appropriazione misteriosa con l’anima, con lo spirito di Gesù; immaginate che i singoli fedeli possano venire unificati nella realtà della comunione della Chiesa con il Cristo e formare un solo corpo, una sola anima, come partecipando ad un medesimo pane e ad un medesimo calice essi divengono un medesimo corpo ed una medesima anima.
È una specie di filosofia delTùtorfitò che si compie, che diviene per un intimo e misterioro scambio e compenetrazione di nature, di materiale e di spirituale, di terreno e di celeste. La nostra mentalità moderna per le vie della filosofia e della scienza è stata preparata a cogliere l’essenziale di questa percezione mistica del mondo, che era così comune in alcune forme della religiosità antica al sorgere della rinnovatrice predicazione cristiana. È una importante scoperta, che ci permette di superare delle antinomie, dei contrasti fino ad ora insopprimibili. Così le due posizioni antitetiche del cattolicismo e della Riforma: presenza reale nell’ostia e simbolo-ricordo sono superate dalla dottrina mistica dell'unità del duplice corpo e della presenza reale del Cristo nella celebrazione della Cena.
Liberi ormai da preoccupazioni teologiche, potremmo abbandonarci a quel senso di gioia che la luce e la pace dell’anima dànno nel possesso di una verità al di sopra dei contrasti e delle visioni parziali che impediscono di afferrare l'elemento unitivo, vivificatore ed essenziale. Cogliendo al vivo questa vera ed integrale presenza del Cristo nell’assemblea partecipante alla Cena, percependo con gli occhi dell'anima il processo dell'unione effettiva dell’unico corpo, il nostro cuore esulterà, Rievocate la scena della piccola cena nella rozza taverna di Emmaus al tramonto della prima pasqua cristiana (Le XXIV, 13-35): è un racconto ricco di significato. È un simbolo trasparente della presenza di Gesù nella Cena. Nella frazione del pane i due discepoli riconobbero Gesù e compresero il mistero della croce e della risurrezione. Gesù era con loro, vivo e vittorioso. Ma subito dispare la luminosa visione: « Non era il cuor nostro pieno di gioia? ». « Passa la brev'ora di comunione; la festa, ma non l’amore, è passata; allontana il pane e il vino, ma tu sei qui, più vicino che mai, tu mio scudo e mio sole » (1).
IV.
La varietà di nomi che ho usato fin qui per indicare il medesimo rito cristiano vi ha probabilmente disorientati. Come dobbiamo chiamarlo « Comunione, Eucarestia, S. Cena, Cena del Signore o che so io? ». Dopo di aver illustrato brevemente qualcuno dei termini più usati, voi stessi sceglierete quello che corrisponde meglio al vostro modo di sentire questo rito.
Cena del Signore, cioè, del Cristo, è il termine paolino per eccellenza. Il Santa Cena è un accomodamento ed una riduzione operata dal linguaggio della pietà. Così Sacra Mensa ed altre espressioni analoghe.
(0 Da una poesia « Here, o my lord » di H. Bonar.
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Cena qui deve intendersi nel senso antico di pranzo, di pasto principale che aveva luogo nel dopopranzo verso il tramonto o nelle prime ore della sera. Nelle chiese moderne è prevalso, per una lunga trasformazione liturgica dovuta a complesse ragioni, l’uso di celebrare il banchetto cristiano la mattina e principalmente la domenica mattina in occasione della principale riunione liturgica della comunità. Le chiese della Riforma hanno in genere continuato questo trasferimento mattutino della Cena già fissato nella Chiesa latina (1). In molte chiese evangeliche però oggi si riafferma la tendenza di celebrare la Cena la sera, per ridare ad essa tutto il significato primitivo e per affermare la diretta continuità dal rito dell’età apostolica.
Personalmente, io sono favorevole a questo ristabilimento dell’ora naturale del rito a preferenza dell'ora legale, stabilita per ragioni pratiche e di pietà dalle vecchie chiese. Come ogni termine storicamente esatto. Cena è un termine spiritual-mente freddo. Serve ottimamente per indicare il contenuto del rito, a classificarlo.
Un altro termine neotestamentario e che ha avuto una certa fortuna liturgica è quello di Eraclio pañis, di spezzamento del pane. Poi i nomi delle antiche liturgie: eucarestia, ringraziamento, sinassi, riunione, agape, festa dell’amore...
Se passiamo dal campo della storia a quello dello spirito, c’imbattiamo in un nome ricco il significato spirituale. È vero che in alcune liturgie sotto l’influenza delle teorie teologiche esso ha finito coll’indicare un momento solo e secondario del rito, anzi, un nuovo rito dissociato dal primo, come la comunione privata fuori della messa o liturgia (2). Comunione (xwoma) è il termine significativo della più alta esperienza religiosa, del perdersi nell'unità reale superiore non del Cristo solo ma della comunità, nel vincolo dell’amore; termine che, in origine traducendo espressivamente l’effettuarsi dell’unità mistica dell'unico corpo, ha finito con l’indicare la distribuzione materiale del pane e del vivo. Il nostro rito è mistero, sacramento dell’amore, vera agape, banchetto dell'amore in cui partecipiamo nella gioia della comunione all'amore che identifica nel corpo vivente del Cristo tutti i fedeli di una 'chiesa locale seduti intorno alla tavola del Signore. Non solo festa dell’amore di Cristo per noi, come celebrano le liturgie tradizionali, ma festa dell'amore dei fratelli unificati nel Cristo.
Il problema del rapporto fra i due riti, nettamente distinti nel iv secolo, della
(1) Nel Canon Missae romano nel racconto dell'istituzione il » qua nocte tradc-batur» di Paolo’è stato sostituito da «qui pridie quam patcretur» in accordo con la sopravvenuta celebrazione eucaristica nel 'mattino.
(2) È interessante notare il mutamento che è stato autorevolmente proposto, recentemente, per l’influenza della tendenza cattolica in seno aU’anglicanismo, dai membri della Joinl Conimission on thè Book oj Common Prayer della Chiesa Episcopale in America nel titolo tradizionale di órdine per la S. Comunione, nell’altro - Divina Liturgia, ossia l’ordine (rituale) per1 2 la Cena del Signore o Santa Eucarestia, comunemente chiamata la Santa Comunione». Nell’eclettismo del titolo del servizio di Comunione si riflette la varietà delle legittime diverse concezioni del rito stesso.
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Agape (il pasto di carità) e della Cena del Signore è generalmente risolto ora nel riconoscimento della loro identità originale. Sarebbe troppo lungo il riferire, anche in succinto le ragioni storiche pro e contro l’identificazione.
Esaminando le dottrine fondamentali paoline, mi è sembrato che nel capitolo XI della sua prima lettera ai Corinti l’apostolo 'non parli che di un medesimo pasto. Lo so: nel vostro Nuovo Testamento la pericope che abbiamo letta e commentata porta il duplice titolo: Disordini nelle Agapi. La S. Cena.
Gli editori evidentemente credono alla duplicità dell’argomento e alla distinzione dei due riti. Di più. voi ricordate la celebrazione dell’amor fraterno in qualcuna di quelle Agapi indimenticabili a cui avete partecipato. Il banchetto dell’Agape cristiana ha una storia importante nel cristianesimo antico, in cui s’affermò e si mantenne accanto alla celebrazione solenne dell’eucaristia. È interessante seguire le vicende dell’Agape dalla sua lenta separazione dal banchetto eucaristico primitivo lino alla completa opposizione e rivalità alla celebrazione eucaristica. Poi, in gran parte per gli abusi a cui dava luogo e per l'opposizione del clero, cadde nel discredito e scomparve. Rinacque, purificata e spiritualizzata, nei circoli dei piefisti tedeschi e di lì si diffuse nelle libere chiese cristiane, che ritrovarono in essa quel vincolo dell’unità reale della comunità che era stato perduto per colpa delle teorie teologiche favorenti un individualismo robusto, sì, ma dannoso infine come ogni forma di individualismo.
. È evidente che per Paolo la realizzazione dell’unità mistica del corpo di Cristo si ottiene nella partecipazione piena alla Cena del. Signore: e questa non è altro che tutto il pasto in comune. La concezione mistica che Paolo ha della vita della comunità cristiana vede realizzata nella Cena l’unione mistica col corpo di Cristo dell’associazione cristiana come tale, unione diversa dalla unione mistica dei singoli cristiani con il Cristo. La Chiesa e il Cristo formano per Paolo una profonda unità: «questo mistero è grande: dico questo, riguardo al Cristo e alla Chiesa, — i due diverranno una medesima carne » (Ef.V, 31, 32). « Questo è il mio corpo » è integrato e compenetrato da una profonda realtà quale è quella che noi «siamo il suo corpo ».
Se dunque il banchetto eucaristico è l’effettuazione della solidarietà nel medesimo sentimento d’amore di tutti i fratelli d’una comunità cristiana, è facile comprendere che cosa è una comunione indegna. S'è troppo insistito nella pietà delle chiese sulle disposizioni individuali, penitenziali alla partecipazione del banchetto del Signore; non s’esce dalle preoccupazioni di una pietà individualista nel rapporto fra l'anima e Dio. Così nelle chiese cattoliche come pelle chiese riformate. Io non ’ nego l'importanza di una tale preparazione spirituale, ma essa à un valore generale solo in rapporto alla costruzione della vita cristiana. Dubito che Paolo, per cui il cristiano è nuova creatura nel Cristo, approverebbe una simile interpretazione dell'ammonimento ai Corinti a non partecipare indegnamente alla Cena.
Paolo parla di un’indegnità dipendente da mancanza di discernimento: il discernimento dell’amore fraterno. Chi non ha l’amore, e quindi trascura, disprezza
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i fratelli che con lui dovrebbero partecipare pienamente alla Cena, non ha il discernimento del vero corpo di Cristo.
È meglio giudicarci da noi stessi, vedere se vi è in noi un tale amore fraterno, e così, con questo discernimento, mangiare e bere (v. 28). Se vi fosse stato a Corinto un po’ di amore fraterno, invece delle esclusioni dei partiti e dell’egoismo, nessuno avrebbe mangiato avidamente, a parte, rimandando digiuni e disillusi gli altri. La grave colpa che il Signore per correzione (v. 32, per una vera opera di riabilitazione spirituale) ci riconosce, giudicandoci, è appunto non aver l’intelligenza dell’amore. È meglio che da noi stessi la riconosciamo questa mancanza d’amore e provvediamo a tempo. Infatti, se non c’è la partecipazione reale, effettiva di tutti i membri della Chiesa in uno spirito di cordialità conviviale al banchetto del Signore, non c’è affatto la Cena del Signore e il corpo del Cristo non può concretarsi: la vita superiore dello Spirito non può circolare, come una linfa potente allo schiudersi della primavera, per tutti i membri o, se volete essere più esatti con Impostolo, per le membra della comunità, di quelli che dovrebbero essere le membra del corpo del Cristo. Di qui la duplice responsabilità degli inintelligenti dell'amore fraterno per la duplice vivente solidarietà che li avvince ai fratelli c al Signore: essi sono colpevoli verso il corpo e il sangue del Signore, danneggiano la vita della comunità, vanno soggètti alla correzione del Signore (malattia, morte).
« Mangiate e bevete degnamente: cioè, aspettatevi gli uni e gli altri, non abbandonatevi agli stimoli del vostro egoistico appetito; partecipate tutti in eguale misura e in un medesimo spirito alla Cena del Signore; non la confondete con una cena particolare » (x). L'opposizione fra il pasto comune nel ricordo del Signore e la cena particolare, individuale, egoistica è netta: due cene, espressione di due diverse concezioni e di due diverse attitudini di spirito. Il concetto ecclesiastico indegnità nella comunione è derivata da altre preoccupazioni, da altre teorie che non han nulla a che vedere con il punto di vista paolino; rientrano nelle preoccupazioni penitenziali. Chi ha compreso 1$ dottrina paolina dell’unità mistica e della continua interazione fra l’elemento umano e il divino, comprende il mònito dell'apostolo ai cattivi comunicanti di Corinto e possiede un nuovo importante criterio per giudicare della propria indegnità alla partecipazione della Cena. È chiaro: se radunati intorno alla tavola del Signore non sentiamo la solidarietà che ci avvince, noi disprezziamo la Chiesa di Dio (v. 22), non effettuiamo, non discernendolo (v. 29), il mistico corpo di Cristo. Per i Corinti la mancanza di amore stava in quei difetti, in quegli inconvenienti a cui abbiamo accennato; ma per noi? Ecco: sedere gli uni accanto agli altri vicini di corpo ma separati da un abisso di indifferenza, di inintelligenza, di odio, alle volte, aperto dai nostri pregiudizi sociali e dalla nostra ingenerosità...; e come formare un solo corpo nel Cristo?
(1) « Quando poi vi radunate assieme quel che fate non è mangiar la Cena de! Signore; poiché, al pasto comune (6 ri ?«y«ì») ciascuno prende prima la propria cena; e mentre uno ha fame, l'altro è ubriaco > (v. 20. 21). Analoghi-inconvenienti si verificarnoo nelle Agapi.
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Abbiate il discernimento dell'amore e dell’intelligenza del rito. Altrimenti, mangiando egoisticamente la vostra cena, voi mangiate e bevete il vostro giudizio (v. 29). Questa comunione indegna è veramente transustanziale, perchè con essa si inghiotte la propria condanna, automaticamente. Ad una comunità cristiana in cui signoreggi lo spirito individualista dell’egoismo è meglio dire: « non vi adunate per non attirare su di voi il giudizio (v. 34). Voi non avete il senso spirituale per percepire il vero corpo del Signore, la Chiesa di Dio consustanziata nel Signore. L’armonia delle parti è impossibile e l’unità del corpo non si effettua». Ascoltate l'apostolo « Come il corpo è uno ed ha molte membra e tutte le membra del corpo, benché molte, formano un unico corpo, così è anche del Cristo » (I Cor., XII, 12). La Cena è l’azione in cui l'unità mistica del corpo di Cristo è rappresentata ed effettuata. Per questo il dono spirituale dell’amore è il più alto dono dello Spirito per la costruzione del corpo del Cristo, perchè è l’elemento unificatore per eccellenza. Se nella assemblea cristiana incentrata nel pasto eucaristico si manifestasse nella sua potenza il dono « eccellente » dell’amore (Xàpt;) — come se attraverso gli elementi individuali della comunità già abbeverati, « impregnati dello stessi Spirito » nel battesimo di un unico spirito (I, Cor. XII, 13) passasse un'unifìcante corrente elettrica — la formazione di un unico corpo diverrebbe sensibile, reale.
V.
Conclusione. — Chi nel rito eucaristico riconosce con Paolo una Cena di effettiva c misteriosa solidarietà della Chiesa con il Cristo per attuare il corpo del Cristo; chi nel pane e nel vino vede qualche cosa di più di una figura, di un simbolo astratto; chi intende l’indegnità alla comunione, cioè, alla partecipazione a questo banchetto nella mancanza dell’amore verso i fratelli, i membri del medesimo corpo, e non neH’inintelligenza di un preteso mistero teologico o nella mancanza di alcune condizioni spirituali che distruggono addirittura il concetto di cristiano; chi intende, infine, la mentalità mistica dell’apostolo, è in possesso di elementi vitali per « festeggiare la luminosa ora di comunione » con il Cristo e con i fratelli.
Sostituiamo il concetto tradizionale di preparazione spirituale nel pentimento con l’altro più efficace di celebrazione dell’unità che si attua nel corso stesso del rito e a cui è ostacolo soltanto la mancanza dello spirito di amore fraterno. La gioia dei convitati che favorisce la unione dei loro cuori è un sentimento avvincente che si sprigiona potente dal fatto stesso della partecipazione effettiva al banchetto.
Poiché il canto collettivo ha una grande potenza suggestiva di elevazione e idi induzione di sentimenti, ed insieme è un grande elemento di gioia e di comunione, o vorrei che i vari momenti del banchetto rituale fossero come commentati, accompagnati dai più begli inni esprimenti il tono fondamentale, del rito. Invece dei pochi inni di carattere prevalentemente teologico dei nostri innari italiani.
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una maggiore varietà di inni e cantici, come nelle migliori e recenti raccolte ecclesiastiche in Inghilterra e nell’America del Nord esprimenti tutte le varietà del senso della comunione per ritrovarci in essi.
E come per i cantici, così vorrei un corrispondente mutamento nei volti e nei cuori: meno tetraggine, meno compunzione, meno rigidità ecclesiastica, e più gioia e più espansività nella celebrazione del rito eucaristico.
Ravvivate il senso della partecipazione ad un medesimo pasto di comunione. Sentite le grandi realtà spirituali compiute in esso, come realtà presenti a cui partecipate attivamente.
Come dice Agostino, « Siate ciò che vedete e ricevete ciò che siete » (i).
Sia vivo in voi il senso della presenza reale del Cristo e il desiderio di vederlo trionfante nella sua gloria, «finché il suo regno venga».
Siate pieni del dono dell’amore. « Godete, di nuovo vi dico : godete » nello amore e nella conseguente unità reale in Dio, nel Cristo e nei fratelli. Ristorate l’unità nel vincolo dell’amore. Un solo pane, un solo corpo. « Come v’è un unico pane, così noi, pur molti, siamo un solo corpo nella partecipazione di tutti al me-' desimo parie (I Cor. X, 17).
Sia l’ideale il risolvimento nostro nella misteriosa, unità nel Cristo in Dio per la « comunione » e l'effusione dello Spirito.
« Ecco, la festa dell’amore è pronta! Questa è l’ora del banchetto e del canto, questa è la celeste tavola apparecchiata per me; che io qui festeggi e nella festa prolunghi la breve, luminosa ora di comunione con Te! » (2).
Mario Rossi.
(1) S. Augustini, Semi. ad ìnfantes. 272.
¡2) Da inni inglesi.
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ORFISMO E CRISTIANESIMO
Per l’importanza dell’argoménto pubblichiamo le seguenti osservazioni mandateci dal prof. Macchiare sulla critica rivoltagli da (r. e p.) nel fascicolo di gennaio p. ór:
Nel fascicolo di gennaio di Bilychnis (pagine 61-62) sono pubblicati alcuni giudizi, attribuibili al redattore della Rassegna di studi biblici, c riguardanti i corollari del mio libro Zàgreus nonché il mio studio Orfismo e cristianesimo uscito in Gnosis I, ai quali credo utile far seguire un commento. Innanzi tutto affermo, assai più per debito di coscienza che non di scienza, non esser punto vero che la mia tesi fosse ■ già difesa e illustrata da altri «. La mia tesi non fu nè posta, nè difesa, nè illustrata da altri fuorché da me.
Le varie tesi intorno ai rapporti tra cristianesimo e misteri, con le quali il re-, censente? confonde la mia. sono fondate su una errata concezione tradizionale dei misteri, che vengono identificati con quella . •* misteriosofia ». che il recensente ricorda
c che in realtà è priva di contenuto storico: la mia tesi si fonda invece su una ricostruzione del mistero che rompe la tradizione filologica vigente c prende per la prima | ' volta contatto con la realtà: quelle varie
tesi si accontentano di accostamenti tra il cristianesimo e la « misteriosofia • vaghi, nebulosi, privi di ogni concretezza storica, e non distinguono tra mistero e mistero, considerando tutti i misteri come un’unica categoria, senza dire da quale di essi si sarebbe più specialmente evoluta la mistica cristiana: la mia tesi poggia sùiia conoscenza reale, filologica e archeologica, di un determinato mistero, quello orfico, che nettamente distingue dagli altri c direttamente connette al cristianesimo: quelle varie tesi fondano inoltre i loro accostamenti su basi mitiche che’ possono aver
1 - .
iSfun qualche valore per la mitologia o per il folklore, mentre la mia poggia su fondamenti mistici che hanno valore per la teologia e per la religione. Ma questo ancora importa poco: quel che più importa è che quelle tesi hanno spirito e volontà anticristiani, perchè mirano implicitamente a diminuire il contenuto della rivelazione cristiana, mentre la tesi mia vuole • esplicitamente valorizzare questo contenuto, opponendolo a quello che era il contenuto della coscienza religiosa prima di Gesù, per mostrare quale e quanta fu la novità della sua rivelazione: la quale rivelazione — secondo me — fa sì che i! pensiero del Salvatore costituisca un - ultimo superamento dello spixito umano per cui l’uomo passò finalmente dalla magia alla religione, e dal dio assurse a Dio (Gnosis I, p. ri8). . Per chi sa pesar le parole c capire a fondo la differenza che corre tra dio (con la d minuscola) e Dio (con la D maiuscola), basta questa mia conclusione per chiarire il contenuto reale della mia tesi.
Suesta posizione storico-apologetica è entemente sfuggita al mio recensente, troppo preoccupato da posizioni apologetiche tradizionalistiche, ma è tuttavia affermata nettamente da me non solo nello spirito, ma anche nella lettera, e specialmente là dove distinguo la palingenesi reale dell’orfismo da quella spirituale del cristianesimo, concludendo che « noi abbiamo Sui dunque un caso singolarissino di una iversità nella somiglianza che parrebbe contradditoria, e invece non è, perchè la somiglianza sta nella forma eladiversità'sta nell’esse«-za, la somiglianza sta nella formazione mistica e dommatica, e la diversità sta ne) contenuto morale e spirituale» (Gnosis I, p. no) e che « il rapporto storico dunque tra le due religioni dovette consistere in
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NOTE E COMMENTI
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ciò che il cristianesimo versò, a dir cosi, un nuovo vino ne! vecchio otre insufflò cioè una nuova vita in questa vecchia religione magica e ritualistica, diede un'anima a questo vuoto corpo, e trasformò la palingenesi reale in palingenesi spirituale» (ivi, pa. in), e che « come l’orfismo aveva superato il politeismo affermando la necessità della palingenesi, così il cristianesimo superò l’orfismo affermando la spiritualità della palingenesi « (ivi, p. ri8). Chi legge queste parole non può aver dubbio alcuno sul mio pensiero; e non può confondere la mia tesi con quella di altri mitologi anticristiani, se proprio il dommatismo non gli fa velo. Dirò anzi che chi legge il mio studio con spirito veramente cristiano ne riconosce subito il grande valore religio o c apologetico.
Che questo valore sia sfuggito al recensente appar chiaro specialmente là dove egli rigetta la mia idea che nell'avvolgimento del corpo di Gesù in una sindone (Mt. 27,60; Me. 15,46; Le. 23,53) si debba riconoscere un rimasuglio inconscio di un costume funerario orfico: idea resa assai verosimile dal fatto notevole che nei tre sinottici il lenzuolo in cui viene avvolto Gesù è designato proprio con la singolare parola sindone (Giovanni 19,40 parlasolodi bende), che è il termine tecnico usato per il velo-di cui si avvolgevano gli iniziati (v. Zagreus p. 49). Il recensente sospetta che io, seguendo il Loisy, voglia negare, non so bene con qual frutto, la storicità di quel l’episodio, c non comprende invece che proprio perchè quell’episodio si può connettere archeologicamente e filologicamente a un uso millenario (V. Zagreus. p. 42 s.) esso appare verosimile: c che se per gli altri ravvolgimento del corpo del Messia nel sudario è solo possibile o probabile. per me è vero.
Qui non si tratta di idee che si possono accettare o resp:ngere in base a premesse teoretiche; si tratta di un complesso di indagini storiche che vanno valutate come tali: perciò mi pare strano che mentre Giovanni Gentile (Critica; fase. nov. 1920) trova che le mie deduzioni sono «incontesta-b i 1 me n t e fondate su una larga base di documenti • il critico di Bilychnis trovi questa medesima tesi « storicamente p iù che contestabile! >
Chi dei due ha ragione?
Risponderà la scienza: quanto a me
avrei semplicemente desiderato che chi si accinge a esprimere su nna rivista riputata e diffusa un giudizio su un lavoro come il mio, nel quale è condensata la riflessione c la indagine di un intero periodo della vita di un uomo, andasse un po’ più cauto nel-l’csprimerc giudizi di simil genere, e che almeno si mettesse in condizione di ben ponderare i numerosi argomenti filologici e archeologici che io adduco
Ma la posizione del mio recensente non è evidentemente la più favorevole a giudicare ricerche nelle quali solo una armonica cooperazione tra fede e scienza può condurre a risultati reali.
Ho parlato di fede, perchè io ritengo che, attraverso la meditazione dei fatti che adduco, il cristiano possa e debba arrivare a una più profonda comprensione della rivelazione cristiana, c ad una più piena intuizione di quel che significa la palingenesi spirituale cristiana, e di quel che è la vita eterna predicata da Gesù, alla quale questa nuova palingenesi è mezzo e propedeutica. « Solo chi ponga esattamente i termini e le condizioni — scrivevo in Gnosis I, p. 118 — entro le quali si operò questa enorme rivoluzione può aver una idea esatta della sua entità: e finché queste condizioni non sieno accertate, l'opera del cristianesimo apparirà sempre oscura e quasi indefinita, perchè avulsa dalla storia che è spirito essa stessa >. Questo ho scritto, c questo ripeto ora.
Napoli, febbraio 1921.
Vittorio Macchio ro.
Comunicate le osservazioni del Macchierò al redattore della nostra rassegna di studi biblici (r. e p.) ni abbiamo avuto la seguente replica :
L’importanza' dell’argomento merita una nota, giovevole a chiarire lo stato della questione nella mente di quei lettori che ne avessero una nozione inesatta.
Ripetiamo la citazione del passo d> Zagreus (p. 255) dove si legge, enunciata con chiarezza, la tesi che noi repudiammo dicendola « psicologicamente fragile, storicamente più che contestabile, fortemente viziata di semplicismo, e già difesa e illustrata da altri >. Quel passo suona così: < Dico; cioè, che secondo il mio pensiero la figura di Gesù Cristo consta di due elementi distinti, l’uno umano e storico, cioè Gesù; l’altro divino e mistico, cioè Cristo; e che il secondo deriva, miticamente considerato,
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dal Zagreo orfico ». Ora il prof. M. ci fa sapere, tra le altre cose sopra esposte, che a suo giudizio «il rapporto storico tra le due religioni dovette consistere in ciò, che il cristianesimo versò nuovo vino nel vecchio otre » dell’orfismo. Se non che il versare nell’otre e il derivare dall’otre del-l’orfismo non è proprio la stessa cosa. Noi parlammo e parliamo ancora della pretesa derivazione del Cristo divino e mistico dal mito orfico di Zagreo. Questa tesi noi non l’accettiamo — lasciando in disparte l’offesa che si reca alla coscienza cristiana con la trasformazione del Cristo divino in un mito, per quanto eticamente sia additato come superiore a quello di Zagreo — perchè è privala parer nostrp, di quella verisimiglianza storica che dovrebbe avere sul terreno della critica neotestamentaria.
Cinque anni fa noi scrivemmo in Bily-chnis (n. del marzo 1916) queste parole: « la ricerca dell’influsso che sulla terminologia, la teologia e i riti del Cristianesimo nascente può avere esercitato l’Ellenismó per via delle dottrine orfiche, del culto agli eroi e del ritua e, p aticato in tutto il mondo greco-ronv no nella celebrazione dei misteri di varia natura costituisce al presente una delle questioni più discusse dagli studiosi del N. Testamento ». E confortammo tale affermazione additando varie opere recenti e segnatamente quella del prof. Guglielmo Boussct intitolata: Kyrios Christos (Gottinga, 1913). Ci permettiamo di dire — absit injuria verbo — che le pagine dedicate in Zagreus alla tesi in questione ci parvero quasi un’inezia di fronte al poderoso e famoso libro del Bousset.
La distinzione tra il Gesù della storia e il Cristo della teologia, presentata dal prof. M. come « una sua idea », è nientemeno che il postulato fondamentale della moderna critica, specialmente in Germania, nello studio della dottrina di San Paolo c della vita di Gesù' narrata nei vangeli. A. Schweitzer ha fatto la storia delle ricerche su Paolo e su i vangeli, fondate sopra tale postulato, in due volumi (Ge-schichte der fiaulinischen Forschung. Tu-binga, 1912: Geschichte der Leben-Jesu Forschung. Tubinga, 1913) che destarono l’attenzione di tutti gli studiosi di esegesi neotestamentaria: noi pure in Bilychnis (n. dell’aprile 1916) abbiamo fatto cenno del secondo volume. Notiamo di sfuggita che lo Schweitzer, genial
mente, con linguaggio e intento palesemente contrastanti con l’ortodossia teologica tradizionale, ha cercato di stabilire Sesto resultato: criticamente la vita di sù non è stata scritta nè pare possibile scriverla; criticamente Paolo è un enigma che. tutte le moderne ricerche non hanno decifrato, nè pare possibile decifrarlo; tutti i tentativi di spiegare la sua cristologia c la sua mistica con gl’influssi ellenistici d’ogni natura sono falliti, c pare che dovranno fallire miseramente anche in avvenire. Noi non vogliamo essere così pessimisti; non diciamo neppure con lo Schweitzer che il paolinismo debba all'ellenismo religioso alcuni pochi vocaboli e nient’altro. Crediamo, invece, che non vada troppo lungi dal vero il Pflei-derer dicendo che il cristianesimo per guadagnare alle sue dottrine il mondo pagano doveva mostrarsi «con una teologia a due faccie, come è quella paolina: l'una giudaica e l’altra ellenistica » (Das Urchristentum, I, 330; 2* edizione). Ma un Paolo che deriva sic et simpliciter tutto il suo Cristo divino e mistico dal mito di Zagreo, comunque interpretato, è ai nostri occhi un monslrum historicum; invece agli occhi del prof. M. ciò si risolve in una bella, vera e cristiana tesi « nè posta, nè difesa, nè illustrata da altri »: volentieri gli concediamo che questa tesi sia tutta sua, e non ci maravigliamo affatto che gli sembri bella e buona: agli occhi della mamma la figliuola è sempre bella e buona.
Il Cristo divino e mistico — dice la critica rappresentata da E. Holtzmann — è una creazione di san Paolo perfezionata poi dal quarto evangelista; ma così nel pensiero paolino come in quello giovan-nico è una figura tanto complessa che lo stesso H. a descriverne gli elementi impiega tutto il secondo volume della sua classica opera su la teologia del N. Testamento. Il recensente di Zagreus non pretendeva di trovarvi-la'enumerazione compiuta degli ’elementi spirituali compo-- nenti il Cristo paolino; si sarebbe conten-. tato di trovarvi la sensazione della vastità e della profondità del problema cristologico nel campo della critica neotc-stamentaria; ma non ce l’ha trovata. Per poter affermare che nel mito di Zagreo, comunque interpretato,* ci sono tutti gli elementi del Cristo paolino bisognerebbe che, almeno, non vi mancasse un elemento tanto essenziale qual’è quello
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della resurrezione personale del dio morto e sepolto. Questo elemento manca nel mito di Zagreo orfico tradizionale. Il Loisy, nel suo libro sul < Mistero cristiano e i misteri pagani », scrive: • ¡’Orphisme, qui conçoit le salut comme une libération de l'âme enfermée dans la chair, ignore la résurrection du corps » (p. 471). Giustino ha parlato della resurrezione di Orfeo, ma con improprietà di linguaggio, evitata da Origene c da Diodoro. Appunto perchè manca a quel mito la resurrezione, il Loisy ed altri, pur congetturando influssi orfici sulla teologia paolina, cercarono tale elemento nel mito di Osiride e in altre leggende. Il prof. M. cr$de di avere dato del mito di Zagreo orfico una interpretazione che contiene anche la resurrezione, posto che la sua interpretazione sia giusta, la resurrezione vera e corporea del Cristo paolino è assai lontana da quella rappresentata dal mito com’è inteso dal professor Macchioro. Inoltre, dato e non concesso che nel mito orfico di Zagreo si possano ravvisare tutti gli elementi essenziali del Cristo divino c mistico, per poter affermare, con verisimiglianza storica, che questo è derivato da quello, c’è molta strada da percorrere ancora. Non basta che il mito di Zagreo sia cronolog;ca-mcnte anteriore alla predicazione di san Paolo; non basta additare la Giudea come regione più di ogni altra idonea ad elaborare l’idea di una divinità morente e risorgente; e nulla giova raffermare che « entro la Giudea stessa gli Esseni dovettero essere un attivò e importante strumento di diffusione delle idee » orfiche o affini (Zagreus, p. 267). Questa ultima affermazione non giova a nulla, diciamo, perchè ci sembra non solamente arbitraria, ma opposta a quanto circa gli Esseni,’ dentro la Giudea, ci permettono di congetturare le notizie tramandateci da Giuseppe c da Filone; nessun critico autorevole in tale questione (quali p. e. lo Schürer, il Bousset e Oscar Holtzmann), a quanto ci risulta, si è arrischiato mai di dare agli Esseni il compito, che loro attribuisce il prof. Macchioro: appunto Serchè non si concilia con il carattere che egli Esseni dentro la Giudea ci è dato di congetturare. Non osiamo escludere che il prof. M. sia meglio informato di noi su di ciò; ma ad ogni modo la questione non ha importanza notevole. Una questione di massima importanza è, invece, quella che si riferisce alla psicologia e mentalità
di Paolo ebreo nato da ebrei e fariseo zelantissimo tra i farisei. La questione sta qui. Paolo aveva una mentalità fondamentalmente giudaica, magistralmente analizzata p. e. da E. Holtzmann. Che tale fosse la sua mentalità è cosa ammessa da tutti i critici più autorevoli. Posto ciò come mai potè egli indursi a derivare dal paganesimo ellenistico di qualsiasi forma tanti elementi precipui della sua teologia cristologica e mistica? Un seguace della religionsgeschtliche Methodc qual’era Guglielmo Bousset sentì come pochi altri studiosi questa difficoltà enorme; e cercò di superarla evitandola con il mettere Paolo dinanzi al fatto compiuto: nel suo lavoro sopra menzionato egli fece nascere il Cristo divino c mistico da un culto pa gano assorbito dalla primitiva comunità cristiana di Antiochia; e poi vi condusse Paolo a venerarlo, e a farlo sua propria vita spirituale. In questa maniera il B. ha stabilito il contatto della mentalità giudaica di Paolo con il paganismo"^ellenistico: quale che sia l’esito, lo sforzo è ma-raviglioso.
Dal canto suo il Loisy diè prova luminosa di sentire tale difficoltà e cercò di superarla cou mirabile abilità nel suo lavoro sul Mistero cristiano e i misteri 'pagani. Tutto il merito dell’erudizione e della penetrazione che si trova in quelle pagine non uguaglia il pregio psicologico del tentativo di presentare un Paolo inconscio assimilatore di cose ellenistiche: di quella voce inconscio il Loisy maravigliosamente sa farsi un ponte per varcare un abisso; e a chi dà tale prova di capire il problema di cui parliamo, noi dobbiamo fare tanto di cappello, pure dissentendo profondamente da lui circa tante e gravi cose. Nelle pagine di Zagreus noi abbiamo trovato, invece, un Paolo docilmente condotto dinanzi al mito orfico per metterlo teologicamente in bella copia, tranquillamente! Tali pagine noi le dicemmo e le diciamo, quindi, psicologicamente fragili, fortemente viziate di semplicismo, e storicamente più che contestabili, t:
Quanto all’episodio dell’avvolgimento in oende o in un lenzuolo del corpo del morto Gesù, se il prof. M. vuole accettarne la storicità non ci dica che « la sindone dei misteri pagani è consacrata dal-1* Evangelio còme sudàrio di Gesù »: questa proposizione si può interpretare nel senso che quel racconto evangelico non sia altro che l’espressione religiosa di un rito o di
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un mito pagano. Che si debba in ciò riconoscere un rimasuglio inconscio di un costume funerario orfico, noi non Io crediamo; non ci si offre prova di sorta per una ipotesi ' tanto sorprendente — asserenti est onus probandi.
In fine,' siamo lieti di leggere che il prof. M. aveva ed ha la buona intenzione di giovare all'apologetica cristiana.
Ma che il contenuto del cristianesimo sia superiore spiritualmente a quello del-l’orfismo è cosa tanto ovvia che nessuno degli studiosi che finora rintracciarono j'rjnflusi di questo su quello ha osato negarla, a quanto noi ne sappiamo; non è poi un’ardua impresa il dimostrare la esistenza del sole in un pomeriggio di luglio! Che la tesi della derivazione del Cristo divino e mistico dal mito di Zagreo or? fico possa giovare all’apologetica cristiana, è cosa che non riusciamo a capire: se mai deve trattarsi di un cristianesimo un po' diverso dal nostro, che è quello tradizionale e comune finora alle chiese evangeliche.
r. e p.
PER UNA MAGGIORE TOLLERANZA ED INTELLETTUALITÀ
C’introduciamo con un episodio che in questi giorni abbiamo colto vivo vivo sulle labbra di p. Gemelli, in una sua conferenza fiorentina, nello splendido salone di palazzo Corsini. Egli perorava la causa della sorgente Università Cattolica del S. Cuore, in Milano, e venuto a parlare del modo come si potè finanziariamente attuarne il progetto, p.*Gemelli narrò come egli e i suoi amicij si fossero ripetutamente, ma invano, rivolti alla generosità del conte Ernesto Lombardo, « il cassiere del Sacro Cuore », com’egli ama chiamarsi. E a quelle reiterate richieste di denaro, il conte imperterrito insisteva nella sua risposta: « Denari per un’opera di cultura? Neppure un centesimo. La cultura non giova. Per altri scopi nostri — malati, circoli, istituzioni cattoliche — sì: per opere di cultura, no ». Un bel dì però, commosso nel vedere tanto tristi i promotori dell’idea d’una università cattolica a Milano, passando ^opra alle sue pregiudiziali antiintellettuali, si lasciò decidere a pagare lo splendido palazzo in Via S. Agnese, 4, ove ora ¡’Università cattolica del S. Cuore ha la sua fissa sede. Ripensavamo a questo episodio nel leggere un articolo a firma « sac. Giovanni
Penco » sulla Rivista del clero italiano (febbraio 1921). Il lungo articolo del Penco (pp. 62-70), dal titolo: « Y. M. C. A. », prendendo lo spunto dal docum. del S. Officio 5 nov. 1920, il quale lanciava l’allarme contro l'associazione nota col nome Young Men Christian Association e le riviste Fede e Vita, Bilychins e II Testimonio, enumera tutte le più recenti condanne contro le suddette attività culturali, come la Lettera collettiva dei Vescovi Lombardi (giugno 1920), gli articoli apparsi in a Les Nouvelles Religieuses (Parigi, 1918), in Studia Sacra (Padova, 1920) c in Civiltà Cattolica (1). Dopo tale enumerazione, il P. passa a tracciare sinteticamente, fiorettandolo di varie inesattezze e di un esagerato senso allarmistico, la storia e l'elenco di varie associazioni ed organi di cultura — sportivi o culturali, evangelici o no — per finire con parlare di Bilychnis che a lui pare « pericolosa » (pag. 69) per la sua < apparenza scientifica ». per la « curiosità e attualità dei suoi argomenti » e, accomunandola con. due riviste recentemente condannate daH’Autorità Eccles., Religio e La Rivista Trimestrale di Studi filosofici e religiosi accenna oscuramente alle « file di una trama misteriosa, che tenta di far rinascete sotto nuove forme il modernismo sconfitto e di attentare all'integrità della fede, nel centro stesso del Cattali -cismo » (pag. 70). E conclude, in fine, così: « Bisogna, di fronte alla spaventosa organizzazione del male, opporre una illuminata, ordinata e poderosa organizzazione- del bene » (fc sottolineature sono nostre). Che dire? Le surriportate parole parlan da sè. Per noi ci onorano, data la testimonianza che ci viene dalla purezza della nostra coscienza. Esse non ci faranno piegare d’un millimetro dal secolare nostro programma: Post tenebras lux. E. ben meglio che ritorcerle e usare i termini che alludono al settarismo o al passatismo, diciamo, più nobilmente, ai vari Gemelli ed Olgiati del Coartato promotore dell’università del S. Cuore, i quali non disdegnarono — sia almeno in omaggio a quella serena obiettività e libertà d’indagine scientifica cui essi tanto reboantemente s’appellano
(x) Li riferiamo come un bel fascette di documenti da aggiungere — a scopo documentario — ai tanti che, dal secolo xvi in poi, sono accumulati negli < Indices librorum proMbitorum • e nei vari e interessantissimi « Indices cxpurgx-lorii ».
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NOTE E COMMENTI
— di accettare sulla loro rivista simili documenti d’incolta intolleranza, come quello in parola: Che la sorgente Università divenga una vera e propria universi tas scien-liarutn et arlium. Che i laboratori scientifici, i gabinetti sperimentali c, sopra tutto, le anime dei futuri studenti di questo centro cattolico di studi possano registrare tutta una moltitudine di vitali esperienze e di luminose conquiste. Tal’è il nostro sincero augurio. Allora quei giovani, impregnati di luce intellettuale e di amor del vero, comprenderanno i nostri sforzi elevatori e la nostra opera awivatrice!
Piero Chiminelli.
IL MONUMENTO A GABRIELE ROSSETTI
Dopo che altre volte l’idea di erigere un monumento al patriota e poeta del Risorgimento Gabriele Rossetti era caduta, questa volta l'iniziativa sembra ripresa con successo definitivo per impulso dei vastcsi residenti a Roma e con l’adesione della Associazione Abruzzese Molisana. Il monumento sorgerà a Vasto, paese natale del R. Invece di riprendere la tanto dibattuta questione circa la confessionalità del poeta — rimase cattolico, oppure, in terra inglese, aderì egli alla Riforma evangelica? — insistiamo qui su un fatto che è più importante d’ogni altra esteriorità di rito ufficiale e cioè sull’intima essenza evangelica che animò il pensiero e si rifletté ne’ canti rossettiani. Tra le altre sue pubblicazioni, oltre quella Sullo spirilo anlipapale che produsse la Riforma... (1833), Il Veggente in solitudine c Iddio e l'uomo. ci piace a tale scopo ricordare ì’Arpa Evangelica (Genova, 1850). G. Carducci (Poesie di G. Rossetti ordinate da G. Carducci. Firenze, Barbera, 1861)" a proposito dcl-VArpa Evangelica scrive (pagg. xlii-xliii) : « Queste poesie religiose composte da un povero vecchio esule e padre di famiglia a conforto della sua cecità, ridondanti per ciò di un affetto vero e profondo di religione; di quella religione che risponde agli arcani bisogni del cuore, che si mesce al sentimento della natura esteriore, che si confonde all’amore della patria e de! genere umano, che anzi che schiacciar l’uomo ne rafforza la dignità, queste poesie sono veramente e belle ed utili e civili poesie. E desidereremmo, che così facili ed armoniose come elleno sono, venissero accolte a far parte della educazione religiosa dei fanciulli ed anche dei giovinetti, a’ quali pure si cacciano in testa tante vanità c tante goffaggini ». Fin qui G. Carducci. ed il suo giudizio è perfettamente rispondente a quella che davvero fu l’evangelica, la cristiana finalità prefissasi da G. Rossetti, nel comporre la sua Arpa: « È mio ardente voto — Egli scrisse a Ì»refazione — che queste rime, nutrendo 1 pietà con l’armonia, inspirino ad altri quei sentimenti che me le hanno dettate ». Per tal modo G. Rossetti viene unito — col Mameli, col Mazzini e con altri innumerevoli — a’ que’ magni spiriti del Risorgimento italiano cui rifulse netta la visione del divino.
Piero Chiminelli.
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Gli avvenimenti di politica religiosa del mese nella stampa
SOMMARIO :
i. Un monopolio internazionale delle opere cattoliche? - 2. Cose caratteristiche di Francia - 3. La decadenza del partito cattolico belga - 4. Panortodossismo e rapporti fra Russia e Vaticano - 5. Il macchiavellismo Iugoslavo, la Santa Sede e l’Italia - 6. Relazioni diplomatiche tra la S. Sede e gli S. U. d’America? - q. I.a Internazioanle bianca.
1. In Francia il lungo ritardo frapposto alla definitiva approvazione della ripresa delle relazioni col Vaticano permette alla fantasia di sbrigliarsi in immaginazioni di ogni genere sugli intrighi che gli altri Stati combinerebbero per togliere alla Francia la parte d’influenza che le spetterebbe come protettrice dei cattolici. Mons. Baudrillard p. es. ncH’EcAo de Paris sostiene che vi è stato tempo fa una riunione plenaria dei Vescovi degli S. U. nella quale fu approvato un progetto tendente a costituire un grande trust monopoliz-zatore di tutte le opere cattoliche fuori del quale non ne rimarrebbe alcuna. I vescovi manderebbero direttamente a Roma le somme destinate alla missione nei paesi infedeli e ne sarebbero esclusi gli accentramenti fatti finora dai consigli francesi della Propagazione della fede. La sostituzione della Francia in quest’opera avverrebbe nominalmente da parte di un consiglio internazionale, ma effettivamente da parte degli americani perchè si sovvenzionerebbero e si creerebbero delle Missióni
negli Stati Uniti, in modo che fossero ivi concentrate le opere missionarie le quali passerebbero così in mani irlandesi e tedesche più o meno americanizzate. A questo progetto avrebbero già aderito la Spagna, (’Olanda, l’Italia e naturalmente la Germania; ed esso sarebbe, ca-deggiato sopratutto dalla stampa ’italiana poiché l’Italia, dopo la Francia, conta il maggior numero di missionari e penserebbe così di rifarsi della sua mancanza di mezzi finanziari con l’intervento intemazionale.
2. Realmente però la politica religiosa in Francia in questo momento languisce tra i commenti alla lettera pastorale del cardinal Dubois nella quale egli ha predicato la crociata contro l’ignoranza religiosa — alla quale hanno fatto coro tutti i giornali clericali — e i commenti dei giornali socialisti a base di critica uso secolo xvm sulle invenzicni o sulle speculazioni sacerdotali a spese della buona fede delle masse. Merita conto però segnalare un aneddoto riportato
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dalla France libre del 6 febbraio che mette iu luce tutta la forma meschina dcll’ata-vismo religioso della Francia.
Una domenica si commemorava coll’intervento di una immensa folla nel cimitero di I>eval)ois Pcret la morte di Luisa Michel con discorsi incendiari c con bandiere rosse spiegate, allorché un proletario, tenendo per la mano due fìglioletti, si avvicinò alla tomba della vergine rossa. I bimbi deposero sulla pietra due modesti mazzolini di fiori, si scoprirono, si fecero il segno della croce, poi se ne andarono. Così la generazione che viene, celebra Tanni versano della morte di una rivoluzionaria che durante tutta la vita lottò per realizzare la società senza Dio nè padroni e contro la quale — secondo lo stesso giornale — i curati bretoni armarono il braccio del fanatico Lucas.
3. Più interessanti sembrano le notizie che vengono dal Belgio dove si teme ormai per le prossime elezioni lo scacco definitivo del partito cattolico. La guerra e le dissensioni manifestatesi nel partito, dopo la vittoria, tra i due organi cattolici vallone e fiammingo, hanno permesso al partito socialista di fare notevole numero di proseliti e di affermare la sua potenza.
Se si può dare un giudizio — dice il Corriere del Mattino di Verona in una corrispondenza da Bruxelles — è certo che la responsabilità di questa scissione pesa sui Valloni che nel loro conservatorismo ■ cazionario vedono in ogni (riforma in favore dei Fiaminghi uno spostamento della politica locale da Parigi verso Berlino. Ora, sebbene si dica esservi una reazione contro il socialismo nelle masse popolari, tutta la forza del partito cattolico poggia sulla mirabile organizzazione del clero belga. Si nota però nelle stesse file del partito cattolico l'affermazione di una tendenza ad una separazione della politica dalla religione poiché lo stesso orgario nazionalista cattolico La Nation Belge, recentemente confessava che il partito cattolico aveva avuto la sua ragion d’essere nel Belgio; ma che il giorno in cui esso non avesse a temere da alcun potere o da alcun governo per la sua fede e per la sua libertà non vi sarebbe stata ragione perchè esso continuasse a stare sulla breccia. La qual cosa è stata presa a ragione dai socialisti come un omaggio alla loro saggezza, dappoiché col partecipare dei socialisti al Governo si sarebbe avverato quello
stato di cose che aviebbe permesso ai cattolici di riconoscere come esaurita la ragione d’essere della loro funzione di governo. Così la tolleranza dei socialisti sarebbe fatale — al dire della Franco Libre — al partito cattolico e tutto al più si formerebbe, per opera dèi gesuiti, un centro che non sarebbe necessariamente un partito cattolico conservatore. Esso combatterebbe tutt’al più il socialismo per la minaccia ai beni dell’ordine e per la protezione di quel mondo elegante e scettico su cui i gesuiti hanno una certa influenza, senza però averla molto profonda. Così il partito cattolico, diviso in varie tendenze, sfiduciato e indebolito dalla guerra e dall’avvento dei socialisti al potere, sembra si prepari veramente a una débàcle.
4. Questa disunione delle forze cattoliche bclghe è tanto più significante, quanto più si nota così nel cattolicismo come nelle altre chiese la forte tendenza all’unità. Verso Costantinopoli, per es., ove starebbe per sorgere un monumento a Benedetto XV a spese degli acattolici, come omaggio alla sua opera in prò di essi e della pace — verso Costantinopoli per l’appunto VEccle-siasliki sllétheia avrebbe voluto che si appuntassero tutte le forze della chiesa ortodossa orientale, come contrappeso alla potenza del papismo la cui influenza, secondo lo stesso giornale, sarebbe pure politica, inquantochè il papa è italiano d'origine, di sentimenti e di lingua. Per ragioni storiche e politiche, quindi, la panor-todossia. dovrebbe opporre Costantinopoli a Roma.
Senonchè, mentre vi sarebbe una tendenza ad un accordo tra Boemi e Serbi per'l’unione delle rispettive chiese — non sembrerebbe che la chiesa russa nutrisse delle idee così bellicose come queste, che in fondo provengono dalla chiesa greca. La chiesa russa;, difatti, parrebbe, sino ad un certo punto, disposta anzi a venire a degli accordi con Roma inquantochè dopo la caduta dello czarismo sarebbero rese più possibili, al dire dell’ Agenzia Nazionale della Stampa, le condizióni di autonomia religiosa di quella chiesa. Ma se ciò è ancor dubbio, è invece certo che, secondo le Nouvelles Religieuses del 15 febbraio, la chiesa cattolica avrebbe intavolato delle trattative nel gennaio scorso con Lenin per far sì che mons. de Ropp potesse rientrare, nella sua sede che sarebbe ora trasportata a Mosca, con la-condizione espressa però
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che sarebbe riconosciuto alla chiesa cattolica la libertà di culto e d’insegnamento e le sarebbero restituiti gli edifici c i beni che le appartengono.
5. Per non intrattenere i lettori sulle solite questioni di conflitto d’interesse in Oriente sotto il manto delle competizioni religiose, tra le cui trame abbiamo visto più volte smarrirsi la dabbenaggine italiana, richiamiamo l’attenzione loro piuttosto sul volpino tentativo jugoslavo di attrarre — secondo quello che riceveva la Gazzetta del Popolo c a Belgrado — il Vaticano in un trane lo per giuocarc alla Italia un tiro veramente birbone. La Ju-Soslavia cioè avrebbe chiesto alla S. Sede i mantenere le diocesi di Lubiana, Segna, Madrussa e Ragusa nella stessa giurisdizione ecclesiastica che esse avevano nell’ex impero austro-ungarico, e che si estendeva ai territori ora passati all’Italia. La Jugoslavia asserirebbe che le attuali giurisdizioni non rispondono alle delimitazioni naturali etniche e spirituali e che quindi esse non si possono scindere senza gravi turbamenti delle popolazioni slave passate all’Italia. Quale pericolo costituirebbe per l’Italia un’adesione del Vaticano a questo passo della Jugoslavia non occorre essere esperti politici per comprenderlo.
« E evidente — dice giustamente Videa nazionale — che se la zona del confine italiano rimanesse nell'ambito delle arcidio-cesi slave, il pericolo sarebbe grande, perchè lo Stato jugoslavo avrebbe nelle sue mani la scelta cioè di tutti gli elementi più fanaticamente antitaliani e più ostinatamente perturbatori. Nè noi avremmo una contropartita sufficiente nel fatto che le chiese della Dalmazia settentrionale rimarrebbero sotto la giurisdizione dell’arcivescovo di Zara che, intanto... è un croato ». Stiamo a vedere che cosa farà Il Vaticano o ancor meglio se e come saprà fare il suo dovere l’Italia.
6. Abbiamo detto altra volta che il Vaticano procura di allacciare o riallacciare relazioni con tutti gli stati de! mondo. Ora con insistenza si parla dell’opportunità di creare una rappresentanza diplomatica della S. Sede nella capitale degli Stati Uniti. Le relazioni interrotte nel 1868 dovrebbero — a quel che diceva il World del 26 dicembre — essere riprese in seguito ad una vigorosa campagna fatta per indurre
il nuovo presidente Harding ad appoggiare un simile progetto. I! presidente non si sarebbe mostrato sfavorevole a tale idea a dal momento che — dice la Voce repubblicana di Roma — anche la Francia, uno dei paesi più contrari alla chiesa cattolica (sic), si è convinta della necessità di essere rappresentata presso il Vaticano ».
Viceversa la cosa sembra poco probabile a sentire quel che riferiscono gli Echi e Coni-menti del 5 febbraio :« Le tradizioni di ingerenza del potere civile nella vita interna della Chiesa alla quale purtroppo si riduce spesso in Europa la politica ecclesiastica degli Stati, sono ignorate nella Grande Confederazione americana. In una parola agli Stati Uniti esiste bensì la separazione tra la Chiesa c lo Stato, ma nel senso vero e leale, e non con quello spirito di ostilità che spesso si è verificato nei paesi europei, là specialmente dove la separazione, in seguito a manovre politiche ostili alla Chiesa, è succeduta ai preesistenti patti concordatari. Gli americani sono fieri di Sucsto stato di cose, hanno la coscienza i aver fondato c data solidità essi stessi alle loro chiese, di sostenere da soli il carico, e non hanno alcuna volontà di cambiare. D’altra parte, essi sanno che, se c’è un argomento che i protestanti cercano di sfruttare contro di loro, consiste appunto nel tentativo di travisare la loro unione di fede e di disciplina con Roma facendola passare come un asservimento di una parte del popolo americano ad un potere straniero. Non sembra quindi probabile che essi desiderino di offrire nuove parvenze di ragione a questo futile (?!) argomento, chiedendo una rappresentanza diplomatica del Pontefice a Washington ».
La dichiarazione di Harding non avrebbe quindi che un valore politico: propiziarsi sempre più i cattolici senza però riferirsi ad un’eventualità concreta.
7. Non volevamo parlare questa volta dell’internazionale bianca, ma all’ultimo momento ci giunge il Tempo con un articolo di G. Sorci sull'argomento e crediamo quindi opportuno di farne menzione, sia pure brevemente.
Il Sorci si domanda se 1’1. bianca accoglierebbe i tedeschi nel suo seno dopo che questi avessero date le garanzie che abitualmente si chiedono ai tedeschi — secondo la formula Clemenceau —; in tal caso 1’1. sarebbe fallita al nascere. Se d'altra parte la nuova internazionale volesse
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imitare la rossa dell’anteguerra non potrebbe che chiedere delle migliorie sociali in rapporto ai paesi più progrediti, come fece già quella. Se non che poiché l’Europa segue una legislazione di laicizzazione 1’1. bianca dovrà seguire... gli anticlericali e voler la sottomissione della chiesa. Quindi abbassamento in luogo di elevazione come tendeva a ottenere la rossa. Inoltre le autorità ecclesiastiche possono approvare un’associazione di questo genere, visto che la chiesa cattolica dovrebb • essere per l’appunto essastes a un’Internazionale bianca? Nè basta: da alcuni sintomi sembrerebbe dove. rilevarsi che 1'1. bianca, cercherebbe di impedire alla Germania di allearsi con la Inghilterra, vorrebbe attraversare ia strada inglese alle Indie per favorire la Francia, insomma opporre i cattolici dei vari paesi alla politica dei loro governi.
a II clero italiano ha lealmente accettato il regime sorto dal 1860 al 1870, dalle rivoluzioni, contro le quali il papato ha per tanto tempo protestato. In Francia però un gruppo di clericali più forte di quanto in generale si crede, rimane fedele alle idee di Luigi Veuillot; le raccolte dei cantici cantati dai ragazzi delle scuole parrocchiali mostrano come i partigiani del potere temporale non abbiano disarmato. In A-merica il Cardinale Gibbons, in un libro pubblicato a migliaia di copie (La fede dei nostri padri), parla delle usurpazioni piemontesi con altrettanta collera quanto quella di Pio IX. Se un’Internazionale
bianca prendesse piede sul serio, si ve drebbe risorgere la questione romana, con gran fastidio dei cattolici italiani, ai quali i frammassoni rimprovererebbero di nuovo di cospirare contro la patria.
0 II Vaticano non ha alcun interesse che i cattolici tedeschi, inglesi e italiani sieno segnati a dito come cattivi cittadini; durante la g erra esso ha dato prova di una grande abilità per non essere accusato di ferire i sentimenti patriottici dei vari popoli; mi sembro dunque probabile che esso farà tutto il possibile per circoscrivere l’organizzazione dell’Internazionale bianca che si vorrebbe oggi fondare ».
Questa conclusione del Sorci sembrerebbe avvalorata dal fallimento subito dall’iniziativa del Prof. Stcigcr, olandese, di raccogliere in un fascio tutte le organizzazioni cattoliche. I rappresentanti di queste riuniti a Parigi il 16 febbraio — al dir del Resto del Carlino — trovarono la proposta irrealizzabile « per la sua vastità non solo ma anche per il carattere rigidamente confessionale che il promotore ed i suoi consiglieri avrebbero voluto imprimerle.. Sulle basi da questi disegnate questa Internazionale avrebbe assunto l’aspetto di una seconda chiesa cattolica c d’altro lato avrebbe lasciato fuori tutto il gran fascio delle organizzazioni più vitali di , carattere sociale che hanno superato la fase del confessionalismo puro ». E tutto è finito nell’istituzione di un ufficio di informazioni'
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PEDAGOGIA E FILOSOFIA RELIGIOSA
Filosofìa e orientamento religioso.
Il Gentile ci ha dato di recente due volumi che rappresentano la « Teoria dello spirito come atto puro » c il « Sommario <li pedagogia ■ — cioè il suo pensiero filosofico e la espressione più direttamente pedagogica di esso — ridotti e parlati ad uso d'ogni persona colta. E’ rivolto, il primo, (i), a quanti, oggi, ansiosi d'un orientamento «religioso» nella vita morale e politica, si domandino che cosa possa dire di religioso- all'anima la nostra filosofia, il nuovo pensiero. —• Rivendicando, l’indipendenza sua dalla religione, il pensiero creava la moderna scienza della esperienza finita, dei fatti, c conduceva a una laicità negativa, neutra di fronte ai più alti problemi e fini de la vita, de la volontà. E una tale laicità (che dominava l’ultimo trentennio del secolo scorso in Italia e di cui fluisce ancora, più o meno ridotta, la corrente) non svuotava forse essa la nostra vita, politica e scuola, dei più intimi significati ideali, riuscendo sopratutto propizia a una astratta ed egoistica affermazione degli individui, de le classi, de le grandi collettività umane? — Ed ha ancora un certo corso fra le persone «colte » l’opinione che, insomma, il pensiero abbia ucciso la fede, e che la nostra odierna filosofia non sia fatta per risuscitarla. Ma il pensiero moderno, ricorda il Gentile, da lo stesso processo per cui creava la scienza dei fatti, era condotto a riapprofondire il fatto della esperienza, e così ad una sempre più critica scoperta e a una più fiduciosa riaffermazione della attività
(i) Discorsi di religioni, Vallecchi, Firenze.
spirituale che vige nella esperienza, e che non s’è dimostrata concepibile se non appunto come principio autonomo e creatore, infinito c assoluto: come il Dio intrinseco all'uomo. Cosi il pensiero nel finito c nel relativo in cui pareva dovesse smarrirsi ha ritrovato l’immanenza dell’infinito. E ci è dunque possibile una nuova libertà. La ragione conscia de l’infinità propria può non più incantarsi, rinunciataria, di fronte alla « natura » costruita da le scienze-particolari. E mentre, còsi, l'uomo più non si piega a delegare altrui alcuna forma del sapere e dell’agire. e più non si fa disposto a riconoscere una morale che derivi da un’autorità superiore alla coscienza, e infrange la tradizione c il costume, nè più intende uno stato e degli istituti sociali che sieno semplici fatti, celebrando in ogni campo d’attività l’immanenza a se stesso dei suoi valori, si volge a instaurare una laicità positiva, una nuova «re ligiosa » universalità. E in quest’ultimo ventennio, e proprio da noi, non s’è venuta ravvivando in molti animi, per questa via, la consapevolezza che la realtà più alta, nel mondo che pare della natura che si ripete» è l’individuo che crea; e che la verità e volontà più intima dell’individuo, che fa religiosa la sua azione, è l’universale, la legge, l’ideale? Mentre, dunque, il partito popolare (che, a traverso il modernismo, è figlio ibrido di questo medesimo movimento di pensiero) si sforza a risolvere esso, oggi, il problema politico ed educativo, e non può riuscirci, appel landosi, come fa. a una religione che non sa c non vuol definire, fuori e dentro, come vuol mantenersi, allo spirito del nostro tempo — queste pagine potranno
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RASSEGNE
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spianare la via a numerose coscienze, che chiariscano a se stesse, nel suo religioso valore, il concetto che solo oggi può riuscire moralmente e politicamente vitale, dell'autonomia. E ciò, nonostante, scendendo dai principi alla pratica, anche oggi, nella considerazione della chiesa positiva prevalente da noi (come ieri nella considerazione del nostro stato monarchico: cfr. Dopo la vittoria «La Voce» ed.pp. 147-162), il Gentile si lasci forse sopraffare dalla preoccupazione per l’attuale crisi della disciplina sociale. In rapporto ai liberi e... sovversivi concetti ch’egli esprime circa a la religione e al senso morale c politico de la vita, parrà, ad es., alquanto strana la parte che egli assegna allo Stato verso la chiesa cattolica. Lo Stato dovrebbe guardare alla chiesa come a propria alleata, per ciò, che gli spettereboe affermare il valore della religione quale essa effettivamente vive negli spiriti.... a traverso tutte le sue forme. Favorire, allora. di regola, il mantenimento del fatto per... promuovere il farsi? L’eteronomia per promuovere l’autonomia?. La reazione è la restaurazione, per avviare un più critico movimento di storia,?
Il pensiero didattico di G. Gentile — Dice il Gentile nell’altro suo volume (1), rivolgendosi ai maestri di Trieste: « Noi abbiam fatto insieme un grande esame di coscienza, riflettendo su quello che abbiamo sempre fatto nel nostro ufficio di maestri, su quello che era il nostro proposito, sull’interna logica della nostra missione: facendo Jcosì opera altamente umana, poiché l’essenza dell’uomo... ò acquistare coscienza di sè ». E in questo suo esame egli ha daccapo messo in rilievo vivacemente come la personalità non abbia una sostanza particolare che non sia insieme universale: quale personalità domestica, sociale, nazionale e politica. E considerando attentamente il fondo di universalità da cui ognuno di noi attinge il proprio valore umano — lingua, logica, legge... — s’è aperto la via a indagare il rapporto fra l’individualità, che ogni educatore mira a formare, e questo spirito universale che anche nella scuola interviene, c per l’appunto col maestro. E ha dimostrato come la immediata opposizione di maestro c discente in fatto si venga a grado a grado risolvendo nella
(1) La riforma dell’educazione, Laterza, Bari.
unità del processo spirituale — nella quasi mistica formazione di una spiritualità superindividuale — in cui l’educazione via via si attua. E per via ha avuto modo di ridifcnderc con nuova chiarezza, a proposito del problema dell’autorità, la libertà de lo spirito, negar la quale è rendere non solo inconcepibile la vita morale, ma impossibile quella stessa scienza in nome della quale la si neghi. E ha riconfutata la volgare posizione realistica contrapponendole la dialettica. La quale soltanto può* fare intendere davvero come non ci sia una natura fatta, ma lo spirito creante la realtà: una realtà che si fa, una 9 natura essa stessa opera sempre in corso dello spirito, un mondo ch’è alla sua radice quello de la buona volontà. E in questo concetto, in questa fede che la vera vita è quella che spetta all’uomo di creare liberamente, e il vero reale è la realizzazione del suo regno da parte de l’uomo conscio della spiritualità propria, che dunque la cultura è lo stesso processo di affermazione c liberazione dell’uomo, la scuola deve avviare la propria riforma, rendendosi l’educazione — anche quando voglia essere fisica — capace di mettere in moto tutto lo spirito, etica sempre.
Della Riforma è già in corso, in America, una traduzione in lingua inglese.
E volgarizzazione del pensiero didattico del Gentile riesce ad essere il volume del Maresca, pubblicato dalla « Voce • sotto il titolo: La lezione (in ciò affine ad uno del Codignola: Problemi didattici. • La Voce », Roma, 1920), pur mentre cerca far posto in quel pensiero alla esigenza psicologica. Nel problema della Lezione si riassume per lui quello della didattica. E in parecchi capitoli fa perspicua critica negativa del concetto puramente psicologistico del lavoro mentale, specialmente a proposito del ponderoso lavoro del Della Valle. Ma alla sua volta, il risultato positivo della sua indagine è reso forse un po’ magro dalla preoccupazione di non contaminare la didattica filosofica con quella concreta e storica.
Didattica e critica dei valori — Lo scientismo, lo psicologismo e il sociologismo, prevalenti nell'ultimo terzo del secolo scorso, spingevano a riproporsi il problema filosofico come critica della scienza, e della possibilità de la storia, e come ricerca de l’origine c del valore dei valori. E in Italia anche la questione dei
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valori non aveva mancato di trovare, negli ultimi quindici anni, un arido ed estrinseco riassuntore nell’Orcstano, dei critici sintetici nel Croce c nel De Ruggiero, c uno scolastico discettatorc nel Della Valle... Oraal Baratone, e non a caso, il problema filosofico-pedagogico si ripresenta come critica dei valori (Critica e pedagogia dei valori, Sandron. Palermo). Chi abbia una qualche familiarità col punto di vista del Windelband, od anche semplicemente del Brentano c del Lipps, rivivrà nel suo volume un nuovo sforzo nella direzione del Norma! bewusstseins, degli Aktc come contrappo ti agli Inhalte, c delle Objective Forderungen. che deriva il suo interesse dall’essere tentato dopo il più recente idealismo italiano, e come espressione d’un atteggiamento critico verso di esso. L’A., che ha fatto i suoi primi passi nella psicologia, come insegnante e come attivo socialista, s’è preoccupato, per via, sempre più intimamente, dei problema pedagogico. E riflettendo sul suo nisus educativo gli si è fatto sempre più chiaro ch’egli poneva la realtà di assoluti valori. Ed ha inteso l’insufficienza del mero psicologismo. Ed ora conviene che la pedagogia è filosofia. Ma oscilla tuttavia tra quel realismo che stava in fondo al ricorso alle Wcrththeorien e l'idealismo assoluto; fra lo spiritualismo ancora dualista, di chiara, neokantiana struttura, del Vidari, e l'idealismo monista, di hegeliana ispirazione, c certo, a primo aspetto, più oscuro, del Gentile. Contro la gentiliana insistenza che la dualità di educando e di educatore si risolva nell’unità del processo educativo, egli tende, col Vidari, a riaffermare che ove non si tenga fermo alla dualità si rende inconcepibile il processo medesimo. C’è processo in quanto vi sia distanza fra il dover essere c l’essere, c’è possibilità di educare in quanto lo sviluppo spontaneo non sia di per sè normale... Ed egli trova, ad es., che il Lombardo-Radice abbia potuto sviluppare una didattica perchè, mentre il Gentile discende dalla unità gnoseologica alla dualità pratica per negarla e riassorbirla (sicché la sua pedagogia pare non abbia di positivo se non la critica negativa dello psicologismo ed atomismo pedagogico) il Lombardo ascende dalla dualità pratica alla unità teoretica, che rimane una aspirazione, un termine ideale... Dall’altra non gli sfugge che la educazione rimarrebbe per lo meno ugualmente inconcepibile in un assoluto dua
lismo: dev’essere possibile un passaggio dallo spontaneo, dallo psicologico, al normale. E così, mentre cerca rifarsi al Kant della forma c del dato, si sente tratto a ritenere solo provvisoria una tal posizione. E si adopera ad escogitare un ponte tra la materia e la forma, il sentimento e l’imperativo categorico, il soggetto empirico c il valore oggettivo... - Giosuè vuole per brev’ora arrestare il corso del sole, a fin di poter vincere una battaglia, disposto a lasciare che di poi il sole prosegua il suo corso. E la leggenda gli fa arrestare il corso del sole. Ma come arrestare il corso del pensiero? Forse l’abitudine psicologica « trac ancora il B. a materializzare alquanto i termini di cui usa nello sviluppo del suo pensiero, e a sostantivare e contrapporre momenti che si compenetrano. Forse per questo oscilla ancora tra i due mondi del criticismo germinale e de l’idealismo post-kantiano, c par voglia abbandonarsi ad una attitudine prammatistica, mentre la sua fede ne l’assolutezza dei valori lo fa rifuggire dal prammatismo. Forse per questo indulge ad affermazioni paradossali come questa, che perchè educazione è filosofìa (come sviluppo di sistema nel pensiero) la famiglia c la vita non educhino; e scinde educazione ed autoeducazione... E forse per questo trova che il monismo spirituale, idealista, riduca senz’altro a gioco la vita dello spirito. Ma se l’essere si concepisce davvero inscindibile da! pensiero, c se il dualizzarsi della spirituale attività creativa nella posizione dell’oggetto, della natura, si intende nella sua necessità, allora il fato viene ad apparire momento della libertà e la vita e l’educazione dimostrano tutta la loro serietà tragica, lo sviluppo il suo significato di redenzione, l’ideale la sua distanza pur nella sua immanenza. E intanto solo derivando dall'unità la dualità può stendersi il dinamico ponte tra il particolare, il sentimento, la psicologia, e l'Universale, il Valore, l'Assoluto. - Comunque, fa piacere il ritrovare nel B. un uomo che cerca con personale sforzo la sua verità. E non mancano nel suo volume fini analisi psicologiche e interessanti soluzioni di problemi particolari. Ed anch’egli, ad es., è pervenuto a una convinzione che da anni in Italia io son venuto dichiarando, e cioè chezla nostra scuola, dal suo grado infantile a l'universitario, non potrà farsi veramente viva se la storia non diverrà il suo metodo. Partendo dalla elegante difesa
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vidariana d’un insegnamento scolastico basato su la geografia, egli svolge l’idea che, sviluppata come pensiero, la stessa geografia debba divenire storia. Ed io non
trovo ancora pienamente accettabile la sua deduzione del binomio metodico geografia-storia dal fatto che lo spazio e il tempo sono i caratteri, in funzione l’uno dell’altro, della realtà oggettiva come esistente molteplice, varia, c individuale e storica, o, più lontano ancora, dal fatfo che il mondo oggettivo è della identità nella molteplicità e della causalità, del divenire. La deduzione elei metodo non va latta per me da questo o quel carattere, dei valori oggettivi dello spirito, anzi dal concetto de lo spirito che è esso pensiero sviluppo, storia. Ma spesso le, nostre soluzioni attestano de) nostro senso de la vita spirituale meglio de le esplicite premesse che cerchiamo a loro giustificazione...
Il problema dell'insegnamento religioso — Nei volumi del Gentile c del Baratono è vissuto il senso della filosofìa come religione. Del problema filosofico che agita oggi l’insegnamento religioso può darci modo di sentire il turbamento un opuscolo di J. Volkelt (2?e/tgion m. Scinde, F. Meiner, I.cipzig). Questo onesto cd intelligente professore di Lipsia è stato senza dubbio un benemerito verso gli stranieri di pas-3‘o per quella università: in grazia.
e, della sua pronunzia: una pronunzia, come mi faceva notare un giapponese, alla viennese, da le sillabe c le parole bene staccate, con molta flemma e voce sostenuta e riposanti pause. I suoi lavori son come la sua pronunzia. Quello su L’Esperienza e il pensiero, che io segnalò, or sono molti anni, all’attenzione del pubblico, per alcune interessanti analisi psicologiche, è rimasto però sino ad oggi il più significativo. Egli s’è poi adagiato pacificamente nella contemplazione dei contemplatori. Ha articolato la propria ossatura mentale nell’ascendere le montagne del tragico e d’altre plaghe ancora. Ma non credo che alcuno studioso di estetica abbia mai potuto, ad es., altro che sfogliare la diffusa opera da lui accumulata in tre tomi, a traverso le sue escursioni, e nella quale gli sviluppi dei molti capitoli dicono in periodi ampi e ben pausati, non molto più dei loro titoli. Un aneddoto di cui garantisco di persona l’autenticità, può caratterizzare il suo stile: Un giorno gli capitò di cercare invano nel
l’una e nell'altra tasca interna dello stiffelius il manoscritto della lezione, che probabilmente aveva infilato per ¡sbaglio nella tasca del soprabito. Si perturbò, e tuttavia parlò, ma gli avvenne, non potendo indugiarsi improvvisando su tutti gli oziosi chiarimenti e «lehrreichen Beispielen o che gli riesce di dare scrivendo, gli avvenne di dover abbreviare d’una diecina di lezioni il suo corso per dar materia a queil’una. E la sua pedagogia, con qualche parsimoniosa eccezione, egli non aveva comunicato ad altri, sin qui, che ai giovani legalmente iscritti ai suoi corsi. Oggi egli cijoffrc un opuscolo pedagogico che dovrebbe essere la pietra di paragone del suo animo intimo e un contributo all’orientamento sociale ne la torbida ora presente. E ci parla col suo non niet zschiano fraseggiare, dai tendini che tirano forte: «hiernach, dazu, überhaupt, zwar, zunächst, umgekerht, dadurch, vor allem aber... wir dürfen ansehen... », ci parla in 14 capitoli di 64 pagine complessive della importanza del suo problema, de l’essenza della religione in genere, e del-suo rapporto con l’arte, la scienza e la moralità, della sua potenza culturale, c della posizione del ragazzo, dello stato della educazione di fronte ad essa. E poi cerca sotto la polpa il nocciolo del Cristianesimo. e traccia le linee direttive di un insegnamento religioso protestante. Una insueta condensazione di pensiero? No, anche in queste pagine c'è posto per un ridondante e pacato fraseggiare trattenendosi in luoghi comuni. E a un certojmo-mento si potrebbe essere tentati di applicargli una sua riflessione che testualmente riportata può costituire un breve e completo saggio del suo stile. « Ich gehe wohl nicht mit der Annahme fehl, dass... hiermit ist jedoch Keineswegs etwa gesagt... -. Ma qualcosa può riuscire interessante anche per noi, in quest’opuscolo, come segno dei tempi: se non la soluzione ch’egli ne dà, per es., la formulazione di un aspetto de) problema su « I lavoratori tedeschi c la Religione». Per una grandissima parte dei lavoratori tedeschi, il V. rileva, sia pure accademicamente, la religione è una cosa che ha fatto il suo tempo,.specie da quando i condottieri della social democrazia han mostrato in essa una forza conservatrice, in servizio quindi del capitalismo. Ma che pensare di quelli, che come Walter Cranc (egli non conosce, si vede, il non germanico Sorci) vedono nella stessa iderr del socialismo un sostituto della religione, in
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quello ch’cssa ha di essenzialmente moralizzante: la forza di spezzare l’egoismo? Non è la fede in un nuovo ordine sociale pacificante gli uomini in un regno di giustizia che dovrà venire [anzi, converrebbe notare, che dovrà essere attuato con’ la coopcrazione di.ciascun individuo] una sorgente di animazione ed elevazione morale? Non è essa fatta per rafforzare in definitiva la coscienza del dovere?... E ancora: - Internamente ai protestantesimo [voglio, una volta tanto, tradurre alla lettera qualche suo periodo] noi ci. si vede di contro al fatto che esso si scinde in due direzioni così profondamente opposte che si può quasi essere tentati di parlar di due religioni; là: Cristo figlio di Dio; qua: Gesù, l’uomo nel senso naturale della parola; qua il Cristianesimo fondato sulla rivelazione, là il Cristianesimo come lo storico prodotto d’uno sviluppo... Avendo riguardo a questa situazione si fa avanti il pensiero seia cosa più adatta non sarebbe, in ogni scuola, sinché sia in questione il protestantesimo, che l'insegnamento religioso venisse impartito in doppia guisa. L’un maestro di religione sta sul terreno del Cristianesimo « positivo », l’altro professa una concezione, come si dice, < liberale » del Cristianesimo... I genitori, salvo opposizione dei ragazzi, sceglierebbero tra l’uno c l’altro tipo... E intanto, pensa il Volket, si potrebbe sperare che via via il soprannaturalismo di una parte dei protestanti avesse a poco a poco a trapassare in una più libera concezione, secondo lo spirito del Lessing e del Kant... cioè secondo quello spirito filosofico del cui avanzare il protestantesimo ha segnato un decisivo passo — per cui il contenuto etico della religione perdendo il suo carattere di rivelazione s’è venuto sempre più dimostrando espressione di umana — e così divina — ragionevolezza... Ma il Volket finisce per trovare che a tal fine, a mantenere l’unità del movimento religioso protestante in questa direzione, il meglio potrà essere, per ora, che i maestri si mantengano in una linea di mezzo. Lasciando al possibile da parte i dogmi, senza tuttavia espressamente negarli. - Un modernismo protestante nella scuola, insomma, quale si attua dai tanti insegnanti tedeschi che han lottato contro il vincolismo chiesastico nell'insegnamento religioso. E con Gesù e con Lutero, come personalità religiose da proporre ai ragazzi, Herder, Pe-stalozzi, Fichte... Il V. rivolge tuttavia
una punta poco felice (a p. 43) contro il collega pedagogista della vicina Jena, se non mi sbaglio, prendendo a distinguer nettamente gli ammaestramenti su lo stato storico raggiunto dalla religione c la storia di essa che dovrebbe se mai, secondo lui, venire in ultimo. Così il suo modernismo, se per un verso è più avanzato, per l’altro è men chiaro a se stesso di quello del Rein.
Ma egli sa (e conviene che le sueDar-legungcn sien fatte per mostrarlo) < welch eine feinvcrwickelte Sache es um di Re: ligion ist ».
Gino Ferretti.
Educazione a dogmatica? — M. Corday pubblica pei tipi di E. Flammarion (Parigi) un volume che porta per titolo Les mains propres. Il sottotitolo: Essai d'éducation* sans dogme, ricordava probabilmente \’Esquisse d'une morale sans obligation ni sanction del Guya 1. E non è difficile notare nel contesto lo sforzo di seguire le orme certamente originali, se non profonde, dell’illustre pensatore. Ma un destino burlone si prende gioco di questi antidogmatici — che confondono il dogma con un ordinato sistema, che cerca ragionatamente di raggruppare le complesse verità sotto un unico principio — e mai forse ho letto, sentenze più pretenziose e petulanti di queste che il Corday ci scodella, senza mai darsi la pena di puntellarle alla men peggio. Ne volete qualche saggio?
« En effet, qu'est-ce qu’éduquer? C’est compléter, fortifier et redresser, par l’influence du milieu, les notions confuses déposées dans le petit être par l’atavisme et l'hérédité »(p. 2).
Semplice, è vero? E niente di dogmatico. Solamente non si capisce troppo bene cosa possa fare questa povera educazione chiusa nel circolo dell’influenza dell’ambiente e delle nozioni confuse ereditate. Cioè, si capisce solo che molte nozioni confuse deve avere ereditato, e senza fare alcuno sforzo per digerirle, l’autore. Proprio indigesto è ormai questo pregiudizio che confina l’educazione a le petit être. Lo ribadisce l’A. a pag. 131: «Le caractère de l’adulte ne se modifie guère. Il a ses traits arrêtés, comme le visage. Quel chagrin, malgré les plus fermes résolutions, de constater Îu'on ne parvient pas à redresser sa nature... :t alors, cette consolation nous reste: tous les fruits décevants de notre expérience,
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nous allons en faire profiter ceux qui sont nés de nous ».
Dove l’educazione appare un che di miracoloso. Infatti, partendo dal postulato ch’essa consti di successivi adattamenti all’ambiente (tutta la seconda parte è intitolata: Adaptations) non si capisce più a chi e a che si dovrebbe adattare le petit être per perfezionarsi, se l’adulto, per definizione, ne se modifie guere.
Se poi l’educazione è concepita quale •attività cosciente d’un fine (e bene o male, più male che bene, così devxs concepirla anche il Corday) capace di realizzare un suo ideale, perchè parlarci ancora di adattamento? Ma sentite, come è concepito il fine.
« Oui, tous, malgré des apparences contraires, malgré de déconcertants détours, tous veulent leur bonheur» (p. 6). Però concede, bontà sua, che « notre bonheur a pour limite^ le bonheur du voisin ». Ma non esageriamo troppo e guardiamoci specialmente dalle esagerazioni religiose: « Oui, entre la morale religieuse, froide, tranchante, nue, austère, et la sauvage morale de la force, la morale du browning, il y a place pour une morale souriante, épanouie, rayonnante, la morale de la fleur». La conosciamo; se ne parlava già nei giardini d’Epicuro; e poi queste parole sanno di Montaigne rifritto. Ma non è il caso di prendersela troppo calda. Questo libro piatto, rimpinzato dei peggiori luoghi comuni della tramontata posi-tiverla non invoglia, nemmeno ad un’agile ed acre schermaglia.
Anzi, ci viene il sospetto d’avere sollevato la pietra d’una fossa da cui si leva alito di corruzione c di sepoltura.
Guido Parazzoli.
Come un maestro vede la scuola. — E la vede bene: anima con anime, meglio che maestro con scolari: — vito.prim a assai che scuola. Si sente in queste pagine quasi il travaglio della gestazione, lo sforzo di chi cerca Impressione adeguata all’idea profondamente vissuta, ma non ancora chiarificata. E niente pose rivoluzionarie: il Colombo affonda quasi con gusto le radici nella tradizione, anzi. Chi vuol costruire non distrugge, vivifica: si abbatte la materia, non lo spirito, a Nel mondo detrazione una critica non ha valore, se ad ogni negazione non corrisponde una affermazione più alta ed altrettanto pre
cisa Giusto: chè troppi blaterano, invece che scomodarsi a costruire. Ma, non soltanto nel mondo dell’azione, anche in quello del pensiero: chè, in sostanza, non c'è un fare che non sia un agire;
Forse, appunto, la fede nel lavoro-fatica (i «calli alle mani »-malattia (figurata) del secolo) si appalesa con qualche punta di ingenuità. Regola generale: buon scolaro, ottimo lavoratore. Si ama il lavoro ch’è il nostro attuale lavoro.
In-verità, un gran soffio d’ottimismo, pur traverso alla consapevole visione de’ mali, di cui la scuola soffre, scorre per tutte le pagine, riuscendo a far sperare, e a incitare. L’uomo Colombo, pel quale la serenità è « madre di vita », vi si rivela intero: « Ogni malinconia ha il suo conforto ». « In questo mondo vi è più sale di quel che non si pensi ». Può darsi; ma quando il buon Colombo vuole estendere l'esemplificazione ai maestri (e alle maestre!) di pedagogia... ahi!
« La fede crea la propria giustificazione • è il titolo di un capitoletto. E si legge: « La scuola non prende solo, ma anche, soprattutto, dona ». Questa è, si, la fede; non il commerciante di parole in cerca di clienti a’ quali spacciare la merce; ma l'uomo ansioso di accrescere la propria spiritualità, suggendo da ciascun’anima il suo meglio, persuaso che nessuno è mai cosi « maestro », da non esser sette volte al giorno scolaro, di fronte anche a’ propri scolari. Chi non sente questo divino senso del dono, e non sa faine cibo alla sua fame, nè la scuola può realmente sentite come vita, nè gli scolari accogliere come fratelli nello spirito. E allora c’è l’impiegato: misera cosa cui il posto non soddisfa: che cercherà di elevarsi di posizione, non potendolo di spirito. Allora si brama la carriera: direttore, ispettore... Chi, dunque, ispezionerà lo spirito, se non lo spirito? Ma, è dubbio che con il regio — anche se primo —ispettore scolastico, lo spirito faccia il suo ingresso nella scuola. « L’ispettore è un gran brutto mestiere. Tanti tornerebbero maestri; ma son legati, non possono più muoversi. Illusioni della carriera ».
Non lo so, non lo so, amico Colombo se « tanti • ispettori tornerebbero maestri. A giudicare dall’aria trionfale con cui vi dichiarano la loro qualifica — come di chi siasi, finalmente!, liberato, — dalla voce soffocata con cui vi correggono, se vi capita di chiamarli semplicemente
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maestri, dagli occhi umidi di gratitudine con cui vi guardano se li chiamate « professori » direi di no... Gente devota alla scuola e non alla carriera, maestri che sappiano concludere nell’officio magistrale la pienezza della loro umanità» ce n’è pochi...
Questo libretto contribuirà certo a ridare coscienza ai tentennanti, a rinsaldare la schiera dei veri costruttori. Chè insegnare è. appunto, costruire: « la scuola nacque per esaltare non ciò che è, ma ciò che deve essere ». Rispetto e valutazione • della tradizione, sì; ma valutazione che sia sopratutto rivalutazione, rispetto che non si risolva in gretta ripetizione; che di ciò che è accolga gli elementi per costruire ciò che deve essere.
In questo è realmente scuola: e cioè lo spirito.
♦ * *
Non a caso — nè per mera coincidenza di collezione (quella diretta dal Lombardo-Radice per la « Voce ») — io unisco al precedente volumetto del Colombo (n. 30), quello del Pico (n. 26): Confidenze. Ci siamo abituati a vedere i nomi di Pico c Colombo accumunati da iniziative e da operosità, così da stimare impossibile che l’uno possa mettersi per una via senza che l’altro, di slancio o di passo, non lo segua. E come il Colombo, neanche il Pico vuol darsi arie di scopritore di nuove americhe pedagogiche; in questo, però, come nell’altro libretto, si sente che la « nuova pedagogia », germinata dal pensiero del Gentile e del Varisco, s’è fatta carne viva; meglio che l’eco della scuola in queste pagine se ne coglie la vita.
C’è la critica della vecchia scuola; ma più a traverso un movimento drammatico che risente gratamente l’influenza dcl«Flachsmann l’idealista », —lasimpatica ' figurazione dello Ernst sotto i cui buoni auspici si iniziò la bella collezione di Scuola e Vita — che per disquisizioni e diatribe.
Momenti, scorci, spunti fugaci, figurine ed episodi disegnati sacrosantamente dal vero: la scuola guardata cod occhi di uomo e di artista.
C’è in queste pagine uno spietato ardore di auto-critica, un accorato senso della propria insufficienza di fronte alla funzione magistrale. Non la solita antifona del • nobile e ardua è la missione del maestro • biascicata in tutti gli « elabo
rati » (!) delle normali, e nemmeno la retorica del « missionario e apostolo • sbrodolata in tutti i brindisi e manifesti; ma un’anima modesta e insieme dignitosa, che, al contatto vivo con altre anime, sperimentando giorno per giorno il valore di « maestro » come plasmatore degli spiriti, sente la tremenda gravità del mònito: uno solo è il vostro maestro: il Cristo; una anima che quotidianamente si sforza di affinarsi, di correggersi, di acquistare più alta consapevolezza.
ìa praticar — la famosa pratica degli cmponconi — della scuola è in ciò; altrimenti, trent’anni di scuola pesantemente inerti son peggio che nulla: il mestiere.
V. Cento.
Didattica dell’inventività. — Il quaderno 21 della stessa collezione contiene il volumetto di G. Ferretti. L'alfabeto e i fanciulli. Un buon libro da raccomandare agl’insegnanti come tutti quelli delia raccolta. Come quello sul numero c i fanciulli (qui forse informa più piana e più... accessibile) e come lo dice il sottotitolo, esso forma un’altra parte di quella didattica dell’inventività che il Ferretti propone da qualche tempo in qua e che speriamo possa applicare ed assaggiare in pratica perchè veda se realmente può dar buoni frutti. Chi scrive, prima ancora che il F. la proponesse, l’à adottata in parte con i propri figli. Ma ciò che si può fare con alcuni soggetti non è detto possa farsi con tutti. Indubbiamente essa dovrebbe dare al fanciullo autonomia e coscienza, attuare, in una parola, l’autodidattica invece di sottomettere lo spirito a quell’incessante violenza de}]'autorità che,spesso così male l’incarna! C. G. C.
Storia della scuola e delle dottrine pedagogiche. — Non abbiamo una storia della pedagogia. E mentre si attende che Giovanni Gentile e Giuseppe Lombardo-Radice ci diano quelle che veramente saranno, pur con diversi criteri, storia del pensiero e della scuola, giunge opportuna la pubblicazione dcll’Arrighi che porta questo titolo, lodevole sopratutto perchè non ha pretese. L’Arrighi deve aver ragionato press’a poco così: storia della pedagogia è concetto tale, che segue da vicino, anzi, è la stessa teoria pedagogica rivissuta storicamente. Ogni insegnante che si rispetti v’imprime la propria im-
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pronta. Di che abbisogna specialmente l’alunno? di qualcosa che integri il pensiero del l’insegnante, che ne colmi le. inevitabili lacune, specie per ciò che riguarda nomi notizie c la successione logica c storica. Perciò l'idea di ridurre il materiale al massimo possibile e di distribuirlo in tavole sinottiche chiare c ordinate, ò, sembrami, opportuna, in quanto l’alunno che si avvicina per la prima volta allo svolgersi del pensiero umano, non può reggere ai peso dell’edificio storico, si muove a di-• sagio fra il succedersi di pensatori e di avvenimenti, e ha bisogno, appunto, di una inquadratura anche esteriore che lo aiuti a orientarsi.
Occorre poi notare il senso di lodevole oggettività scientifica dell’Arrighi. Le sue convinzioni religiose e il suo appartenere a un partito politico sensibilissimo a quanto anche da lungi lo riguardi, non gli fanno alcun velo^nel giudicare con franchezza di uomini e cose che a quel partito o a quelle convinzioni si riallacciano: del che gli va data incondizionata lode.
In conclusione: non invadere il campo di nessun insegnante, riuscire, anzi, di au
silio a tutti, questo mi pare sia stato l’intento de ¡’Arrighi c può dirsi ch’ei l’abbia esattamente assolto.
V. Cento.
Dizionario della lingua italiana. — È una magnifica opera questa che, iniziata da circa due anni dall'Unione tipografico-edi-tricc torinese, viene perseguita con la stessa signorilità ed è 01 mai presso che a-tcrminc. Rimettere in circolazione la fai tica italianissima del Tommaseo, rendendola più agile e tale da poter esser accolta con agio dalle famiglie, oltre che dagli studiosi, senza tuttavia intaccarla nelle sue caratteristiche essenziali, e in modo da poter attuare la sentenza della Crusca « quel vocabolario è migliore che più radamente rimanda senza risposta chi lo consulta 0, è stato l’intento dell’amoroso compilatore, Guido Bragi, l’insigne bibliotecario della Medicco-laurcnziana di Firenze.
Ci permettiamo di indicare l’opera pregevolissima a quanti amano avere un perfetto stromento di affinamento e dì cultura linguistica. V. Cento.
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Ciò che non muore del positivismo . — Nel fascicolo luglio-dicembre 1920 di Logos, A. Aliotta consacra alla memoria di K. Ardigò poche pagine molto interessanti per l’affermazione che contengono su quanto non può morire del positivismo. Egli sostiene cioè che due sono gli atteggiamenti che assume la nostra mente di fronte alia nostra esperienza che è poi la vita stessa della realtà nel suo svolgimento e cioè: quello romantico e quello positivo. Ambedue sono essenziali alla vita concreta che è « insieme soggettiva ed oggettiva, diversa e comune, varia ed eguale, contrastante ed armonica ». Ora il positivismo ebbe torto di cercare una pura verità oggettivane) fatto, credendo che esso esaurisse la verità, mentre in realtà l’aspetto di questa è duplice. Da questo eccesso deriva secondo l’A. 'o scetticismo che è ottimo antidoto contro le epidemie romantiche, ma che può dar luogo ad errori se si pretende che sia vero solo ciò su cui v’è accordo. « Le visioni individuali dei pensatori non sono che frammenti unilaterali del mondo. Solo il metodo positivo nella sua funzione sociale ci permette, attraverso gli schemi della logica comune, di realizzare accordi sempre più vasti del nostro io con l'universo. Esso solo è freno, regola eterna contro gli arbitri speculativi ».
G. A. Fichte e le nostre tendenze spirituali — P. Gatti in Logos del luglio-dicembre 1920. prendendo in esame il genuino pensiero di Fichte contro i traviamenti e le deformazioni che ne sono state fatte durante la guerra, mette in evidenza il principio morale da lui affermato: « Ogni singola azione conduce ad una più completa
libertà spirituale », per stabilire come il concetto di coscienza esista in lui appunto come equivalente all’esistenza di questi sentimenti puri e non altrimenti. Egli vuol quindi all’individuo, come alla sua nazione, come all’umanità, assicurare l’impero dello spirito, provocando nella coscienza umana un movimento intcriore verso una purificazione profonda e quindi una completa autonomia della vita c del pensiero.
La vera ragione dei Discorsi alla nazioni' tedesca è tutta nella volontà di F. di rigenerare la sua patria da quell’egoismo degradante che si era impossessato del popolo e del principe dopo Jena. Egli crede che questa rigenerazione si realizza rinunciando al mondo materiale per elevarsi al regno dello spirito c dell’ideale. Più che ad altri egli riconosceva ai tedeschi questa attitudine a raccogliersi nell’interiorità spirituale veramente intensa che egli esprime colla voce Gemüt.
La storia e la storiografia nel pensiero di B. Croce sono studiate e messe con molto acume in evidenza da E. Barbagallo cd O. Masnow nella Nuova rivista storica del novembre-dicembre 1920. Sebbene l’esposizione sia chiara e voglia essere imparziale temiamo assai che risponda perfettamente alle idee del Croce, sopratutto nell’ultima parte, giacché, parte per un giustificato bisogno di difesa dell’opera propria e parte per un intento polemico che ne fa deviare la visuale diritta, l’esposizione degli AA. non segue più il pensiero crociano che nella sua indeterminatezza —bisogna confessarlo — si sforza di distinguere ciò che non riesce a distìnguere nella sua concezione, la storia dal romanzo.
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La redenzione degli istinti secondo G. Marchesini (Rivista di filosofia, luglio-settembre 1920) è un processo di elevazione spirituale al quale si giunge attraverso una meditazione ed un raccoglimento intimo ed a una conscguente'restaurazione. Essa deve avere un modello ideale, non senza trascurare le leggi della evoluzione psicologica: « Come ogni opera d'arte (essendo tale essa medesima) richiede che si 'riconosca la materia sulla quale si opera »e le leggi che ne operano la trasformazione. Egli ritiene, perciò, che questa redenzione non possa ottenersi che con < un idealismo, a così dire, realistico, naturalistico, positivistico ». Il processo è passionale, ma lento, intcriore, sebbene a disciplinarlo giovino, sopratutto • nella prima età, i lumi, i consigli, le suggestioni generose ma sagaci degli educatori ».
Su la dottrina plotiniana del tempo richiama l’attenzione C. Ranzoli nella Rivista di Filosofia del luglio-settembre 1920 facendone notare l’importanza perchè rappresenta il passaggio tra la filosofia antica c la medievale, le cui concezioni divergono per il fatto che quella lo considera in sè o nelle sue applicazioni cosmologiche e questa lo esamina in rapporto agli attributi principali della divinità. Facendo riflettere alla notevole influenza, che la dottrina stessa ebbe in Simplicio, Proclo, S. Agostino. Boezio e Schopenhauer stesso, il R. ne studia i caratteri fondamentali dimostrando come per lui il tempo non sia se non « la vita dell'A-nima considerata nel movimento col quale passa da un atto all’altro » come egli lo definisce e dove per l’Anima deve intendersi il terzo principio delle cose, ossia il verbo e l'atto dell’intelligenza che con vertendosi verso l’Uno la genera, c dal quale in virtù della sua potenza in eccesso è generata. Insomma per Plotino « il movimento è una semplice misura accidentale del tempo e non ha alcun rapporto con la sua vera essenza ». invece per le dottrine precedenti la definizione del tempo racchiudeva, come concetto fondamentale, il movimento.
Il R. esamina pure la critica che delle dottrine epicurea, stoica, pitagorica e sopratutto aristotelica fece Plotino, concludendo che la sua comprensione ed interpretazione peccò non di rado per profondità.
Cultura e filosofia. — La Rivista di .filosofia del luglio-settembre 1920 pubblica la conferenza tenuta sotto questo titolo da B. Varisco al Congresso italiano di filosofia, della quale fece già cenno il nostro Cento. Per i lettori che vogliono conoscere qualche cosa di più diremo ohe il Varisco. esaminando il problema della cultura dalle basi e cioè dimostrando la frammentarietà della cultura ed. il suo carattere specialistico, in tutte le sue forme, e distinguendola daH'crudizione che è altra cosa, e dalla vita pratica, che consiste in qualche cosa di ben differente, giunge all’affermazione che per orientarsi all'uomo è necessaria la cognizione. La cognizione del Tutto implica, equivale ad una filosofia, una conoscenza cioè completa del pensiero umano così complessivo che individuale. Ne segue che per filosofare bisogna distinguere: le distinzioni alla loro volta implicano la Unità. « L’Unità — conclude il V. — è di certo, per un verso, viva e immanente in noi, altrimenti non saremmo capaci di conoscerne resistenza. Ma per un altro verso, noi ci sentiamo infinitamente piccoli di fronte anche al solo mondo fisico, che pure è una semplice ombra del pensiero unificato. Ci sono ragioni che ci esaltano, c ragioni che ci deprimono: per ben orientarci, dovremmo riunir quell • e queste in una sintesi ben determinata. Il lavoro necessario a costruire la sintesi non finirà così presto, anzi non finirà mai. Non ce ne lamentiamo. Quando il lavoro sia bene avviato — e possiamo lusingarci che davvero sia bene avviato — la sua importanza consiste, non tanto nei suoi risultati, quanto nel suo effettuarsi.
Nel l’effettuare questo lavoro l’uomo si rendo sempre più e sempre meglio consapevole di sè stesso nelle sue relazioni con l'Unità; e in ciò consiste, possiam dire, la sua perfezione; perchè la perfezione dell’uomo è nel suo continuo perfezionarsi ».
Sul concetto della durata reale e dell’intuizione in Bergson fa nella Rivista di Cultura del 15 ottobre 1920 alcune osservazioni U. Spirito con l’intendimento di dimostrarne l'inanità, poiché se si accetta il principio della « durata reale » ossia del tempo vero, si deve stabilire l’insufficienza dcirintclligenza a prendere conoscenza, poiché logicamente la durata reale non può distinguersi dal tempo concepito per successioni e quindi misurabile che il Bergson afferma giustamente non esser tempo ma
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spazio..Se si accetta d’altra parte l’insufficienza intellettiva per la conoscenza si deve ammettere l’intuizione, e per la sua immediatezza dovrebbe essere prc-logica o pre-intellettuale, mentre per il Bergson non lo è perchè presuppone l’intelligenza; il che per U. Spirito è un assurdo. Se si eccepisce poi l’insufficienza della parola c del linguaggio a ragguagliarci delle cose, l’A. ritiene che si offrirebbe al bergsonismo una scappatoia che gli costituirebbe una base di ceitozza assolutamente invidiabile ma altrettanto soggetriva.
Hoelderlin e Leopardi. — Non ci sembra riustito l’avvicinamento che Karl Vossler ha fatto nella Rivista di Cultura del 15 dicembre 1920 e le ragioni le ha dette lo stesso articolista quando ha affermato: « Nel temperamento di Leopardi prevaleva la ribellione [sarebbe meglio dire: la disperazione angosciosa], in Hoelderlin la sottomissione. Quegli, portato allo scetticismo, all’ironia e al disprezzo, amava sentirsi e figurarsi in atto di rivolta: Bruto Junior«. Questi pio e di animo credente, pensava e rappresentava sè stesso fondatore di una nuova e profonda religione naturale: Empedocle ». A parte questo difetto scolastico, fondamentale dell'articolo, difetto che sarebbe tempo di sopprimere, è interessante rilevare dallo studio di Vossler la figura pessimistica dell’Hoelderlin, da noi poco conosciuta, a malgrado della sua gentilezza e della sua religiosità.
Lo spirito del monachiSmo benedettino. — Esaminando in Gnosis (I, 119) sulle traccio dei più recenti studiosi la ricostituzione dell’iniziale testò delia Regola c considerandone lo spirito che l’animava nella parola diretta del suo grande fondatore, E. Buonaiuti giunge a queste importanti conclusioni: « ...non è più, in alcun modo, consentito negare che l’ascetismo nella sua natura fondamentale di lento e laborioso alternamento psichico per l’annullamento delle passioni carnali e per il conseguimento della perfetta imperturbabilità, è un fatto extra cristiano, nato c perfezionatosi nei circoli dello stoicismo, del neopitagorismo e del neoplatonismo. Con ciò però non si vuole e non si può dire che il cristianesimo, nejlesue forme iniziali, non comprendesse ed inculcasse quelle medesime rinuncie e quei medesimi superamenti, che l’ascesi stoica e ncopla-tonica poneva al termine di un prolungato
addestramento interiore. Soltanto che il cristianesimo primitivo, saturo di aspettative messianiche c di entusiasmo mistico, affidava l’attuazione di tali rinuncie al sentimento gaudioso della palingenesi spirituale, della grande e profonda ¡xeróvata, in virtù della quale il credente, l’eletto, trasfigurato sotto l’azione dello spirito, si sentiva completamente svincolato dalla carne, e in certo modo posto nella impossibilità di soggiacere al fascino ingannatore dei sensi; mentre l’ascesi extracristiana, legata e raccomandata unicamente alle forze della speculazione razionale e di un processo raziocinante, che tentava faticosamente di salire alla certezza dei valori spirituali, non poteva garentire 1’ àz«3«ta che a nuclei ristretti di privilegiati, capaci di percorrere nella contemplazione tutto il ciclo della purificazione interiore. Sicché potrebbe dirsi che cristianesimo e a-scetismo soddisfano alla medesima esigenza di affrancare gli uomini dalla malia della materia, della colpa, del piacere mondano. Ma il primo lo fa religiosamente, chiamando gli uomini a partecipare ad un universale appello di riscatto cosmico: il secondo lo fa filosoficamente, inculcando il senso della dignità spirituale e della necessità che l’uomo, essere razionale per essenza, soggioghi e domini le attitudini e le aspirazioni della inferiore sensibilità. II cristianesimo doveva fatalmente finire con l’accogliere sui margini della propria organizzazione le forme tipiche del l’ascesi extracristiana, il giorno in cui divenuto religione di maggioranza c smarrita quella virtù carismatica onde si era retta nell’entusiasmo l’abnegazione eroica delle prime generazioni, si fosse trovato nella incapacità di esigere da tutti quella rinunzia nella gioia, in cui erano vissuti, tuffati nello Spirito, i credenti dell’epoca neotestamentaria e sub-apostolica ».
Sul finalismo della vita E. Rignano ha pubblicato recentemente un opuscolo Che non è se non una conferenza tenuta a Ginevra ed a Parigi, del quale ci riserbiamo di parlare prossimamente. In esso egli sostiene che ogni organismo vivente tende a conservare la sua invariabilità fisiologica ed a ritornarvi se essa è turbata o ad adattarsi al cambiamento, costituendosi del nuovo stato una seconda natura. Ora questa tendenza sarebbe dovuta ad una proprietà mnemonica, caratteristica di ogni essere vivente, la quale, grazie alla sua
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qualità fondamentale, l'evocazione, giustificherebbe il ritorno allo statu quo ante. E siccome tale proprietà di accumulazione mnemonica sarebbe speciale dell’energia nervosa, questa da sè sola spiegherebbe tutto il « finalismo della vita ».
A questa teoria F. Bottazzi oppone in Scentta del gennaio u. s. alcune sue osservazioni che tendono a scalzarla dalle basi c che noi non riassumeremo per la loro eccessiva tecnicità. Basterà ricordare di passaggio che il B. preferirebbe, se mai, all’energia nervosa sostituire lo spirito, che potrebbe essere la base della vita, ma pur di quella inorganica, allora.
Il R. replica alle osservazioni del B. naturalmente sostenendo il suo asserto ed insistendo — c questo è forse il lato più importante della polemica — sulla necessità della sintesi scientifica per poter far valere e vivificare i risultati delle speciali ricerche scientifiche. * Io mi domando — dice il Rignano — se non è questa la prova la più esplicita dei danni ai quali si espone lo specialismo ad oltranza, di mettere cioè delle barriere tra scienze che presentano numerose affinità, mentre esso accomuna scienze sostanzialmente distinte; e ciò non grazie alla natura intima dei fenomeni studiati, ma grazie alla tecnica diffeiente o simile adoperata nello studio. Questo rivela la necessità delle vedutesinteticheche al di là di questa o quella tecnica casuale, sappiano prender di mira le caratteristiche essenziali dei fenomeni ed abbracciare così in un solo colpo d'occhio e ricondurre all’unità scienze affini che sono state disgiunte artificialmente da una tecnica di corta vista ».
Il concetto di fede — Nella Rivista di Milano del 20 gennaio u. s. A. Omodeo tenta di spiegare in poche pagine il valore storico dell’esperienza della fede, fissando le basi dell'affermazione della fede nella concezione filosofico-scicntifìca classica per la quale il problema che si impone è quello di trovare un rapporto della realtà supc-rioic, ossia Dio, con quella inferiore, ossia l’uomo. La fede, cionondimeno, valeva dal periodo ellenistico in poi « come energia che instaura il rapporto religioso ». Con il Cristianesimo la fede, originariamente, acquista quasi un valore magico come sembra rilevare dalle parole di Gesù: «Se a-veste fede quanto un graneilo di senape, potreste dire a questa montagna: sradi
cati di qui e gettati nel mare » (i).Con Paolo invece, l’intimità della fede produce molto di più, genera una assoluta coerenza di vita. « Ciò «che non procede da fede è peccato», ma ciò non di meno si tratta di una fede che è vincolata ad un contenuto, a Cristo, in cui tutto si concentra ed alla cui opera tutta la vita si assimila. Però distinguendo la fede dalla gnosis (conoscenza illuminante.) c questa trovando solo nel-l'al di là il suo compimento, la credenza cristiana « un via l’esperienza della realtà soprarazionale del dogma ». Nasce così il « millenario contrasto di fede e ragione » c sorge la posizione di una duplice verità che « coincide, sia nel campo teorico che in quello pratico, con l’inaridimento di una di esse ». Così si svolge, indipendentemente dalla fede, la verità razionale fino a che non tenta « nello spiritualismo moderno di dcterminaisi, secondo il primitivo sogno della fede, come tazionalità assoluta ».
La filosofìa contemporanea. — Nella Scuola Cattolica di gennaio, G. Tredici, esaminando brevemente i capisaldi delle filosofie di M. Blondel, di E. Boutroux. di E. Bergson, di B. Varisco c, di sfuggita e solo come affermazione di antipositivismo, di B. Croce c G. Gentile, conclude che ritiene esser visibili nella filosofia moderna delle tendenze ad un ritorno alla metafisica ed alla scolastica. Superato il positivismo, secondo il T., gli stessi principi fondamentali del criticismo kantiano sono in discussione e si nota pure in molte correnti un’affermazione di trascendenza che dà bene a sperare. Sebbene dal punto di vista cattolico tali tendenze non offrano ancora un appoggio qualsiasi, secondo l’articolista, delle filosofìe molto prossime alla concezione cattolica di notano già: quella per es. del De Sarlo, che offre una metafisica « fondata sui concetti si sostanza e di causa, con un’anima sostanza spirituale,, e Dio causa dell'universo ».
Povertà e ricchezza nell’Evangelo. — L. Tondelli nella Scuola Cattolica di gen(x) Queste parole di Gesù, nello spirito di tutto il suo insegnamento, affermano l'immensa portata della fede fatta in gran parte di volontà, di decisione, di proposito. Ciò che può apparire magìa, miracolo alla ragione, può divenire realtà per la fede. Su questo punto non v’è differenza tra Cristo e Paolo (Red.).
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«aio esaminando i passi dei Vangeli che si riferiscono alla povertà c alla ricchezza conclude che Gesù non insegnò nessun sistema economico-socialc e non propugnò alcuna riforma politica, ma semplicemente uno spirito nuovo di cui dovevano essere penetrati tutti i rapporti e le attività sociali. Le forme storielle della comunità cristiana non ci ragguagliano affatto sul pensiero di Gesù a questo riguardo: esse non sono che la forma che assume l’opposizione dello spirito evangelico allo spirito del mondo. Senza il primo che procura di contendere al secondo la direzione spirituale della società nessuna combinazione eco-nomico-sociale potrà essere duratura o fondamentale.
Il paganesimo dei Lettoni. —La Lituania fu cristianizzata alla fine del xn secolo da Medardo, l’apostolo che i tedeschi considerano cono l’unico civilizzatore di quella rcgionej'mentrc i Russi affermano ch’essa fu cristianizzata da loro qualche tempo prima. Parlando delle sue origini storiche A. Palmieri nella Vita italiana del 15 gennaio fornisce alcuni dati sulle credenze pagane dei Lettoni, che ai lettori non dispiacerà conoscere.
« Pramsus è il Dio supremo, il creatore degli dei e degli uomini. Dievs o Jupis il Dio della luce. Sanie, il sole. Fra gli dei del cielo, Perkuns personifica la forza. I suoi altari troneggiano sulle vette delle alte montagne. Il Vulcano della mitologia classica è Debeskaleis, figlio di Perkuns, Vasta (Vesta) è la dea del fuoco.
« Il Panteon lettonico aveva i suoi dei del mare, delle tempeste, del focolare domestico. Milda era la dea dell’amore: Tikla del matrimonio: Geda della gioventù.«! Pikols personificano gli dei dell’inferno. La terra d nota sotto il nome di Zemes. Li-gajs è il Febo classico. Il suo culto e le cerimonie pagane del dì della festa si son perpetuate nella commemorazione di San Giovanni.
« Saule era considerato come il datore della vita. Guidava un carro d’oro con tre cavàlli di diamante, oro ed argento. Vi è una strana rassomiglianza tra le preghiere che nei canti popolari lettoni si rivolgono al sole c le preghiere del Rig-Veda. Nelle leggende popolari Perkuns apparisce come l’amico della verità e della virtù, il protettore della bellezza ed il datore della ricchezza agli uomini. In tempi di siccità lo si invocava e gli si offrivano dei sacrifici.
« I serpenti erano venerati come animali sacri: si tenevano in casa e si lasciavano financo dormire coi fanciulli. Vi erano dei boschi sacri, e si considerava un delitto estirparne un ramo. I Lettoni avevano il culto dei morti quantunque cremassero i cadaveri. Sulle tombe dei loro congiunti ponevano cibi.
« I Lettoni avevano il loro clero. La casta superiore era distinta col nome di Krivs. Il supremo sacerdote, Krivyu Krivs, risiedeva a Romo ve o Ramava, una città sacerdotale, il cui nome deriva da rants (calmo, pacifico). Intorno a Romove eravi la foresta sacra >.
La condanna di Cristo e la condanna del cristianesimo. — Sotto questo titolo B. Motzo neìVAtenc e Roma (N. S. II, 1) Subblica una sua ricerca sul titolo giuri-ico che ha costituito la condanna dei cristiani, la quale fa fare più di un passo indietro alla vexata quaestio. L’A. che pare non conosca in modo completo la storia del cristianesimo nei primi tre secoli, non distinguendo affatto i periodi delle persecuzioni, ma confondendole in un’unica serie di fatti storici, ritiene che il titolo per la cui ricerca s’affannarono tanti studiosi, sia quella del nomen, ma non come reato a sé, bensì come reato di seguire il ribelle. Cristo, che era stato condannato già dal governatore della Giudea. La conferma poi di tale reato, fatta dal tribunale neroniano, quando si constatò che questi seguaci del crocifisso erano genìa della peggiore specie, avrebbe costituito la sua forma giuridica. Il M. ammette perciò solo per un trentennio la connessione tra giudaismo e cristanesimo che invece si prolungò visibilmente per quasi un secolo, e con la dilucidazione traiana fa (ìcU'institulum nero-nianum il caposaldo di tutte le persecuzioni!
E inutile far notare ai nostri lettori come il semplicismo di questa ricostruzione storico-giuridica derivi probabilmente da poca conoscenza della storia e del problema nel-l’A., al quale dev’essere pur ignota molta parte della letteratura sull’argomento, se non cita neppure una volta'quella tesi del Bouché-Leclercq che ha pur fatto fare un gran passo alla questione e che fu anche chiarita e completata dal Costa per i lettori di questa Rivista. Ai quali non abbiamo fatto cenno dell’articolo se non per l’autorità della rivista in cui appare c per amor di completezza di informazione^ bibliografica.
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A proposito del manifesto di Oxford con cui i professori inglesi hanno invitato i tedeschi ad una ripresa delle relazioni scientifiche, G. Sorel critica nel Resto del Carlino del 27 dicembre, l’atteggiamento ostile che ha assunto contro di esso la stampa inglese e sopratutto francese.
• La storia ha dimostrato — egli dice — che la civiltà moderna ha hisogno( per mantenersi, del concorso di tutti i popoli. Ciò è fuori dubbio per la civiltà industriale, ma io credo che sia vero per tutti i casi. Non si può non notare la povertà della filosofia, dopo che la Germania ha indirizzato le sue attività intellettuali a mète pratiche. Il socialismo, che nel futuro sarà probabilmente considerato come l’espressione moderna della metafisica, ha potuto raggiungere l’altezza che tutti sanno solo per merito di Marx. Ma dopo che la socialdemocrazia tedesca ebbe trascurato le grandi speculazioni del vecchio maestro, il cui nome essa invoca tuttora, il socialismo andò cadendo sempre più in basso, finché è apparso Lenin; cosi la Russia, dopo la Germania, ha portato la sua pietra allo edificio della civiltà nuova. Questo esempio dimostra all’evidenza quanto importi l’universale collaborazione dei popoli ».
Giuseppe Prezzolini dà nel Resto del Carlino alcune informazioni sulla Scuola dei Soviet desumendole da un volumetto uscito a Vienna che contiene notizie importanti. Il caposaldo della riforma è, com’è noto, la libertà dcll’inspgnamento unico, il fondamento suo costituito dal lavoro, il tentativo di creare una cultura proletaria. Se non che questa specie di tentativo di pedagogia idealistica, ha i suoi difetti, come osserva giustamente l'autore. < La scuola — dice il Prezzolini — può essere legata al lavoro, purché sia vero lavoro, in quanto cioè la scuola nasce accanto all’officina o alla fattoria (tipo La Montcsca da noi) non in quanto si insegnino oziosamente dieci o dodici mestieri diversi. Cosi pure, mi sembra, l’intendeva Marx quando scriveva: « Il lavoro nella scuola deve essere legato con la produzione ». Ma per tutto questo compito mancano ai Soviet i tecnici della istruzione, gli intellettuali, ed illusoria in sommo grado è l’idea di una coltura proletaria. La spiegazione che se ne dà è questa: che il proletariato sente collettivamente e non individualisticamente, come il borghese. Ahimè! Una letteratura di questo genere é fiorita in Francia per opera di alcuni poeti molto borghesi c fu detta dcll’unanimismo: essa porta i nomi riveriti di Jules Romains, di Vildrac, di Arcos, di Duhamel, nessuno dei quali è proletario, ma probabilmente ha fatto gli studi classici senza mai toccare una lima o una pialla. Gli è che per comprendere poeticamente la vita delle folle e l'anima di chi lavora, occorre non già essere lavoratore e parte di folla, ma essere poeta ».
A. Castellini, nel Marzocco del 9 gennaio, parlando del libro del dott. Tasaku Haruda, la fede del Giappone (Kyoto) in cui sono esposte molto lucidamente le quattro grandi correnti religiose che si disputano nel Giappone l'orientamento spirituale del paese, afferma che l’anima giapponese e assolutamente incerta sull’indirizzo da seguire: confucianesimo, buddismo, shintoismo e cristianesimo non sembrano soddisfare completamente, presi singolarmente, i giapponesi.
« Del resto — prosegue il Castellini — nessuna di quelle credenze è mai riuscita a imperare da sola. Il Confucianesimo stesso, in un ambiente si fatto, se ha voluto prosperare, ha dovuto porgere una mano amichevole all’antitetico Buddismo; e ad ogni giapponese non riesce affatto illogico di dichiararsi in buona fede, seguace di tutte e tre insieme queste tendenze. Dopo lotte c schermaglie, più imposte da una volontà di uguagliarsi in tutto all’occidente, che sentite per un imperioso bisogno di razza, abbiamo visto recentemente assopirsi tutto questo tumulto di divergenze nel più pacifico indifferentismo ». • Per noi europei, che in materia di fede conosciamo pur troppo ben altre lotte, questa inquietudine giapponese che sta ora più che mai risorgendo con più acuto bisogno di una pronta c definitiva risoluzione, ha iu vero qualcosa di risibile, perchè la vediamo come lievemente serpeggiare sulla vita spirituale di una nazione che ha ormai conquistato uno dei primi posti nel mondo. Ciò che ha interessato questo popolo cosi vivace, nelle varie accettazioni religiose, è stato sempre l’elemento estetico del culto e l’importanza di un nuovo incremento di cultura... Anche il cristianesimo vale oggi e si diffonde in quanto é considerato un veicolo conducente in modo più certo al possesso della nostra cultura ».
• A contatto della civiltà cinese che ha il suo fiore supremo in Confucio, questi isolani si trasformarono in un popolo di levato sentire morale c di gusti raffinati; con l’acccttazione del Buddismo il loro spirito, rimasto fino allora come stretto tra le fasce del culto primitivo della credenza shintoica, ebbe spiegati davanti a sé, per la prima volta, i più gravi problemi dell’esistenza umana c l’enigma della vita cosmica. Oggi, dopo l’assetto politico il più brillante, accanto al governo più accentratoro che si possa concepire, ripullula questa febbre tutta intellettuale di una possibile fusione tra le quattro religioni già esistenti, L’interesse per un definitivo assestamènto spirituale risorge in maniera assai visibile. C’è chi asserisce che anche il cristianesimo non basti da solo e pensa a una scelta dei migliori clementi tra le quattro credenze. C’è chi scrive c afferma che tutte le religioni esistenti non sono che forme diverse di uno stesso fenomeno. C’è perfino chi spera che dal cozzo dì queste ne nasca una nuova. Per noi europei è del diù acuto interesse seguire da lontano questo mo-
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derno fermento di idee in un popolo dal quale, dato il suo passato, abbiamo il diritto di aspettarci, anche da questa parte, la più lieta delle sorprese ».
« Quello che fu per Bertrando Spaventa il problema centrale non chè filosofico, poli tico, del popolo italiano — e cioè la necessità che la filosofia, non vana erudizione e pascolo di menti solitarie, ma pensiero che si fa volontà ed azione, che si radichi negli animi e trasformi e riformi il carattere __appare ad A. Mal vasi nel Rato del Carlino
del 18 gennaio profondamente esaminato da G. Gentile nella sua opera su G. Bruno. Analizzando sulla scorta della quale questo problema veramente nazionale di trasformazione individuale e collettiva che deve condurre ad una trasformazione politica, nazionale, il Malvasi conclude cosi: «Perchè ora l'Italia risorga / politicamente, dovranno gli italiani compiere in sè l’opera di educazione religiosa, iniziata e in pari tempo infranta dal Rinascimento; elevando gli animi al culto del Dio vivo c creatore o dello Spirito che si dispiega nel mondo attraverso l'infinita ragione umana. Dovranno gli italiani uccidere in sè, come ammonirà il De Sanctis, l’uomo del Guicciardini, il letterato — poeta, scienziato, politico, filosofo — rintracciando 1'« Uomo » nel suo universale contenuto. Bisognerà che l’arte ritrovi il pròprio contenuto assoluto;, la coscienza dell'uomo, nella sua dirittura, nella sua dignità morale onde il poeta scopre in sè l'uomo c fa vibrare nel canto una corda non più udita da Dante in poi quale vibrerà in Parini, in Manzoni, nell'Al fieri; bisognerà che il politico realizzi lo Stato non più come libera creazione dello spirito, estetico; ma come sovrano organismo elico, quale sarà realizzato da Camiljo Cavour e dalla sua scuola; bisognerà che la filosofia si avvìi con Galluppi, con Rosmini, con Gio-berti, con Spaventa a intendere se stessa non come vano principio mentale ma come perenne riforma delle menti e dei cuori, cioè come creatrice di ógni valore spirituale, religioso, educativo ».
A Ferdinando Grcgorovlua ha dedicato T. Gnoli nel Tempo del 19 gennaio, un interessante articolo nel quale ha posto in luce, non solo la coscienziosa opera spesa dallo storico tedesco nella sua celebre Storia di Roma nel Medio evo, che ne fa -—per l'amore con cui fu condotta e per l’utopia con cui egli accarezzava una Roma che fosse sempre il caput mundi, che era stata la città medievale, una storia per cosi dire vissuta, — ma pur anche il suo vivo attaccamento per l'Italia e per Roma, il cui trasformarsi in una delle grandi capitali del mondo costituiva per lui un dolore ed una delusione.
« Luterano schietto, condanna le simonie, le velleità di dominio temporale regionalistico, la
corruzione della curia c del clero, il culto esteriore, le pompe orientali-spagnolesche, c tutta infine la forma edonistica ed estetizzante del cattolicesimo, per tanta parte dal paganesimo ereditata, nonché il soffocamento di ogni individualismo e spirito di/intcriore ed esteriore libertà; ed è portato ad esagerar quindi l’infiusso benefico della Riforma.
«Questo perchè egli è tutto presente, come uomo, nella propria storia, intesa non come arida crudizionF, ma come opera di poesia e di fede ».
La sua storia fu perciò opera di erudizione e di genialità di storico, tanto da essere citata come modello da un giudice severo.
• Già, infatti, il De Sanctis, nel suo ultimo insegnamento napoletano, doveva citare, come esempio di metodica, scrupolosa diligenza, il Grcgorovius «che si era chiuso per anni ed anni nelle biblioteche c negli archivi ed aveva donato al mondo la Storia della città di Roma nel Medio evo, ». (Croce, Critica, 19x9).
Un breve ritratto'di Carlo Sandburg,un poeta americano di molta potenza c di notevole vitalità poetica attuale, delinea 1». Falcone nel Marzocco del 23 gennaio, facendo notare il pessimismo ed il senso doloroso che animano le sue poesie, sebbene Cantino la vita tal quale oggi è.
• Dalla fede nella pienezza còsmica della vita, il Sandburg giunge sino alla dolente nostalgia dell’ombra. Lo scetticismo e il doloroso pessimismo che è nella durezza rocciosa della natura, si interiorizzano, si fanno intimi all’individuo: il mondo esterno è trasvalutato eticamente ».
• Ma dell’opera la sostanza prima e l'anima è la vita: l’affermazione piena, continua c pugnace della gioia. La vita concepita non come stasi idillica, ma come eterna conquista. Per questo in essa è sempre presente l'ombra negatrice. Perchè quell'ombra sia illuminata. Perchè la luce si /aceta. Là vita, primitivamente vista e sofferta.
« Il pessimismo del Sandburg è della natura di quello omèrico: la coscienza della vanità effimera labile della vita carnale, che crea i santi c gli croi ».
I cattolici contro Bergson — Cosi intitola G. Sorci un articolo nel Resto del Carlino del 23 gennaio, nel quale pone in luce la recente opposizione che manifestano' i cattolici contro il pensiero Bergsoniano, da essi già tanto glorificato quando egli si oppose alle teorie materialistiche allora ancora in voga. Essi non solo si accorgono ora di alcuni punti della filosofia bergsoniana che sono loro contrari (p. es., la nozione del divenire), sebbene »ano effettivamente una salda conquista del pensiero moderno. Essi contestano poi l'importanza cd il successo della filosofia bergsoniana ed hanno torto, sebbene l'insegnamento l'abbia alquanto pregiudicata indubbiamente.
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* Ma bisogna ben distinguere — dice il Sorci — neirinsegnamento di Bergson ciò che assomiglia a una dogmatica universitaria dalle geniali intuì* zìoni ebe egli ha disseminato nei suoi libri; anche il marxismo, e più ancora forse del bcfgsonismo, non vive oggi che in virtù delle intuizioni del suo fondatore e sono appunto le geniali intuizioni di Marx che spaventano la borghesia contemporanca, quanto le intuizioni di Bergson spaventano i teologi del cattolicesimo.
• Convengo che Bergson, e sopratutto gli scrittori che si autorizzano da lui, non sembrano aver siifficentemcnte misurato l'importanza del problema della certezza: ciò- ha la sua ragione nel fatto che essi hanno esitato a entrare nell’esame dei problemi posti dal prammatismo. Essi per far ciò, avrebbero dovuto rivivere la penosa genesi «Iella filosofia del diritto storico che si svolse allo inizio del secolo xix. Attaccandosi con ostinazione alle dottrine dei biologi, Bergson ha potuto volgarizzare delle nozioni che prima di lui erano assai oscure, quali quelle della durata, del divenire, «Iella libertà; ma non risolse, nè pose mai il problema della certezza. Io non credo che ai moderni il problema si ponga, come si poneva per le Università medievali. Queste erano pur sempre saldate al potere coercitivo della Chiesa, la quale aveva bisognò di essere certa della verità insegnata dai suoi dottori per poter consegnare al braccio secolare gli oppositori dei suoi dogmi, fi partendo oggi dal pragmatismo, al quale sono abituati i popoli liberi, che occorre porre il problema «iella certezza.
• Comunque — conclude ’il Sorel — questo atteggiamento sta a caratterizzare io spirito d’intol
leranza che regna sempre più nel mondo cattolico francese ».
In un articolo sul vero Gambetta pubblicato nel Tempo del 25 gennaio, G. Sorci metto in evidenza l'importanza che ha per conoscere profondamente ed intimamente il grande uomo di stato, la. corrispondenza da lui scambiata con Leonia Leon, come ha ben messo in luce Fr. Laur in uh suo volume che ha ripubblicato infoccasione del trasporto del cuore di Gambetta dal Pantheon all'Arco di Trionfo dcli'Etoilc «reliquia — dice il Sorel ironicamente, quanto giustamente — che è stata esposta per due giorni alla venerazione dei buoni cittadini ». Il Sorel trova comica l’ira che il libro del Laur ha provocato in Giuseppe Reinach, sopratutto per il fatto che il Laur ha messo in luce la germanofilia dello statista, e, quasi ciò non bastasse • i negoziati che Gambetta iniziò col Vaticano per il tramite di Leonia Léon, che era una cattolica praticante. 11 Laur erede di saperi-che Gambetta era disposto a far votare una legge la quale avrebbe assicurato alla Chiesa la più completa libertà; ai vescovi sarebbe stato concesso il godimento perpetuo e gratuito degli edifici ecclesiastici; ai sacerdoti officianti un vitalizio uguale ai due terzi del loro stipendio. Non si sarebbero cosi commessi gli sbagli della legge del 1905 sulla Separazione, — aggiunge il Sorel —; le associazioni cultuali sono state ideate al fine di permettere al governo di impacciare, volendo, l’azione della gerarchia. Da gran tempo i capi del protestantesimo francese avevano annunciato che la Separazione avrebbe avuto conseguenze incresciose per i vescovi ».
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Rapporti tr». la Cristologia e le ricerche storiche su la vita di Gesù (Zeitschrifl fiir Tteologie und Kirche, Ncuefolgc, voi. I, n. 405). — Come altri à esaminato i rapporti tra religione c scienza delia natura, così pare opportuno al prof. A. W. Schmidt dell’università di Hall, esaminare quelli tra fede e storia. La mistica e il razionalismo, si disinteressano della ricerca storica su la vita di Gesù, l'ortodossia non la vede di buon occhio. La prima e l’ultima ritengono che tali ricerche oscurino la esperienza del divino e ne turbino l'adorazione. Il razionalismo non crede trovare alcun arricchimento di fede con la storia, bastando alla religione la triade: Dio, libertà, immortalità. Ma il mistico non vede che vera religione è adorazione del Dio che nella storia si manifesta per liberare l'umanità e creare una nuova storia; il razionalista dimentica che pensieri e idee a nulla valgono per la liberazione morale, e l'ortodosso non ticn conto che la dottrina tradizionale non può sostituire la esperienza interna. Una" religione che come il Cristianesimo pone al suo centro la indivi* duale esperienza di Dio riconosce il valore contenuto nella mistica, nel razionalismo e nel tradizionalismo dell’ortodossia, c fonda la religione sopra una storica rivelazione di Dio. La sua teologia pone- al centro della fede la personalità storica di Gesù, ed è qui che la questione del valore della ricerca storica per la fede perviene al suo stato acuto. Se il Gesù della storia dev’esser oggetto della fede, quale atteggiamento deve assumere il credente di fronte alle ricerche storiche che ne turbano l’imagine? Per rispondere a questa domanda occorre esaminare il fondamento religioso della fede nel Cristo storico. Gesù appare allo storico — qualunque sia il 9110 atteggiamento —-un essere al di sopra del naturale, un essere sopramondano. Ogni cono cenza s'orica si fonda su l’assioma, già enunciato da Bernheim, della identità della natura
umana. Ma la perfezione ascritta dalla fede a Gesù è mica nella nos ra esperienza. e ] ertanto e-sa si iggc a ogni ricerca storica. Alla domanda se la pe>-sona di Gesù di Nazareth, vissuta in un pas?a o da noi lontano può esser ancora oggetto di fede per noi che attualmente viviamo, si deve rispondere affermativamente, riferendoci a Hermann e Troeltsch che sostengono esser la persona storica di Gesù causa di un effetto non peranco estinto nella società cristiana. A guardar bene ne vediamo e ne sentiamo in noi stessi le traccic profonde. Solo bisogna osservare che le basi religiose della fede non possono esser offerte dalle indagini storiche, nè venire rafforzate da chi a quelle indagini dà il sopravvento su la fede. Questa, come fiducia personale, o come religiosità, è una esperienza che nasce dalla conoscenza della vita interiore di Gesù c dalla sua volontà redentrice. Solo quando noi abbiamo trovato Dio in Gesù, abbiamo avuto la rivelazione di Dio nella storia e abbiamo trovato il fondamento della nostra fede. In altri termini: non è un fatto storico, ma un fatto che sta al di sopra della storia quello che può costituire il fondamento della fede; solo valori estratcmporali possono esser le espressioni sue, in essa contenute; e solo questi valori possono costituire i rapporti col Dio vivente. La fede à una determinata imagine storica, ma ciò che la costituisce sta al di sopra della storia. Oggetto di fede è solo ciò che essa concepisce come al di sopra della storia. Esaminando le varie dottrine moderne degli storici e dei teologi circa i rapporti tra storia e teologia, tra storia e fede, tra storia c cristologia, sf può concludere che il contenuto di una fondata fede in Gesù à solo un rapporto relativo col contenuto di una storia sacra. In questo senso ci è dato scoprire un'azione reciproca tra cristologia e ricerca storica su la vita di Gesù, giovando la fede ad approfondire
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la storia cristiana, c giovando questa ugualmente a quella, perchè ciò che essa conosceva dall’esterno del carattere di Gesù, la fede lo conosce dall’interno, nella sua intima essenza c' nel suo valore.
La Pace primordiale (Historisch-politische Blätter, voi. 66, n. 12). — Eternamente giovane, e pur antica, è l’aspirazione a un ritorno alla pace primordiale in cui si pensa essersi cullata l’umanità al suo apparire su la terra. Di un’età d’oro, scrive Rud. Reutercr, parlano le mitologie di tutti i popoli, di un'età sparita rapidamente. La sacra tradizione persiana riferisce che l'uomo venne al mondo in un tempo felice, quando non era ancora nè gelo, nè tenebra,, nè sangue, nè morte, e quando nessuna discordia era sorta tra gli uomini, nè tra essi esistevano dominatori, nè ingannatori, nè mendicanti, nè soldati, nè nemici. Solo quando Ahrimane, il dio del male, ebbe vittoria su Ormuzd, il dio del bene, solo allora l’uomo conobbe la discordia, l’invidia, la morte. Anchela tradizione cinese descrive lo stato primitivo degli uomini con colori varii c vivaci: gli uomini abitavano le alture dei monti, non vi erano barche solcanti le acque del mare; gli animali diversi andavano insieme a pascere nei campi; gli uccelli volavano pacificamente a stormi innumerevoli per l'aria; tutto il mondo era abitato come da una immensa famiglia; i giovani erano dedicati allo studio delle scienze; l’uomo c la donna vivevano in piena armonia. Ma una eccessiva avidità ruppe la pace sino allora goduta, ed oggi le bestie selvagge, gli uccelli, gli insetti e i serpenti fanno guerra tra di loro e affliggono gli altri abitanti della terra. Similmente le tradizioni egiziane, messicane, indiane e quelle dei negri raccontano d'un’epoca di pace su la terra, verso la quale l'umanità presente guarda con infinito rimpianto. In una scultura in pietra, che risale a una primitiva civiltà babilonese, si vedono insieme, in atteggiamento amichevole, il leone e l’antilope, i due nemici inconciliabili, e ciò come per dare un’imagine della pace primordiale. La tradizione dei Brahmani racconta di un dorato Erita, di un’epoca in cui la virtù andava intorno su le gambe della verità, della penitenza, dell’amore e della pietà; di un’epoca in cui gli uomini vivevano felici. UEdda germanica, racconta con orrore di una prima guerra che guastò il pacifico aspetto del mondo. Il mito greco
descrive i giardini delle Esperidi con l’albero miracoloso dai frutti dorati. Ivi abitavano uomini pii e beati, sotto un sole che non si oscurava mai, in un clima mite; felici e pacifici coltivando la sapienza. Non vi erano stati, nè famiglie, nè vecchiezza, nè povertà. Platone estende anche agli animali la pace primordiale. Pitagora allude a questa pace nell'armonia delle sfere, c se poeti antichi come Esiodo e Ovidio descrissero lo stato primordiale del mondo come l’età d’oro, essi non mancano di tragico rimpianto quando si riferiscono ai loro tempi. Con la poesia e la tradizione è in armonia la Bibbia. La vita umana comincia nel paradiso terrestre e si prolunga beatamente finché l’uomo non dichiara guerra a Dio. Ma se noi guardiamo in alto, nel cielo stellato, vediamo ancora, come la videro i nostri padri, una pace indisturbata. L’universo appare a noi come una galleria di quadri a colori smaglianti, di bellezza impareggiabile. Esso è lo specchio meraviglioso di una sapienza, di una bontà infinita. Solo l’uomo appare ai nostri occhi come il demone oscuro che disturba la luce e l’armonia di ogni cosa che lo circonda. In verità il dogma del peccato originale è in sè un mistero oscuro e indecifrabile, ma esso insegna agli uominj che per loro colpa sono lontani dalla pace ed insegna com’è possibile riottenere, se non la pace primordiale su la terra, almeno quella intcriore nel nostro spirito.
L'anima delle folle (Historisch-politische Blàtter, voi. 166, n. 12). — Le parole « anima del popolo, delle masse, delle folle », scrive F. X. Hermann, esprimono concetti confusi. Molti si riferiscono con queste parole a qualcosa della cui esistenza non si dubita, pur non dandone dimostrazione alcuna. Eppure non si può evidentemente parlare dell’anima delle folle nel medesimo senso in cui si parla di quella individuale, mentre in un certo senso si può parlar di un’anima delle folle per indicare una unione di anime, di sentimenti umani. Bisogna chiarire però una circostanza assai importante. Le diverse p- rsóne degli uomini, sono incapaci di raggiungere l'unità. Ma i sentimenti possono divenire per un popolo una forza spirituale. Questi sentimenti non sono però identici con quelli dei singoli. M. Spahn dice che un'antica e inconfutabile esperienza insegna esser l’anima delle folle governata da leggi diverse da quelle dei singoli. L’anima delle
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folle può solo concepirsi come esistente per ■ n breve tempo nelle folle medesime, ed essa appare csparisce come l'onda del mare. È quindi pericolosa ed in molti casi impresa disperata, cercare la gioia e il dolore, l'angoscia e il desiderio, l’amore e l’odio, la speranza c la disperazione di un gruppo di persone o di una'immensa massa di popolo. L’anima del popolo è espressione di sentimenti comuni, visibili solo in certe circostanze. Noi la supponiamo nel contegno di una folla dentro le chiese, nelle feste, nei giuochi; la supponiamo nelle rivolte popolari, c anche nelle razze, ed è così che parliamo di un’anima, p. es., di popoli balcanici, od orientali. Ma anche qui ci si espone facilmente al pericolo di cadere in errori gravi, in illusioni, ritenendo còme espressione dell’anima di un popolo ciò che in realtà non lo è. Sono spesso parole e sentenze che guidano le masse, parole esprimenti concetti confusi e che pure esercitano una potente azione sull'anima delle folle. Così, p.es., per operai socialisti le parole < socialismo », « lotta di classe », « libertà », « uguaglianza », « fraternità », rappresentano la sintesi di attese incoscienti e di speranze da realizzare, destano una imagine grandiosa e vaga eia vaghezza accresce la forza magica delle parole. Altre parole, come borghesia, capitalismo, ecc., destano invece a quei medesimi operai grande antipatia e odio. Le folle si lasciano guidare da emozioni piuttosto che da argomenti e i singoli membri di queste masse non possono essere istruiti-che dai fatti. Solo quando si staccano dalle masse e divengono singole anime pensanti possono vedere che la massa non è ciò che il conduttore di essa si sforzava di far credere. Da ciò si vede che la maggior parte delle manifestazioni popolari sono ingannevoli e non esprimono il pensiero dei singoli. E questo non deve dirsi solo del socialismo e del comuniSmo, ma anche di molte manifestazioni nazionali e patriottiche, onde devono correggersi i giudizi di molti letterati circa recenti avvenimenti in Germania, da essi ascritti a motivi che non sono veri. Diversi scrittori di economia politica ànno dimostrato essere una illusione di poeti ciò che spesso si è decantato come motivo del sollevamento del popolo. Ciò che oggi comunemente s'intende per opinione del popolo, è più spesso quella di singole personalità che parlano c scrivono in suo nome, e non è raro il caso in cui si ascrive a tutto un popolo ciò che
appartiene soltanto a una esigua minoranza. Spesso ciò che oggi si ascrive all'anima del popolo è l’espressione della pubblica opinione, cioè di un prodotto artificiale della stampa quotidiana. Da una certa letteratura si pretende conoscere l’anima di un popolo, come dalle pubblicazioni dei pangermanisti si è creduto rivelarsi l’opinione di tutta la Germania, e quanto ciò sia erroneo non è chi non veda. Chi volesse intender lo spirito tedesco dopo la rivoluzione, non dovrebbe arrestarsi agli anni di guerra ma risalir di dccennii nella storia della Germania. Con l'indebolimento dello spirito religioso si è indebolito il senso dell’autorità in generale, del rispetto e della pietà. A questa rivoluzione delle opinioni è seguita una rivoluzione dei fatti. Solo quando l’anima del popolo si eleva verso il ciclo con le intenzioni c con le aspirazioni, con la speranza e con la vita, essa è guidata da una stella sipura e à dinanzi uno scopo luminoso; e se a quest’anima del popolo non è data la speranza di un’eterna beatitudine', essa può godere tuttavia di una terrena beatitudine che dà alla massa corporea una forza indomabile.
Socialismo e Stato (Archiw furdicGe-schichte des Sozialismus und der Arbeiterbe-toegung, anno IX, fase. I). — Hans Kelsen esamina dapprima in questo articolo...- i rapporti tra socialismo e Stato secondo* il materialismo storico per definire in seguito il concetto di Stato ed esaminare ¡Evalore della lotta economica di classe. Critica l’A. il socialistico concetto di Stato, secondo il quale viene identificato al dominio o, peggio, alla dittaturadi una classe. Si considera lo Stato proletario in contrasto con Juello borghese come scopo provvisorio ella rivoluzione socialista e si viene alla società comunista che à già superato il concetto di Stato. Le teorie politiche di Marx e di Engels vengono esaminate dall’A. nel secondo capitolo di questo articolo, dove si prendono in considerazione le possibilità di sviluppo pacifico o violento (riformisti e rivoluzionari) per il raggiungimento del dominio. L’A. ritiene che la potenza statale organizzata democraticamente abbia preso ad esempio la Comune di Parigi, ed esamina il posto che spetta a Marx ed a Engels fra gli anarchici. Nel IX paragrafo di questo capitolo si mette in chiaro l’ideale anarchico del comuniSmo e si mostrano le contraddizioni tra le teorie
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politiche ed economiche del marxismo. Nel III capitolo sono presi in esame gli scrittori socialisti più recenti e viene specialmente illustrata la dottrina della democrazia sociale (Kautsky) che afferma lo Stato. La teoria del bolscevismo, o nco-comunismo (Lenin), viene esaminata e discussa nel IV capitolo. Nel V si prendono in considerazione le possibilità di uno Stato dei lavoratori (Arbeiterstaat), la critica leninista della democrazia e le nuove teorie di Bucharin, Trotski e Radek. In conclusione questo lungo articolo (occupa 129 pag. del fascicolo) vuol dimostrare che il miglior frutto dell'organizzazione democratica consiste nel)’aver dato base solida alla lotta per il dominio politico col principio della uguaglianza e universalità dei diritti politici, e con l’aver messo perciò le masse nelle mgliori condizioni per una scelta. La democrazia à inoltre, sopra tutte le altre organizzazioni, il vantaggio di poter cambiare il proprio programma politico. Il dominio della maggioranza d< mocratica si distingue da ogni altro in quanto riconosce idiritti e l’essenza della minoranza, pervenendo cosía! principio della proporzionalità. Essa è la negazione di ogni politico assolutismo, sia monarchico, jcratico, nobiliare, mi-li tare o di classe. Chi si basa su la verità, conclude l’A., chi si fa guidare dalla conoscenza degli scopi sociali, non può evitare di riconoscere, che la minoranza non è priva di diritto. Solo i conservatori (Sthal) o i sostenitori della dittatura di classe possono negarlo, ma senza ragione. La minoranza di oggi può divenire maggioranza di domani, ed è questo il senso di ogni sistema politico che si chiama democratico, e che perciò si contrappone ad ogni assolutismo politico come espressione di politico relativismo.
Rivelazione e giuramento alla luce del cristianesimo (Archiw filr Rechls-und Wirt-schaflsphilosophie, voi. XIII, n. 5). — Il chiaro esegeta del Nuovo Testamento, Teodoro Zahn, della facoltà teologica di Er-langen, à pubblicato recentemente un notevole opuscolo su Staatsumwà’zung und Treueid in biblischer Beleuchtung. Si tratta di sapere quale atteggiamento consiglia la Bibbia al cittadino rispetto al giuramento da prestarsi all’autorità statale c rispetto a) movimento rivoluzionario che preme su la vita moderna. Questa questione riesamina Joseph Sickcnbergcr nell’articolo che qui riassumiamo, dove pure è fatta
una critica delle opinioni espresse da Zahn nell’opera suddetta. Nel caso di un violento cambiamento di governo, Zahn, dopo avere esaminati i testi sacri, conclude che dev’esser lasciato libero ogni singolo cristiano circa le sue decisioni su le autorità e le organizzazioni che può riconoscere. Chi ponesse a Zahn la domanda: come posso io giudicare della mia condotta ? Si a\ rebbe in risposta : giudica secondo la tua coscienza. Ma questo, dice J. Sickcnbergcr, non appaga nessuno, perchè mànca di un criterio obiettivo. Egli sostiene la tesi che la elezione per la costituzione della rappresentanza nazionale secondo la coscienza religiosa anche più sensibile, in Germania, è legale. Le nuove autorità devono essere riconosciute come legali, quantunque quelle elezioni fossero’state eseguite secondo una legge dettata da rivoluzionari, c anche secondo una legge ingiusta. Così, p. cs. a un giovanetto ventenne si accordava lo stesso diritto che ad un uomo maturo, ricco di esperienza. Ma la grande maggioranza del popolo tedesco à adottato questa legge elettorale e con ciò essa l’à riconosciuta come legale. D'altra parte, riguardo al giuramento di fedeltà, bisogna notare che i monarchi tedeschi avevano?sciolto i loro fedeli dal legame che quel giuramento imponeva, e quindi le presenti autorità sono da considerarsi come da Dio ordinate (Ai Romani XIII, I), c quantunque queste autorità non si considerino come elette per grazia di Dio, ma per volontà di popolo, pure ogni coscienza religiosa considera che • nessun passero può*' cadere in terra senza il volere del Padre ■ (Matteo X, XXIX) e vede in esse uno strumento della provvidenza divina. Le attuali autorità sono dunque da considerarsi, conclude J. Sickcnbergcr, come stabilite da Dio.
Il suicidio (Der Geisteskampi der Gegenwart, voi. 56, n. 1). — La teoria del suicidio ^vicn diffusamente trattata e con metodo scientifico, in un reccnfe^volume diJ^Gerhard Füllkrug (Der Selbstmord. Eine moralstatistische und Volkspsychologische Untersuchung), volume che à dato occasione a C. Pfenningsdorf di scrivere un articolo del quale diamo qui le conclusioni. A^guardar le statistiche,’, il suicidio è da per tutto in aumento, ma diverse considerazioni di ordine morale e'religioso, se ne possono trarre. Le condizioni locali, le confessioni, l'età, il sesso, la professione'
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esercitano ¡coloro influenze, e bisogna tenerle presenti se vogliamo renderci conto delle causando! suicidio. Queste considerazioni sono "di grande utilità per l’educazione morale*e religiosa del popolo. Per giudicare delle cause e dei rimedi del sui-cidiojoccorre anzitutto prendere in esame i motivi(estcrni — quali le sofferenze corporali, le» malattie mentali, l’alcoolismo: a queste devono aggiungersi i motivi individuali — quali l’eredità, la imitazione, la paura — quelli sociali — come la lotta per l’esistenza, la solitudine —c infine quelli culturali e religiosi. Se le malattie mentali esercitano una grande influenza per determinare al suicidio, esse non sono le sole. Bisogna mettere in rilievo il fatto che l’ac
crescimento della cultura porta in ogni luogo un accrescimento dei suicidi dove i fattori religiosi (fede, morale, solidarietà) sono deboli. Il numero dei suicidi, secondo le confessioni, vengono così ripartiti: sopra un milione: di cattolici romani ve ne sono 370; di luterani 310; di israeliti 400. Notevolmente alta è la percentuale dei suicidi nei dissidenti: 60^0 per milione. Bassissima è nelle comunità cristiane dei battisti, dei metodisti, ecc., solo io per milione. Lo studio dei fattori sociali (rin-dustria e il lavoro campestre) c anche di quelli religiosi, mostrano l’azione che essi esercitano sul suicidio e l’opera delle Chiese per combatterlo.
M. Puglisi.
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1^VITA*DEBO*/PIRITO
ASTERISCHI E NOTE (,)
Se arduo è sempre l'ufficio del critico, difficilissima è l’opera di chi, a questi lumi di luna, vuol seguire la vita dello spirito nella letteratura. La vita dello spirito? Ma se in tanti volumi che, nonostante il gran prczzb della carta, si pubblicano ogni giorno, è raro trovare altro che ostentazione scimmiesca di sensualità e ripetizione motonona, stucchevole, insopportabile di motivi pornografici vecchi come Matusalemme! In verità è un curioso sintomo di progresso: i libri che un tempo avrebbero fatto la delizia dei ragazzi viziosi e dei vecchi rimbambiti invadono ora le redazioni dei giornali c si accumulano sui tavolini dei critici di professione...
Per fortuna è sempre possibile, tuttavia, tirar fuori qualcosa di utile o almeno d’in-tenzionalmente buono, dal mucchio della cartaccia.
Intenzionalmente buono, per esempio, è questo romanzo di Cesare Caduto, Le trasmigrazioni di un'anima (Firenze. La Nave). Nella dedica ad un amico, l’A. si professa seguace fervido delle dottrine teosofiche, c quasi a conferma della teoria che ammette la reincarnazione delle anime, racconta la storia di Marcello Vargas. Ma non è una storia molto persuasiva. Marcello è roseo, biondo, ricciuto, corrottissimo, seduttore di donne della miglior società delle quali poi butta il nome nel
(x) Accanto ai profili di Adriano Tilghcr questa rubrica avrà d'or'innanzì questi asterischi e note del prof. Dino Provenzali che completeranno per ■ lettori la visione della spiritualità* letteraria contemporanca. [N. d. D]
fango. Ora, è questo eroe che innamora di sè una giovane principessa e la sposa, dopo d’averla posseduta, s’intende, perchè ella è degna di lui (in una lettera da fidanzato Marcello la definisce, con delicatezza mirabile. « ricca di sensualità »!). Ed è sempre questo bel tomo che ha in pugno Roma nei giorni trepidi della primavera del '15, e solleva la folla e parla dal Campidoglio ed ha un colloquio col Re ed è cosi generoso da perdonare ai neutralisti che lo feriscono al volto e da avvertire l’on. Giolitti di un complotto contro di lui. In quest’opera d’incitamento alla guerra, Marcello ha un concorrente formidabile, Gabriele d’Annunzio, ma non gli dà ombra, perchè egli, senza tanti complimenti, definisce il D’Annunzio un uomo di limitata intelligenza.
Poi Marcello parte per la guerra, non senza prima avere iniziato ai misteri della teosofia la giovine moglie. Così apprendiamo che Marcello è teosofo c non sappiamo creder troppo all’efficacia morale di quella dottrina filosofico-rcligiosa, se essa permette ad un uomo di esaltarsi alla lettura di Leon Denis e nello stesso tempo tuffarsi bestialmente nel vizio. Durante la guerra Marcello scrive lettere nelle quali Censura aspramente i capi dcH’escrcito come prima aveva sferzato il popolo italiano, compie atti d’indisciplinatezza inaudita salvando la patria, perchè d'intelligenti e di previdenti in Italia non cè che lui. appare più volte in visione alla moglie e finalmente è ucciso perchè i superiori, gelosi, l’hanno mandato apposta in una zona pericolosissima. Prima di morire, nel de-
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lirio, rivela che la propria anima era passata successivamente.-nei corpo di Alci-biade e in quello di Giulio Cesare.
Dacché mondo è mondo, l’arte è stata sempre restìa a farsi banditrice ed ancella di una dottrina morale, ma le cose vanno anche peggio quando l’arte è povera per conto proprio. Certo noi non possiamo sentire alcuna simpatia per il protagonista il quale, anche durante la guerra che. secondo l’A., deve redimerlo, non sa neppur lui quello che vuole; e chi, infatti, può prender sul serio un uomo che non desidera la guerra per salvar la Francia nò per liberar le terre irredente, ma soltanto perchè un bagno di sangue farà risorgere la stirpe italica c simili frottole? E pur ammettendo che ■ guatare il fiume a invece di guadare sia uno dei tanti errori di stampa che infiorano il libro, la. grammatica è qua e là zoppicante (ho seduto invece di mi sono seduto, le per gli nel dativo del pronome mr.sohile, ccc.) (x).
Dicevo -sopra .che l’arte non può essere serva della morale: con tutto ciò, non piace troppo il superbo disdegno con cui Ettore Cozzani (I racconti delle cinque terre, Milano, L’Eroica) scrive: « Credo che nessuno mi farà l'oltraggio di pensare ch’io abbia voluto di proposito scrivere, un libro morale', io ncn ho mai mutato una linea, una pennellata,' un accento, in vista di un fine educativo ». Dal Manzoni che tagliò l’episodio ' di Gertrude al Fucini che dalla prima alla seconda edizione del suo stupendo Passaggio memorabile fece sparire un’inutile oscenità, molti son gli scrittori che mutano linee, pennellate, accenti per preoccupazioni d’indole ¡morale e non se ne sentono affatto oltraggiati; e l’arte, alla fine, ci guadagna sempre un tanto.
Ma questo sia detto di passaggio, ché al Cozzani si deve anzi riconoscere il merito di avere reagito contro la letteratura goffamente erotica oggi tanto di moria. Un segno di questa reazione sono anche i /{acconti delle cinque terre', nove novelle nelle quali il vizio non è ignorato o taciuto dall’artista che ha il dovere di osservare ogni lato della vita, ma trova in sè stesso o nella volontà del destino il proprio castigo; e qualche volta (come nel Miracolo) ci
(x) Ne abbiamo già pubblicato un giudizio in Bilychnis. Quello del nostro amico prof. Provenza! viene a corroborarlo, sebbene sia forse troppo indulgente [N. d. D.]
sono anime che si redimono. Rudi marinai e pescatori, fanciulle che sognano l’amore e «l’amore sanno anche morire, padre e figlio che non riescono ad intendersi pur adorando ciascuno dei due le divine virtù della musica, artisti falliti con l’animo pieno e spasimante di bellezze inespressc. son le figure che passano in questo libro. Esso non potrebbe certo andar per le mani d’una giovinetta, ma ciò non toglie nulla alla nobiltà artistica dell’opera. Un racconto per le scuole elementari del Giappone esalta una donna che si prostituisce per comprare le medicine al marito infermo. La morale? La morale è che cosi s’insegna alle bambine come il maggior sacrifizio che una donna possa fare sia quello del proprio pudore. Ma noi non siamo giapponesi e il racconto in cui una giovane, per aiutare il fratello scultore che non ha i denari per procurarsi il modello di una Venere, gli offre, la propria nudità, benché poi essa nc impazzisca di dolore e d’orrore, sarebbe una lettura pericolosa.
Del resto le novelle del Cozzani sono bellissime c quando l’A. non si abbandona a un’orgia di colore, quando non s’inebria (è un’eredità dannunziana da cui la nostra generazione difficilmente riesce a liberarsi) del proprio lusso verbale, commuove ed affascina. Gli darò un dispiacere se gli dirò che certe eleganze a cui egli sembra tener molto raffreddano invece l’animo del lettore? lasciamo andare le xilografie alcune delle quali sono potenti mentre altre non si sa che vogliano dire; ma perchè quelle righe spezzate qua e là che già mi avevano sciupato l’effetto della cara prefazione alla Sagra di Santa Gorizia del povero I.occhi ? I giochetti grafici vanno bene per chi dell’arte fa, appunto, un Sioco, ma chi la sente e la soffre sul serio eve smetterla coi balocchi. Se il Cozzani si avrà a male dell’osservazione che forse io solo gli ho fatto sul viso e che mi vien suggerita da una sincera ammirazione per l’arte sua, me ne dispiacerà molto, ma io, almeno, gli avrò detto la verità.
Potrebbe rispondermi il Cozzani ch’io sono un barbaro, spregiatore della bellezza esteriore del libro; ma gli dimostro subito il contrario deplorando l'uso? che va ogni giorno più diffondendosi, di pubblicar libri che non sono libri, ma zibaldoni di scritti d’ogni genere, senza neppure un pretesto che dia ragione della raccolta. Uno di tali libri é quello di Anna Evangelisti: Novelle elegiache, studi e ricordi e
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frasi liriche (Bologna. Cappelli). Sotto questo titolo, che fa pensare al verso del Burchiello ove si parla di zaffiri, uova sode, e... altri generi, l’A. mette insieme una congerie di novelle, poesie, discorsi, lettere, recensioni. Noto nel volume (antipaticamente stampato a due colonne) uno scritto interessante: La Bibbia. L’A., che è insegnante nel ginnasio femminile di Roma, narra come abbia adottato per testo greco i Vangeli c dice 'del grande amore cqn cui le sue alunne traducono le sacre pagine. Come esempio di questo lodevole tentativo di far conoscere direttamente agli alunni delle scuole classiche le Scritture, dà un riassunto chiaro e preciso di storia della Bibbia: riassunto che potrà essere utile anche a molti .che la scuola hanno lasciato da un pezzo.
Altro zibaldone è il libro di Ferdinando Paoli eri. Vita di tutti 1 giorni (Firenze. Vallecchi). Al quale Paolieri vorrei suggerire di mettersi d’accordo col suo editore c mio ottimo amico Vallecchi.. Quest'ultimo. infatti, invia il libro con preghiera di recensione, mentre l’Autore nella prefazione prega i critici, se vogliono fargli un piacere, di non dirne una parola. O va’ a contentarli tutti e due se ti riesce! Fra le novelle, bozzetti e dialoghi di questo libro ove raramente il Paolieri mostra la forza descrittiva che tutti ammiriamo nelle sue pitture maremmane, noterò la novella intitolata Un caso di coscienza. TI caso è quello di un confessore che non ha il coraggio di distogliere un penitente da una cattiva azione, perchè di questa cattiva azione sarebbe vittima per l’appunto un fratello di lui, del confessore. In fondo si può osservare che lo scrupolo del prete, il quale non vuole mescolare i propri affetti ed interessi personali al sacramento della confessione, è fuor di luogo. Se l’obbligo del confessore di sconsigliare il male coincide con un interesse suo. tanto meglio per lui; c il caso di coscienza non esiste, mi sembra.
Ed ecco un libro di novelle di un altro scrittore toscano. Essere o non essere di Mario Puccini (Roma, Mondadori). Sono tre novelle di una verità e di una freschezza incomparabili. Meno mi piace la terza (La Verità). ove la figura del dottor .Gianfranco Mantova, ricercatore di un’a-( stratta Verità è un po’ troppo vagamente disegnata, ma le altre due! La prima (Ritorno al mondo) non si legge, come si dice volgarmente, d’un fiato (che io sappia.
si buttano giù d’un fiato soltanto le medicine ripugnanti al gusto!) ma si assapora pagina per pagina, seguendo con vivo godimento le avventure di un giovane ingenuo narrate con una grazia, con un’amabilità a cui ormai non siamo più avvezzi. I-a seconda novella poi (Caratteri) è un capolavoro. Non so se alcuno abbia notato che nella letteratura italiana manca la vera figura del prete. O santi o birbaccioni, o personaggi descritti con riverenza o caricature spesso turpi, sempre ridicole: dal Boccaccio giù giù attraverso ai novellieri del ’500 fino al Manzoni e ai Fogazzaro gli uomini del cleio ci sono sempre stati presentati così: lo stesso Don Abbondio è una caricatura meravigliosa, ma sempre una caricatura. Il Puccini per la .prima volta ci dipinse sine ira et studio un « interno » clericale; e la parola « interno » è appropriatissima perchè la novella si svolge quasi tutta dentro un convento di frati. Questi frati descritti da un giovinetto che non può guardarli con odio perchè suo zio, gloria della famiglia, è priore del monastero, nè con troppa ammirazione, perchè ne vede da vicino tutte le miserie, sono vivi e parlanti. Tutti pregano, tutti sono credenti, ma non possono vivere di sola fede; c padre Tommaso ama la caccia e i liquori, padre Bruni ha bisogno di fare ogni sera la partita a carte, padre Fagiolo, poveretto’ perde la testa dietro ai francobolli c il priore, scolpito con un’evidenza meravigliosa, si occupa d’affari e di politica. « Che cosa sarebbe la nostra vita » dice padre Tomaso »se non fossimo legati a qualche passione? ». Ma il mischiarsi alla politica per il priore non è solamente una passione, è una necessità: necessità di difesa contro la marea socialista che sale minacciosa nella piccola città marchigiana ove accadono gli avvenimenti del racconto. Infatti all’ultimo scoppia una sommoss.a e i ricchi magazzini del convento sono i primi ad essere saccheggiati; nè sappiamo se la folla risparmi la libreria ove si vendono soltanto opere ascetiche o di propa- • ganda anti-socialista. La politica interessa più o meno tutti, assai più della teologia, definita da un ex-sergente papalino « la scienza di discorrere tutto il giorno di peccati mortali senza insudiciarsi le mani ». Insomma, i frati son rappresentati quali sono in realtà, uomini come tutti gli altri, più le innocenti manie e le meschinità e le fanciullaggini derivanti dalla clausura c dalla vita in comune.
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Ancor caldo della lettura di quest’ottimo libro, temevo che un altro potesse guastarmene l’impressione, ma ho avuto la mano felice scegliendo fra i tanti che ho sulla scrivania Quando non si sogna più di Barbara Allason (Milano, Sonzogno). li la storia di quattro signorine, studentesse all'università di Tonno: Lilì. Paolina, Elcna, Annamaria.. Prima dei vent’anni. alla vigilia della laurea, sperano nell’amore. nel matrimonio e qualcuna anche nei trionfi della carriera, nelle gioie dell’intelligenza. Più tardi l’amore passa vicino a ciascuna: l’amore, ma non la felicità. Annamaria, disgustata della corruzione della propria madre, prima cerca un conforto nelle opere di beneficenza, poi veste l’abito francescano: Elena, povera. indifesa, dopo d’avere assistito il padre fiacco c vizioso, dopo di aver fatto da mamma ai fratellini che appena usciti dal nido non la guardano più, cade tra le braccia di un libertino c quando sente che l’amore è morto per lei, quando capisce che per un altr’uomo essa non sarà più che uno strumento di piacere, si uccide. Rimangono le altre due: Lilì fa un matrimonio disgraziato, perchè l’uomo che l’adorava in ginocchio, bevitore, fannullone, cinico, pensa solo a sfruttarla e giunge fino a batterla quando non ottiene denaro da lei; Paolina ha un breve amore per un giovane che le vuol bene ma non ha energia e non sa vincer la povertà in modo da costituirsi una famiglia, sicché la fanciulla si dedica tutta al vecchio padre e dopo la morte di lui dirige l’amministrazione dei propri beni curando il miglioramento economico c morale dei contadini: non è la felicità. ma la pace, almeno.
È un libro austero da cui le signorine innamorate dell’amore possono imparare che riporre la felicità in ciò che ci daranno gli altri è pericolosa c purtroppo spesso vana illusione. Delle quattro donne rappresentate nel romanzo, infatti, Lilì trova la gioia soltanto nella maternità la quale ama più dare che ricevere, Annamaria nel dare sè stessa ai bisognosi e agl'infermi. Paolina offre la propria opera al padre dapprima, poi alla gente rozza e ignorante che la circonda; c la povera Elena, solo quando non può più dar nulla a'Siessuno. nemmeno a chi se l’c presa come un giocattolo senz’anima, spaventata fugge via dalla vita.
Artisticamente il libro ha pregi non comuni e se a più d'uno dispiacerà la profusione di parole straniere e qualche provincialismo {aver fallito per esser fallilo, ecc.) a nessuno potrà sfuggire la descrizione finemente umoristica della Villa Eloisa c dei suoi abitatori, la poesia deH’amor materno di Lilì e la triste dolcezza delle pagine in cui Lilì narra la morte della madre: pagine grandi.
Raramente dalla lettura di un romanzo, e da un romanzo senza prediche, ho veduto balzar viva la grande verità che la forza è in noi. che la gioia è in noi e che se non siamo proprio — come vorrebbe una antica massima —gli artefici del nostro destino, a noi è dato, a una svolta della vita, correggerlo, questo destino, e dagli avvenimenti che non potevamo prevedere ricavare il massimo bene per noi e per gli altri.
Dino Provf.nzal
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PSICOLOGIA RELIGIOSA
Fr. Mauriac. Petits essais de psychologie religieuse. Paris, Soc. lift, de Fr., 1920, p. 115.
Questi saggi, tenue cosa, portano un titolo che ne'denota la trama: de quelques cceurs inquiete, e piacciono per l’appunto perchè di questi spiriti inquieti mettono in evidenza l’elemento fondamentale, almeno secondo il punto di vista da cui l’ha considerati l’A., che è un ortodosso: per Lacordaire il sentimento effettivo, per Maurice de Guérin una specie di panteismo mistico, per Baudelaire un senso di cattolicità, per Amiel il vuòto del calvinismo, per Beyle il bisogno spirituale del dopo guerra. Riassumendo si potrebbe dire che il M. veda nell'inquietudine di questi spiriti eletti o l’assenza o la temporanea mancanza in essi di Dio, che solo dà la quiete.
Naturalmente avrei delle riserve da fare a questi tocchi da pastello. Per es., se mi basterà il tempo un giorno forse dimostrerò che la religiosità di Baudelaire esiste veramente, ma non è la cattolica, sebbene egli sia un pagano e quindi più prossimo al cattolicesimo. La sua spiritualità ha però qualche cosa di più fine del senso cattolico. Così per Amiel e per Beyle vi è dell’esagc-razione nell’affermazione che all’uno il calvinismo, all’altro il disordine dei bisogni spirituali postbellici, vieta la perfetta visione di Dio. Comunque tutto ciò sia, paginette interessanti queste del M.. sebbene tenui, molto tenui... G. C.
BIOGRAFIA
Mons. Baunard, La foi et ses victoires> conférences sur les plus illustres conver-tis de ce siècle. Paris, J. De Gigord, 1919, voli. I e II.
Mons. Baunard, rettore onorario delle facoltà cattoliche di Lilla, ha dedicato due
grossi volumi a taluni dei maggiori convertiti cattolici del secolo xix; c la fortuna dell’opera — del primo volume ci giunge ora una nuova edizione, che è la nona — è un segno notevole dello stato della cultura cattolica in Francia.
Le figure studiate dal Baunard sono tutte, per molti rispetti, interessanti. E queste diffuse e documentate pagine biografiche, che riguardano in particolar modo il pensiero c la vita religiosa degli eroi’studiati, si leggono con interesse. Ma fa di quando in quando sorridere piacevolmente l’ingenua pietà del biografo; il quale prende per mano i suoi eroi, come un buon direttore di coscienze, e li accompagna e li ammonisce e li loda; e talora li avverte, citando loro frasi e brani, che essi non conoscevano la teologia e non erano giunti, quando scrivevano, al pieno possesso della verità; e talora si effonde in mistiche lodi all’Altissimo per il trionfo della fede alla quale i loro scritti ed atti ulteriori rendono^testi-monianza.wUn buon lavoro, dunque, per educandati cattolici c clero docente, dei due sessi: elemento che deve essere assai numeroso, in Francia, c, nella sua ingenua fede, assai poco critico, se a scritti come questi del Baunard riserba un così largo successo librario. . M.
MUSICA SACRA
Prof. D. Karl Weinmann, Das Konzil von Trient und die Kirchenmusik. Eine historisch-kritische Untersuchung. Leipzig 1919, Breitkopf und Härtel.
Il volume del Weinmann, direttore della Hochschule für katholische Kirchenmusik di Regensburg e benemerito studioso nel campo della musica sacra, giunge opportuno a stabilire c chiarire in linea sicura il posto che l’arte musicale ha occupato nelle riforme del Concilio di Trento.
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BILYCHNIS
argomento questo che, per leggerezza e scarsa positiva coscienziosità di storici, è stato per molto tempo campo di affermazioni infondate e di leggende. Prima fra tutte quella che il Weinmann giustamente chiama « Geschichtsfabel » relativa alla parte avuta da Giovanni Pierluigi da Pa-lestrina e dalla sua « Missa Papac Marcelli » nella riforma della musica sacra quale fu oggetto di desideri e voti in seno del Concilio tridentino. Senza dubbio i desideri c voti degli uomini migliori del suo tempo Palestrina realizzò in maniera superiore a qualsasi previsione col suo genio e col suo squisito senso di artista, creando un modello insuperato di < concerto sacro >: ma la coincidenza — quale si verifica per tutti gli uomini veramente grandi e rappresentativi —fu soltanto ideale; e i racconti, tanto diffusi, di incarichi più o meno ufficiali affidati al « principe della musica • non hanno — come il Weinmann dimostra — alcuna base storica.
E come il Weinmann — nella terza parte del suo studio — ristabilisce la verità intorno a questa leggenda, così — nella prima e seconda parte — dalle memorie del tempo estrae una precisa e completa documentazione di tutto quanto nel Concilio di Trento ebbe attinenza con la musica. Nella prima parte è raccolta la cronistoria degli avvenimenti, con riguardo special-mente alla vcntiducsima seduta del Concilio e alla Commissione di Cardinali del 1564-65 che ebbe uno scopo sopratutto disciplinare, onde fossero tolti degli abusi invalsi nella Cappella pontificia; la seconda parte è dedicata alle condizioni in cui trovatasi la musica sacra al tempo del Concilio di Trento, condizioni che vengono illustrate sotto ogni aspetto, risultandone un quadro interessante anche al di là dello scopo speciale cui mira il presente studio.
Il quale — ripeto — giunge necessario c opportuno'a chiarire in modo definitivo un momento assai importante nella storia della musica sacra, sia per gli avvenimenti e i personaggi che.vi ebbero relazione, sia per l'influenza che ha continuato ad eserci-tarc^nei momenti successivi.
Domenico Alaleona.
SANTA SEDE
A. Godrycz. Greater Extension and Develo-pment oj Church tw/IweMce.Filadelfia. 1920.
« A proposito di una lettera del Cardinale
Gibbons l'A. fa alcune considerazioni che non sono prive d'interesse per noi, intrattenendosi egli sui rapporti tra stato e chiesa in Italia. Prendendo occasione di quanto è detto in quella lettera circa la indipendenza della Santa Sede, l’A. vorrebbe il riconoscimento, da parte della Lega delle Nazioni, della sovranità spirituale della Santa Sede. L’idea di sovranità non si deve, nè si può riferire al possesso di un territorio, eppej-ò essa non può cessare con la perdita del potere temporale. L’A. sottopone a una energica critica l'opinione degli statisti europei, secondo la quale il Vaticano avrebbe perduto, col possesso del territorio, la sovranità spirituale che non ne è dipendente. La chiesa cattolica forma, al dire dell’A.. una società internazionale che possiede i suoi propri mezzi per raggiungere i suoi scopi ed è per questo che la sua sovranità c la sua suprema autorità, che risiedono nel Vaticano, dovrebbero essere internazionalizzate. Di conseguenza i delegati di quest’autorità dovrebbero esser riconosciuti come i rappresentanti della Lega delle Nazioni. L'A., preoccupato dei movimenti sociali contemporanci, accen-tuantisi anche in America, fa alcune giuste ed acute osservazioni rispetto al bolscevismo, alle nuove condizioni di lavoro, c non manca di interessanti notizie intorno alla chiesa cattolica d’America. Ma egli svela, secondo noi, una notevole debolezza di argomentasene giuridica confondendo i diritti di un’autorità spirituale con quelli che spettano a un’autorità politica. Il nostro periodico pubblicò a suo tempo un’inchiesta a proposito del diritto che avrebbe potuto pretendere la Santa Sede di intervenire al Congresso per la pace, e i lettori potranno consultarla. Ma un’altra osservazione dell'A. dobbiamo rilevare. Egli teme che il protestantesimo in America possa avvantaggiarsi rispetto al cattolici-smo nelle attuali lotte tra capitale e lavoro, e specie nella propaganda anticcclesiastica dei socialisti, bolsce vichi ed anarchici. Da questi timori l’A. sarebbe liberato se i cattolici volessero generosamente contribuire a raccogliere 25 milioni di dollari per togliere la Santa Sede dalle sue attuali difficili condizioni finanziarie e per aiutare anche l’Università cattolica di Washington dove, fra l’altro, dovrebbe istituirsi anche una cattedra di giornalismo per servire alla propaganda cattolica in America.
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RECENSIONI
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CRISTOLOGIA
Thomas Payne. A New Discovery 0/ Jesus Christ. Morgan and Scott, London, 1920, pag. 158.
L’Autore è già noto per altre sue opere: La crisi delle chiese; 1 risvegli e come promuoverli; Il cristianesimo Apostolico, ecc., c questo suo ultimo lavoro è stato, dichiarato il migliore di tutti. I titoli stessi dei XIII capitoli sono rivestiti di fiamma profetica. Il dott. Edwards, che scrive una delle introduzioni, li chiama «altamente suggestivi ». Tutto il libro è un libro di fuoco c di potenza. Chi desidera ritrovare la potenza del Cristianesimo e le visioni più alte della chiesa troverà aiuto in questo libro.
Ignazio Rivera.
APOCALISSE
Robert Caldwell, The Revelation of Jesus Christ. Morgan and Scott. London. 1920, p. 240.
Vi sono due metodi di interpretazione per il libro dell’Apocalisse: quello storico, per cui l’Apocalisse è già praticamente un libro del passato, cioè che avrebbe già avuto la maggior parte del suo compimento; vi è poi anche quello che è stato chiamato il metodo futurista, perchè la parte più importante del libro avrebbe invece il suo compimento nel futuro. La scuola futurista dell’Apocalisse è quella che ha avuto maggior successo di adesioni in questi ultimi anni, tanto in America che in Inghilterra, dove i problemi Srofetici hanno appassionato moltitudini i studiosi. Una sola ditta di Londra dava ultimamente una nuova lista di 22 di queste pubblicazioni.
Questo studio del Caldwell sull’Apocalisse segue il metodo della scuola futurista, a cui cerca di portare qualche modificazione accidentale, che non nji pare sufficientemente provata. Il volume però non è una vera esegesi dell’Apocalisse. Esso contiene 14 conferenze di carattere
generale, conferenze che ora sono presentate in forma di 14 capitoli. Sono notevoli fra essi il capitolo X che presenta un saggio di conciliazione del metodo storico c di quello futurista; ed il capitolo XIV che parla dei due manifesti pubblicati recentemente in Londra da personalità eminenti delle due scuole.
Ignazio Rivera.
LA GUERRA
A. Ferry, La guerre vue d'en bas et d‘en haut. Paris, B. Grasset, 1920, p. 328, frs. 6,75.
Il deputato Ferry, morto in guerra il 15 settembre 1918, quando vedeva ormai sicura la vittoria degli alleati, aveva raccolto, fino al momento della sua morte, una specie di dossier della sua opera di membro della Commissione parlamentare Sull’Esercito in cui erano esposte chiaramente tutte le sue osservazioni critiche sulla condotta della guerra, frutto deH’csamc che egli aveva potuto fare sia come ufficiale in servizio attivo, sia come delegato della Commissione stessa. In tal modo la sua critica dell’opera dello stato maggiore e delle sue insufficenze, sugli errori commessi, sulla burocrazia annidatasi negli alti comandi c sulle loro ripercussioni sugli uomini che questa guerra teorica dovevano mettere in pratica con loro danno e con danno del paese, appare contesta di fatti e fondata su elementi che lo storico futuro dovrà valutare compiutamente. « L'àme de 1793 est en bas, la bureaucratie est cn haut », egli diceva con ragione. I lettori troveranno in queste pagine, non solo cose interessanti per la guerra francese, ma per tutta la guerra condotta dagli alleati, anche sulla nostra stessa e sul nostro concorso, forse un po’ aspramente giudicati da un troppo esclusivo punto di vista francese, ma in complesso veduti con -una giustezza e larghezza di visione che fa sentire la sincerità e la bontà degli intenti, anche se qualche volta, forse, non il possesso di tutta la realtà delle cose.
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G. Panni in una lettera dell’u ottobre 1920 a G. Ferretti (Volontà àe\ novembre 1920):
Dalla tua vedo che siamo più distanti, almeno sul piano teorico, di quel che non pensassi. Tu sei stato affascinato da quell’ultima forma di panteismo solipsista, ateo e formalista, ch’è il Gentilismo, mentre la mia repugnanza per questa filosofia, che nega il valore, il trascendente, il mistero, e preclude, colla sua storicità imparziale e gelida, ogni sforzo verso il meglio e l’alto, va sempre crescendo. Può darsi ch'io mi sbagli, ma ritengo che agli uomini viventi giovi più, anche oggi c soprattutto oggi, il Sermone sul Monte che tutta la scolastica immanentistica, col suo gergo misticizzante eppur così privo di vera profondità morale, del professore siciliano. Molti, ora, sono attratti da quella roba com’erano attratti quarant’anni fa dal pastore positivista ed evoluzionista. E questa moda passerà come quella c i gentiliani andranno ad occupare un grigio paragrafo della storia della filosofia, come i giobertiani, mentre l’Evangelo ogni secolo troverà una nuova giovinezza.
G. Sottochiesa in La Politica Nazionale dell’ottobre-novembre 1920:
Ma se —come affermammo —questa che noi soffriamo è una crisi morale d’anime c di coscienze, bisognerà andare sino nel profondo delle anime c delle coscienze per risanare, e per rinnovare la Società. È un’opera di penetrazione spirituale; uno sforzo di energia morale come si addice alla incombente necessità del momento.
Sanare l’anima e rinnovare la coscienza.
Ma l'ànima si sana ridonandole là sua ricchezza; la coscienza si rinnova facendola pura con i principi eterni della verità.
E la ricchezza dell’anima è la sua spiritualità, per la quale si avvia immortale verso un eterno destino; c la purezza della coscienza è la informazione cristiana dei principi eterni ed immutabili.
Anima e coscienza si sanano e si rinnovano nel Cristianesimo e per il Cristianesimo.
Noi, quindi, vogliamo ridonare al mondo un’anima; vogliamo ridonare al mondo una fede. Vogliamo c dobbiamo effettuare la ricostruzione sociale in piena democrazia cristiana.
E allora, come tutte le crisi sociali storiche, anche la presente sarà unicamente superata in virtù del Cristianesimo, che è il massimo fattore di ogni vero progresso civile. Ed è un fattore rinnovantesi in ricchezza ed in potenzialità ad ogni bisognosa contingenza umana, poiché la verità cristiana, è verità eterna, pia matrice di sempre nuove energie umane, c che le azioni umane dirige ad un fine supcriore ed eterno che trascende
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ANSIE SPIRITUALI D’OGGI
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dalla materia ih virtù della sua essenza spirituale. La presente contingenza storica di questa crisi morale trova nel Cristianesimo —c solo nel Cristianesimo —il farmaco della salute sociale.
Afa conviene che l’anima c la coscienza della Società con tempo ranca si avvicinino e si informino al Cristianesimo, in forza del quale la civiltà riprenderà il cammino del progresso umano.
M. Missiroli in Rivista di psicologia dell’ottobrè-dicembre 1920:
Come mai i partiti che derivano dalla chiesa si dimostrano sempre così inferiori al loro compito, e sono destinati a sicure sconfitte? Forse che il cattolicismo ha perduto ogni forza storica? Problema profondo c ben degno delle meditazioni degli storici. Forse la spiegazione si può trovare distinguendo fra cristianesimo c cattolicismo. Ix> spirito cristiano resta ancora il più vivo strumento della storia; non esiste il movimento progressivo, democratico e rivoluzionario, che non possa, in qualche modo, richiamarsi al Vangelo, che lanciò una parola, che nessuna storia potrà mai esaurire. Il cattolicesimo, al contrario, è, per così dire, la coscienza critica della storia. Ivsso afferma oltre Io spirito genuino del cristianesimo, alcune verità eterne ed immutabili, che la vita e la storia sono chiamate a riconfermare attraverso dolorose esperienze. Di qui la sua immobilità. Si potrebbe affermare che il cristianesimo si svolge nel tempo, mentre il cattolicesimo sta fermo neirctcrno. Forse il cattolicesimo è la filosofìa pessimistica dell'ottimismo cristiano...
.......La scienza non fu mai rivoluzionaria. Fu, spesso, contro i privilegi, mai per le rivendicazioni assolute. Fu arma e scudo di ceti rivali appartenenti ad una medesima classe dominante, non fu mai patrona del popolo. I soli estremisti della sovranità popolare, spinta fino alla rivolta ed al regicidio, furono, mentre fioriva la scienza nelle accademie, i reverendi padri della Compagnia di Gesù. I quali, in sede scientifica, condannavano Galileo. La scienza non ha mai favorito la libertà, non si è mai curata del popolo, ha sempre odiato la rivoluzione. Gli scienziati furono in ogni tempo, o dei so-itarì fuori del mondo o dei collezionisti di appannaggi e di decorazioni. La scienza non ama il rumore c disdegna il martirio. La certezza ha il dovere di fornire delle prove, non degli olocausti. Si muore per una fede, per un teorema si vive. Si comprende il martirio di Giordano Bruno, ma è indispensabile quello di Euclide. La scienza è freddamente egoista perché basta a se stessa, mentre la fede cerca nel sacrifìcio una prova suprema, che colmi il dubbio, che la tormenta e la rode. Nemmeno Gesù nell’estremo limite della passione osò una definitiva affermazione. La scienza si leva al tramonto, la fede spunta con l’alba. La fede crea la vita, la scienza vive a spese della vita. Più si dà al pensiero c più si toglie all'azione. Muore l’arte c nasce la critica, finisce la storia e sorgono gli storici, si corrompe il costume c spuntano i moralisti, rovinano gli stati e compare la scienza della politica. Conoscere non significa potere. La scienza è coscienza del limite, la fede è violenza contro tutti i limiti. La scienza non trattenne mai ¡popoli dalla decadenza: fu ognora diagnosi, mai salutare medicina. La storia fu rinnovata dai barbari. Ad ogni tramonto deve seguire il fitto buio della notte, prima che sorga una nuova aurora. Il Rinascimento non é concepibile senza il medio evo. Il socialismo non è possibile senza la via crucis di un periodo più o meno lungo, durante il quale gli antichi valori umani restino sommersi come nelle acque putride di ti^o stagno. I nuovi germi fioriranno sotto il tepore della neve.
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■ mi «
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO (I)
Pubblicazioni pervenute alla redazione.
K. Pcttazzoni, La religione di Zarathustra nella storia religiosa dell’Iran. Bologna, X. Zanichelli, 1921, p. XXIV-260. !.. x$.
F. Jamin, Conseils aux jeunes gens de France a[>ris la victoire. Paris, Perrins et C., X92X, p. 267. Fra. 7.
R. Nazza ri, Psicologia della volontà. Torino, G. B. Paravia, 19x9, p. 72. L. 2.
A. Palmieri, Rinascita letteraria e clero in Lituania. Firenze, Lib.cd. Fiorentina, 1920. (Quaderni dell'ora n. x), p. 34, !.. x,2O.
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M. A. Vaccaro, La lotta per ¡'esistenza e » suoi effetti nell'umanità, 5» cd., Torino, F.lli Bocca, 1921, p. 307. L. 20.
M. Culpin, Spiritualism and the new Psycology. London, E. Arnold, 1920, p. X59. Sc, 6.
R. Mocatta, In the Beginning and after. Fragments of conversations in Ancient Palestina. London, Selwyn and Blount, 1920, p. 63. Sc. 2,6.
F. Apalategui, Empresas y viajes apostolicos de S. Francisco Xavier. Madrid, Razon y Fe, X920, p. 386. Pos. 3,50.
11 lavoro non ha intenti scientifici, ma divulga* tivi c come tale si raccomanda. È redatto secondo la corrispondenza del grande missionario, pubblicata nei Monumenta Xaveriana, e secondo le rela
(1) Per assoluta mancanza di spazio siamo costretti a rimandare al prossimo fascicolo il bollettino delle « Novità librario. (Red.).
zioni e i documenti relativi.Alc.une carte gcografiche e qualche, non nitida, illustrazione, completano il lavoro, che più che una biografia di F. Xavier è una pubblicazione collegata con indicazioni e chiari menti delle lettere più importanti del celebre gesuita.
R. Wolff, Studien zu Luthers. WeltanschauuHg. München, R. Oldenburg, 1920, p. 65. Mk. xo.
Fr. Rosenzweig, Hegel und der Staal. Il Band. (Weltcpochen) München, R. Oldenburg, 1920, pagine vi-260. Mk. 24.
E. Rignano, Psychologie du raisonnement. Paris, F. Alcan, X920, p. xi-544. Fra. 2x.
R. Boutet de Monvcl, Saint François <T Assise. Paris, Plon-Nourrit et C., 1921, p. 126.
. Opera luminosa se non completamente riuscita. Si tratta di una vita di S. Francesco d’Assisi scritta con intenti pratici c popolari in uno stile piano e quasi pietistico ed ornata di numerose illustrazioni. Forse è lavoro di due fratelli (il cognome dello scrittore c dell’illustratore sono identici), e sembra indubbiamente che testo e figure vogliano compiere un’opera unica di edificazione. Attraverso la lettura del testo, bello per la stampa c per la carta, come attraverso le illustrazioni dal disegno impeccabile ed originale, non apparo in luce il F. d’Assisi quale lo sente l’anima nostra dai Fioretti e più da quel meraviglioso paesaggio umbro che noi tutti conosciamo ed amiamo. La tecnica impeccabile dell’illustratore à qualchecosa di ieratico, di freddo, che mal s’attaglia al nostro vivace e caldo S. Francesco. Come la lingua che vuol essere umile nel testo c seguire il candore del racconto originale, appare untuosa e priva di vitalità.
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BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
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Berkeley, Les principes de la connaissance hu-matite. Trad, de Cb. Rcnouvier, Paris, A. Colin, 1920, p. 109. Frs. 4.
È il terzo volume che si pubblica nella collezione A. Colin, dei Classici della filosofia, diretta da V. Delbos, A. Lalande e X. Léon. I due precedenti sono uno dello stesso Berkeley e uno di Maine de Biran. La traduzione di questo volumetto è dovuta al Rcnouvier c, naturalmente, non è recente, ma è stata in qualche luogo leggermente modificata. In ogni modo gli studiosi debbono esser grati ai direttori della collezione per questa pubblicazione di un volumetto che à fatto epoca, e da cui hanno preso anche da noi in Italia le mosse molti degli atteggiamenti filosofici che oggi vanno per la maggiore..
A. Tilgher, Filosofi antichi. Todi, Atanor, 1921. L.'io.
A Tilgher, Voci del tempo. Profili di letterati e filosofi contemporanci. Roma, lib. di scienze e let* tcrc, 192z, p. 2x5. L. 8,50.
Pli. H. Wickstced, The reactions between Dogma and Philosophy illustrated from the works of S. Thomas Aquinas. London, Williams ahd Norgate, X920, p. xxvi-669.
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I. Huré, Les Postulats de la Vic (ex nihilo omnia). Contribution au jardin de la pensée philosophique ct morale. Paris, Lib. Fischbacher, X921, p. 268. Ff«. 7.
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Lettera a Diogneto, testo trad, c note a cura di E. Buonaiuti («Scrittori cristiani antichi», n. x). Roma, libr. di Cultura, 1921, p. 59. L. 3.
Bardcsanc, Il dialogo delle leggi dei paesi, introd. trad, c note a cura diG. Levi Della Vida, (a Scrittori cristiani antichi», n. 3). Roma, Libr. di Cultura, 192X, p. 51. L. 3P. Gaultier, Les Maîtres de la pensée française. Parigi, Payot et C., X92X, p. 272. Frs. 7,50.
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C. Rcylès, Dialogues olympiques, trad, de l’espagnol par A. de Beugoechea. Paris, B. Grasset, 1921, p. 250. Frs. 6,75.
Almanach Catholique français pour iqai. Paris» Bloud et Gay, X92X, p. 384. Frs. 6,50.
Indubbiamente anche il 2® anno di questa pubblicazione merita le più ampie lodi per il modo con cui è stata redatta e per la copia di notizie c dati che offre ai lettori italiani e stranieri. Non conosciamo in Italia una pubblicazione che la uguagli c ne sentiamo la mancanza. Tutto ciò naturalmente non vuol dire che approviamo le idee con cui questo almanacco è fatto o i suggerimenti e le forme di pietà che contiene. Il lavoro Io ripetiamo, è ottimo.
J. Kral, Der Christliche Sozialismus? Die Versühnung von Christentum und Sozialismus. System einer Gesellschaflsreform nach Naturrecht u. Sitten-gesetz. 2® Aufl. Dillingcn a. Donau, G. Keller & C. 1920, p. 1S4.
A. Büchi, Korrespondenz und Akten zur Geschichte des Kardinals Matth. Scleiner. x® Band, Basel, R. Gering, 1920, p. xx-582. Frs. 25.
Fr. Heiler, Das Gebet, eine religionsgcschichtliche und religions psychologische Untersuchung. München. Reinhardt Ernst, 192X, p. xix-576. Mk. 42.
A. G. Balfour, L’idée de Dieu et l'esprit. Trad, de G. L. Bertrand, Paris, Ed. Bossard, 19x6, pagine xn-335. Frs. 15.
E. De Fave, Idéalisme et Réalisme; une application aux problèmes d’après guerre des idées politiques et sociales de Platon, et d’Aristote, Paris, Ed. Bossard, 1920, p. 260. Frs. 7.50Çantideva, La marche à la lumière (Bodhicaryava-lara). Poème sanscrit, trad, avec introd. par V-Finot, Paris, Ed. Bossard, 1920, p. 167. Frs. 28.
Abanindra Nath Tagore, Art et Anatomie Hindous. Trad. d’A. Karpelès, Paris, Ed. Bossard, X92X, p. 55- Frs. 3.
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I. Caracciolo, Bagliori di ComuniSmo nella Riforma. La guerra dei contadini. Città di Castello, Il Solco, 1921, p. 177- L. 6.
A. De Tocqueville, L’antico regime e la rivoluzione-i* cd. it. a cura di G. Pierangeli, Citta di Castello. Il Solco, 1921. p. 228. L. 6.
A. Hollard, L’Apothéose de Jesus. Paris, E. Leroux, 1921, p. 221. Frs. 3,50.
E. D'Eichtal, Du tôle de la mémoire dans nos conceptions métaphisyques, esthétiques, passionelles, actives. Paris, F. Alcan, X92X, p. 198. Fra. 3,60.
L. Cazamian, L’évolution psychologique et la littérature en Angleterre (1660-1914). Paris, F. Alcan, 1920, p. 269. Fra. 9.
Margueritte-Marie, roman d’une grande âme, iMmarline. Paris, Plon-Nourrit et C., X920, p. 372. Fis. 10.
P. Dupont, Les- Problèmes de la Philosophie et leur enchaînement scientifique - Le donné et ¡’objectif. Paris, F. Alcan, 1920, p. 386. Frs. xo.
A De Boüard, Le régime politique ci les institutions de Rome, au M. À. (1252-X347). Paris. E. De Boccard, X920, p. 362.
J. G. Frazer, Les origines magique de la royauté’ trad, par P. H. Loyson, Paris, P. Geuthner, «920, p. 359- F«- 25A. Van Gennep, L’étal aeluel du problème totémique. Paris, E. Leroux, 1920, p. 363.
Ch. Dentan, Paroles et faits. Paris, Fischbacher. 1920, p. 152- Fr. 3,50.
Fr. Jammes, bon Dieu che: Ics enfanls. Illusir. de Mme Franc-Nohain. Paris, Plon-Nourrit et C. 1921, p. 47Il noxnc dell'autore e lo spirito che anima l'opera sono, senza eccezione di sorta, tali da imporsi; eppure il lavoro, a nostro avviso, non è riuscito. Dal titolo e dall’indice facilmente si rileva l'assunto del!'A.: esprimere il senso della divinità qual si rileva nei bimbi e mostrar loro che cosa sono la fede, la speranza, la carità. Per la prima parte l'A. à voluto, mediante otto piccoli bozzetti, esprimere le otto beatitudini e fare altrettanto per le tre virtù cosidette teologali, sennonché invece di far vivere nei bimbi il divino in questa forma, à espresso nella maggior parte dei casi un cosi triste e penoso senso della vita che io non so più qual bimbo si sentirà il coraggio di essere tra quei beati o di invidiarli! Un'umanità malvagia, prepotente e stolida sembra gravare intorno alle picciolette anime c contendere loro il sorriso e la gioia nel nome di una fredda formalità superstiziosa. Vi è, è vero, qualche eccezione— forse la sesta beatitudine, la speranza c la carità e forse .un paio ancora, ma più o meno discutibilmente — lo spirito però è nel senso che ho detto: invece sopratutto per i piccoli occorre rendere il cristianesimo gioioso c per essi più che per noi mostrare che si può servire Dominum in laclitia!
P. Bourget, L'écuyèrc. Paris, Plon-Nourrit et C. «9=«. P- 3««- Fre- 7,50.
A. Cochin. Ara sociétés de pensée et la démocralie. Paris, Plon-Nourrit et C., 1921. p. 300. Fra. 7,50.
M. Pernot, L'épreuve de la Pologne. Paris, Plon-Nourrit et C., 1921, p. 311. Fra. 7,50.
R. A. Nicholson, Sludies in Tslamic Poelry. Cambridge University Press, X92X, p. 300. Sc. 26.
Vittorio Macchioro, La Federazione degli Sludenfi per la Coltura religiosa; problemi di cultura cristiana. Roma, • La Speranza », p. 43. L. 1,50.
E un opuscolo che è parso opportuno al professore Macchioro e ad alcuni suoi amici di pubblicare. com'egli dichiara nella prefazione, non per affermare una qualsiasi volontà di spingere la Federazione verso un ecclcsiasticismo pernicioso ed assurdo, bensì per agitare alcuni problemi che possono interessare tutte le coscienze cristiane per la formazione di una più consapevole cultura secondo lo Spirito di Gesù.
A. A. Robb, The absolule rclations of lime and spacc. Cambridge University Press, «921. p. 80 Sc. 5.
G. Duhamcl, Elégies. Paris, Mcrcure de Franco, «920, p. 104. Fra. 5.
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BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO
231
T. R. Glover. Jesus in the experience of Men. London, Stud. Christian. Mov., 1921. p. xn-258. Se. 6.
Lucrèce, De la Nature, textc ¿cabli et trad, par A. Ernout, Paris, soc. d'ed. • Les belles left res », 1920, vol. 1 e li, p. 290. Frs. io.
N. Miklem, A first century letter being an exposition of Paul's first Epistle to the Corinthians. London, Stud. Christ. Mouvem., 1920, p. 1x2. Sc. 3.6.
The Book of Job ,ils origins, growth and Interpretation together whith a new translation based on a revised Text by Morris Jastrow. London, J. B. Lippincott Comp., 1920, p. 368. Doll. 4.
T. Nediani, La fiorita francescana, vol. I: La prosa. Milano ■ Vitae Pensiero», 1921, p. XXH-49X. L. 18.
E. Baumann, Colui che deve espiare. Milano, « Vita c pensiero», 1921, p. 429. L. 9,75.
G. Toniolo, Scritti scelti a cura di F. Meda. Milano «Vita c pensiero», 1921, p. 261. L. io.
F. Olgiati, Uomini piccoli e uomini grandi. Milano «Vita c pensiero», 1921, p. 304. L. 8.
U. Ojetti, Confidenze di pazzi e savii sui tempi che corrono. Milano, F.ili Treves, 1921, p. 205.
Anche queste pagine dell'Ojetti sotto forma narrativa, in quadretti semplici, con schizzi facili, non sono altro che una satira della società
attuale, del dopo guerra, delle violenze e dell debolezze contemporanee. È strano come tutti ’ migliori spiriti siano ormai d’accordo su questa cancrena sociale che pute ed ammorba e nessuno nè individualmente, nè collettivamente -abbia poi il coraggio di estirparla. A meno che il ridere e il sorridere dei nostri mali non nasconda la reale superiorità del malato che sa di poter guarire curandosi a tempo e a dovere...
G. Paure, Pèlerinages iTItalie, au pays de Saint Fr. d‘Assise et de Sainte Catherine de Sienne. Paris, Perrin et C., 1921, p. 128.
Meravigliose pagine su Assisi c Siena e, di passaggio, su Perugia e Montcfalco, scritte conio sanno scrivere i Francesi, forse un po' esagerate nel sentimento della bellezza dei nostri luoghi c delle nostre opere d’arte, che appaiono perciò manierate, mentre non lo sono. Il Faure coglie veramente la sostanza dell’anima nostra quando vede la devozione esteriore c formalista del nostro popolo (p. 21), ma non sempre sente l'unicità della nostra vita d’un tempo che fu tutta una bellezza anche nella sua esplosione sentimentale e religiosa, e perciò gli sfuggono alcuni lati caratteristici di S. Francesco e di S. Caterina. Del resto, buon libro, cui la grazia di belle illustrazioni adornano e fanno amare per tenere compagno ai vagabondaggi artistici per il nostro paese, non mai abbastanza profondi c forse perciò sempre nuovi.
Il Lettore.
ROCCO POLESE, gerente responsabile.
Roma - Tipografia dell* Unione Editrice (Grafìa) - Via Federico Cesi, 45
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Pel Centenario Dantesco
Concorso artistico a premio
La Rivista di Studi Religiosi BILYCHNIS all’intento di contribuire in qualche modo, sia pur modestamente, alla celebrazione del Centenario Dantesco, bandisce un Concorso artistico sui seguenti versi della Divina Commedia che fanno parte della ispirata parafrasi del Padre nostro, la preghiera che è stata sempre ed universalmente giudicata la preghiera principe:
Dà’ oggi a noi la cotidiana manna senza la qual per questo aspro diserto a retro va chi più di gir s’affanna.
(Purg., xi, 13-15)
Questi versi che hanno un grande valore spirituale e rispondono al bisogno del momento presente, permettono, se non c’inganniamo, una raffigurazione artistica che può essere ricca di elevazione e di afflato evangelico.
II lavoro può essere eseguito con qualsiasi tecnica, ma ad un sol colore.
Le dimensioni minime del disegno • debbono essere di cm. 19 x 27, o, se maggiori, proporzionali a queste.
Termine ultimo della consegna dei lavori: 32 maggio 1921.
Ogni lavoro dovrà essere contrassegnato da un motto, che verrà ripetuto suU’esterno di una busta contenente il nome e l’indirizzo dell'Autore ed essere rimesso raccomandato entro il termine suddetto alla Direzione della rivista « Bilychnis », via Crescenzio, 2 - Roma (33).
Una commissione composta di due artisti e di un rappresentante della Direzione della rivista, dei quali si faranno conoscere a suo tempo i nomi, esaminerà i lavori, ed all’A. di quello giudicato migliore sarà assegnato un premio di L. 500 (cinquecento). 11 lavoro rimarrà di proprietà della Casa editrice « Bilychnis » e verrà pubblicato in un fascicolo della rivista insieme con la relazione della giuria, salvo ad essere adoperato in seguito per altra sua pubblicazione. All'A. verranno date 20 copie gratuite delle tavole pubblicate la prima volta.
I lavori non premiati saranno restituiti dietro richiesta dell’A. fatta pervenire entro il 1921.
Roma. 15 marzo 1921.
La Direzione della Rivista BILYCHNIS.
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BILYCHNIS
RIVISTA MENSILE ILLUSTRATA DI STUDI RELIGIOSI • • •
VOLUME XVI.
ANNO 1920 - II. SEMESTRE
(FmckoIì Luglio-Dicembre. I-VI)
ROMA
VIA CRESCENZIO, 2
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INDICE PER RUBRICHE
ARTICOLI.
Arcari Paolo: Rappresentazioni e<l intuiti del divino in G. Previati, p. 165.
Brauzzi Umberto: La bufera (Analisi di un solitario della politica), p. 89.
Id.: La contraddizione di domani, p. 428.
Brunelli Bruno: Bernard Shaw e la religione, p. 433.
Corso Raffaele: Folklore biblico, p. 23.
Formichi Carlo: La dottrina idealistica delle « Upanishad », p. 1.
Id.: Paul Deussen, p. 417.
Giulio Benso Luisa: Sofia Bisi Albini, p. 109.
Momigliano Felice: L’educazione religiosa di G. Mazzini, p. 15.
Nazzari Rinaldo: L’esistenza di Dio e il problema de) male, p. 99.
Pettazzoni Raffaele: Il problema de) zoroastrismo, p. 177.
Provenzal Dino: Gocce d’un mare ignoto, p. 38.
Id.: I) rosario di corallo, p. 196.
Id.: Il libro del collare, p. 353.
Puglisi Mario: Misteri pagani e mistero cristiano, p. 372.
Renda Antonio: La teoria psicologica dei valori, p. 280, 356.
Salvatorelli Luigi: Il pensiero del Cristianesimo antico intorno allo Stato dagli apologeti ad Origene, p. 264, 333Soter: Giosuè Borsi e il cardinale Matti, P- 253Tilgher Adriano: Il tempo e l’eternità, P- 245.
PER LA CULTURA DELL’ANIMA.
Billia Michelangelo: Via e Verità, p. 203. Della Seta Ugo: Il valore della vita - La saggezza, p. 120.
Farinelli Arturo: Paul Gerhardt (un cantore di Dio e della pura fede evangelica), p. 389.
Jòergensen Johannes: Verità e amore, p. 442.
Rauschenbusch Walter: La preghiera di amore di S. Paolo, p. 44.
Wagner Carlo: Chi vi ascolta mi ascolta, P- 45Id.: La poesia - Il sacrificio - Governare, p. 299.
Id.: Caratteri cuscinetto, p. 443.
NOTE E COMMENTI.
Cento Vincenzo: Per l’cducàzionc nazionale, p. 55.
Id.: Vita scolastica, p. 217.
Id.: Il IV congresso italiano di filosofia, p. 396.
Cervesato Arnaldo: Roosevelt e l’Italia, P- 52-
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IV
BILYCHNIS
Costà Giovanni:, Sensualismo religioso, P- 45°I! Convegno internazionale ¿iella Federazione studenti per la coltura religiosa -Il convegno dell’alleanza mondiale per l'unione dei cristiani por mezzo delle chiese, p. 309.
La Chiesa ortodossa in Russia secondo Bie-linskii, p. 307.
La crisi spirituale di Giovanni Rapini* P- 3°5Marussi V;: Mattia Piaccio (Un istriano campione della Riforma), p. ’50.
Murri Romolo: Il P. P. I. - Il socialismo (risposta a Q. Tosai ti), p. 400.
Persi Guglielmo: La religione della terra (a proposito di « Religione e bolscevismo » di E. Troubetz^oi), p. 205.
i° Congresso Evangelico Italiano, p. 401.
Rutili Ernesto: Internazionalismo cristiano p. 211.
Vinciguerra Mario: W. Booth e la • Salva-tion Army », p. 445.
••♦Il Convegno di Lambeth e la stampa, p. 449.
CRONACHE.
Tosatti Quinto: Politica Vaticana e azione cattolica, p. 60, 123, 221, 312, 452.
Id.: Vita ecclesiastica e spirituale, p. 402.
PROFILI.
Tilgher Adriano: Miguel de Unanumo, p. 127.
RASSEGNE.
Corso Raffaele: Etnografia e Folk-lore, p. 227.
Fra chiese e cenacoli, p. 136, 475.
M.: Filosofia morale, p. 131, 315.
Puglisi Mario: Storia e psicologia religiosa, P- 67, 459.
r. e p.: Studi biblici, p. 405.
FRA LIBRI E RIVISTE.
I libri.
Alfaric Prosper: Les écritures manichéennes, p. 460.
Anile Antonino: Nella scienza e nella vita., p. 484.
Anthologie protestante française, p. 147. Arcari Paolo: La faccia che non capisce, p. 162.
Bellucci Giuseppe: Folk-lore di guerra, pagina 227.
Bcnder H. R.: Dewils: Bible Pagan, or thè Problem of Evil, p. 465.
Berkeley Giorgie: Saggio di una nuova teoria della visione, p. 159.
Bemouilli C. A.: Vorgeschichte und Jugend der inittclalterlichen Scolasti!:, p. 67.
Bertrand L.: S. Agostino, p. 482.
Bonavia C.: La tenda e la notte, p. 84.
Bontoux G.: G. B. Veuiilot, p. 318.
,Bersi Giosuè: Le confessioni a Giulia, p.327.
Bozzano Ernesto: Delie apparizioni di defunti al letto di morte, p. 82.
Buonaiuti Ernesto: S. Girolamo, p. 462.
Buoso A.: Il Machiavelli nel concetto del Fichte, p. 331.
Cadière L.: Croyances et pratiques religieuses des Annamites dans les environs de Hué - Les pierres, p. 67.
Calderóni Aristide: La bibliografia della papirologia, p. 324.
Cardile E.: Il poema di Stéphane Mallarmé, P- 163Carpenter J. Estlin: 11 posto del cristianesimo fra le religioni, p. 242.
Carter G. W.: Zaroastrianism and Judaism, p. 462. * •
85
INDICE PER RUBRICHE
V
Caiani T.: Gli Ariani (romanzo storico-religioso), p. 413.
Cavaliere F.: Thesaurus doctrinac catho-licae ex documents magistcrii ecclesiastici, p. 332.
Chappuis P. G.: L’agnosticisme religieux (Essai sur l’antagonismo entro la science et la Religion dans la pensée moderne), p. 68.
Corson Hiram: Spirit Messages with an introductory Essay on spiritual vitality, P- 163.
Damerini G.: Amor di Venezia, p. 483.
D’Annunzio Gabriele: La Crociata degl'innocenti, p. 241.
De Hoyos y Vinent A.: I sonagli di Madama Follia, p. 331.
Delattre Floris: La pensée de I. H. Ncw-mann, p. 319.
De Lujan A.: L’intime parole, p. 83.
De Meyer A.: Les premières controverses jansénistes en France, p. 68.
Dentice di Accadia Cecilia: Il razionalismo religioso di E. Kant, p. 131.
De Ruggero Guido: Storia della filosofia contemporanea, p. 133.
Dini O.: Vita c sogno, p. 164.
Eberhardt P.: Religionskundc, p. 413.
Elliot Hugh: Modern science and materialism, p. x6i.
Eraclito di Efeso: Frammenti, p. 159.
Fan tulli G. Dario: Sul limite dell’ombra,
P- 85-..
Ficacci I.: Perchè la vita è eterna, p. 243.
Flammarion Camille: La mort et son mystère. Avant la mort, p. 240.
Frager J. G.: Folklore in the old Testament and Law, p. 459.
Gallarati Scotti Tommaso: Vita di Antonio
Fogazzaro, p. 132.
Gardner Percy: Evolution in Christian Ethics, p. 463.
Gentile Giovanni: Discorsi di religione, P- 315Giullari di Dio: Canti scélti èd annotati da A. Mòri, p. 482.
Goyau Georges: L’Eglise libre dans l’Europe libre, p. 409.
Gray Ezio M.: Come Lenin conquistò la Russia, p. 331.
Grilli A.: Aspètti del passato, p. 85.
Griselle E.: Œuvres complètes de Bourda-louc, par E. Griselle, p. 85.
Grierson Francis: Modern Mysticism and other essays, p. 72.
Gualtieri Fr. M.: Canti della solitudine, p. 483.
Harris Rendei: Testimonies, p. 67.
Hegel G. W. F.: Einführung in die Phacno-menologie des Geistes, p. 232.
Heinemann Karl: Die tragischen Gestalten der Griechen in der Weltliteratur, p. 474.
Holmes Edmond: The secret of happiness or salvation through growth, p. 316.
Il Protcvangelo di Jacopo, p. 159, 404.
Jackson H. Latimer: The problem of the fourth Gospel, p. 463.
Jacobs Joseph; Jewish contributions to Civilisation. An estimate, p. 149.
Janni Ugo: Il culto cristiano rivendicato contro la degenerazione. romana, p. 243.
Kennedy I.: S. Thomas Aquinas and medieval philosophy, p. 158.
Klein F.: Noces chrétiennes. Allocutions nouvelles pour mariages, p. 163.
Konopnicka M.: Italia, p. 240.
Lasbax Emil: Le problème du mal, p. 73.
Lettere di San Girolamo, a cura dei pp. Gi-rolamini, p. 482.
Levi Elifas: Il libro degli splendori,.p. 414.
86
VI
BILYCHNIS
Locke Giovanni: Epistola sulla tolleranza (trad, c studio introduttivo del dr. Francesco A. Ferrari), p. 240.
Mainage T.: Les témoins du renouveau catholique, p. 414.
Meda Filippo: Terra Santa, p. 243.
Meyer Erich W.: Staats-Theorien Papst Innocenz' III, p. 463.
Michel Ernst: Der Weg zum Mythos, P- 4MMonti Gennaro Maria: Un laudario umbro quattrocentista dei Bianchi, p. 473.
Montier F..: L'âme de France, p. 416.
Morabito Francesco: Il misticismo di Giovanni Pascoli, p. 474.
Mugnier G.: Les * Racines »; aux fils des paysans de France, p. 416.
Muller Victor Alphons: Luthers Vcrdegang bis zum Turmerlcbnis. p. ’ 230.
Murri Romolo: Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare Italiano, p. 238.
Nazariantz Brand: Lo specchio, p. 244.
Ncyron Gustave: Le gouvernement de l’Eglise, p. 320.
Newlin Hebert N. G.: The relationship between the mystical and the sensible Worlds, p. 71.
Omero: Iliade (trad, c annot. da N. Festa), P- 4*5Orano Paolo: La rinascita dell'anima, P- 317
Paladini Carlo: Lenin, p. 331.
Paldi E.: Per l'indipendenza dell'Egitto, p. 86.
Pascal Carlo: Scritti vari di letteratura latina, p. 242. ;
Pascucci R.: A spiritu fornicationis, p. 450.
Pastor Ludwig: Geschichte des Päpste seit dem Ausgang des Mittelalters.
VII Band: Geschichte der Päpste im Zeitalter der Katolischen Reformation und Restauration: Pius IV, p. 463.
Peraita J. M.: Historia de lascivilizaciónes antiguas, p. 4x6.
Id.: Historia de las civilización en la edad media, p. 415.
Pereis Ernst: Papst Nicolaus I und Anastasius Bibliothecarius, p. 463.
Pcreyra Guido: Il libro del’ collare, p. 353.
Feritore G.A.: La poesia di G. A. Cesareo, p. 243.
Plonij D.: De Chronologie van het leven van Paulus, p. 462.
Poynter J. W.: Rome, Christendom and a Icaguc of Churches, p. 69.
Prezzolini Giuseppe: Vittorio Veneto, p. 84..
Id.: Uomini 22 c città 3, p. 331.
Provenzal Dino: La passeggiata di Bardatone, p. 241.
Raccolta di opere destinate all'educazione sessuale, p, 86.
Renaud A.: Sai n te Jeanne d’Arc, p. 164.
Rcnsi Giuseppe: Lineamenti di filosofia scettica, p. 321.
Roland Romain: Les précurscurs, p. 83.
Rosthorn A. V.: Das Soziale Leben der Chinesen, p. 476.
Sagcret Jules: La vague mystique, p. 80. Schleiermacher F. D. E.: Monologhi, p. 159. Seibel Giorgio: The Mormon Saints - The
Story of Joseph Smith, his golden Bible and thè Church he founded, p. 68.
Slonim M.: Spartaco c Bela Kum, p. 331.
Sorley W. R.: Moral Walnes and thè Idea of God, p. 465.
Stange Carl: Die Ethik Kants, p. 474.
87
INDICE PER RUBRICHE
VII
Steiner Rudolf: i punti essenziali della questione sociale nelle necessità vitali del presente e dell'avvenire, p. 155.
Tarantino G.: La politica eia morale, p. 160. Tharaud J.mc et J.n: Marakcch ou Ics seigneurs de l’Atlas, p. 416.
Trac Gonzaguc: Le retour à la scolastiquc, P- »33•
Unanumo (de) Miguel: Il fiore dei miei ricordi. p. 244.
Wilm A.: Il rosario di corallo, p. 196.
Wood Francis: Sufferingand Wrong, p. 72.
Le riviste.
Alfa,rie Prosper: Sulla scoperta di un manoscritto manicheo in latino, p. 459.
Andrews H. M.: Religione come relazione personale, p. 71.
Cook F.: Il misticismo di Laotzc, p. 460.
Costa Giovanni: Politica e religione nel? l’impero romano, p. 75.
Drci Giovanni: Studi sul card. Ercole Gonzaga presidente dei Concilio di Trento, p. 81.
Fenn H.i.La religione della Cina moderna, p. 328.
Gaun Tommaso W. F.: Vestigia e tradizioni dei Maia, p. 228.
Lalo E.: Arte e religione, p. 134.
I-a Piana Giorgio: La Chiesa Romana e la moderna Democrazia italiana, p. 75.
Lods Ad.: L’Università di Strasburgo, p. 465.
Lombardi-Satriani Raffaele: La leggenda del Ciclopc, p. 228.
Karr Surendra: La religione dei Sikhi, p. 460.
Manning Gordon Ruth: Two contrasting attitutes towards Evil, p. 73.
Salvatorelli Luigi: Le presunte affermazioni di primato della Chiesa Romana nei primi tre secoli, p. 470.
Sarkar B. K.: Confucianismo, buddismo e cristianesimo, p. 460.
Shams-ul-Ulma: L’iniziazione dei sacerdoti parsi, p. 229.
Sizeranne (de la) Robert: L’arte religiosa nei saloni di Parigi nel 1920, p. 135.
Vidoni G.: Delinquenza in tempo di guerra, P- 324Walter Leslie J.: Il tempo, l’eternità e Dio, p. 465.
Wilson R. K.: Umanismo, un'esperienza religiosa, p. 464.
88
INDICE GENERALE
Agnosticismo: A. religioso, p. 68.
Al fa ri e Prospcr, p. 459.
Amuleti: A. bellici, p. 227.
Andrews H. M., p. 71.
Anile Antonino, p. 484.
Arcali Paolo, p. 162, 165.
Army », p. 445.
Arte: A. e religione, p. 134: A. sacra, p. 135; Rappresentazioni ed intuiti del divino in Gaetano Previa* i, p. 165.
Baynes Hamilton, p. 70.
Begbic Harold, p. 446.
Bellucci Giuseppe, p. 227.
Benedetto XV: Un profilo tedesco di B. XV, P- 4571 Bender H. R.. p. 465.
Berkeley Giorgio, p. 159.
Bernouilli C. A., p. 67.
Bertrand L., p. 482.
Bibbia: Studi biblici: Un curioso vangelo apocrifo, p. 405.
Billia Michelangelo, p. 203.
Bisi Albini Sofia, p. 109.
Bolero Rita, p. 141.
Bonavia C., p. 84.
Bontoux G., p. 318.
Booth William: W. B. 6 la «Salvation
Borroughs E. A., p. 70.
Borei Giosuè: G. B. e il cardinale Maffi, p. 253; Le « Confessioni » di G. B., p. 327.
Bozzano Ernesto, p. 82.
Brauzzi Umberto, p. 89, 428.
Bruco Rosslyn, p. 70.
Brunetti Bruno, p. 433.
Bubcr M.. p. 142.
Buddismo: Confucianismo, B. e Cristianesimo, p. 460.
Buonaiuti Ernesto, p. 462.
Buoso A., p. 331.
Cadièrc L., p. 67.
Caldcrini Aristide, p. 324.
Camerini D., p. 144.
Campbell R. J., p.
Cardile E., p. 163.
Carpenter Estlin J., p. 242.
Carter G. W., p. 462.
Caiani T., p. 413.
Cavaliere F., p. 332.
Cento Vincenzo, p. 55, 217, 396.
Cervesato Arnaldo, p. 52.
Chappuis P. G., p. 68.
Ciclopc: La leggenda del C., p. 228.
Colajanni N., p. 142.
Confucianismo: C., buddismo e cristianesimo, p. 460.
Cook F., p. 460.
Corso Raffaele, p. 23, 227.
Corson Hiram, p. 163.
Costa Giovanni, p. 75, 83, 327, 413, 415.
450, 467.
Damerini G., p. 483.
D’Annunzio Gabriele, p. 241.
De Hoyos y Vinent A., p. 331.
Dclattrc Floris, p. 319.
Del Giudice A., p. 142.
Delisle Burns C., p. 479.
Della Seta Ugo, p. 120, 158, 160.
De Lujan A., p. 83.
De Meyer A., p. 68.
Dentice di Accadia Cecilia, p. 131.
De Ruggero Guido, p. 133.
Deussen Paul, p. 417: Ritratto di P. D.. tre le pag. 420 e 421.
Dini O., p. 164.
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INDICE GENERALE
IX
Dio: L'esistenza di D. e il problema del male, p. 98; Rappresentazioni ed intuiti del divino in Gaetano Previati, p. 165.
Draussin H., p. 141.
Drei Giovanni, p. 81.
Eberhardt P., p. 413.
Ebraismo: La possibilità di un orientamento dell’ebraismo per il Suo rinnovamento spirituale verso il cristianesimo, p. 142; Il contributo ebraico alla civiltà, p. 149.
Elliot Hugh, p. 161.
Eraclito di Efeso, p. 159.
Fabbricotti C., p. 142.
Falchi Roberto, p. 309.
Fanfulli G. Dario, p. 85.
Fenn H., p. 328.
Ferretti Gino, p. 80.
Ficacci I.. p. 243.
Filosofia: F. Morale (La religione razionale di Kant - A. Fogazzaro e il modernismo - Il neo-scolasticismo italiano -Il ritorno alla scolastica - Arte e religione - Arte sacra), p. 131; Il tempo e l’eternità, p. 245; La teoria psicologica dei valori, p. 280, 356; F. religiosa (Idealismo attuale e religione - Il segreto della felicità - La rinascita dell’anima - Polemiche cattoliche - Il pensiero di Ncw-mann - La chiesa c la libertà - Antidogmatismo), p. 3x5; Il IV congresso italiano di F., p. 396; A proposito dello « Scetticismo • di G. Rensi, p. 467.
Flacio Mattia: M. F., un istriano campione della Riforma, p. 50.
Flammarion Camillo, p. 240.
Flinders Petrie U. M„ p. 70.
Fogazzaro Antonio: A. F. e il modernismo, p. 132.
Folklore: F. biblico, p. 23: Etnografia c Folk-lore (Amuleti bellici - Vestigia e tradizioni dei Maia - La leggenda del Ciclope - L’iniziazione dei sacerdoti parsi), p. 227.
Formichi Carlo, p. 1, 417.
Frazer I. G.. p. 459Gallarati Scotti Tommaso, p. 132.
Gardner Percy, p. 463.
Gaun Tommaso W. F., p. 228.
Gentile Giovanni, p. 315.
Gerhardt Paul: P. G. un cantore di Dio e della pura fede evangelica, p. 389.
Giansenismo, p. 68.
Girard H.» p. 136.
Giulio Benso Luisa, p. 109.
Goyau Georges, p. 409, Gray Ezio M., p. 331. Grierson Francis, p. 72.
Grilli A., p. 85.
Griselle E., p. 85.
Gualtieri Fr. M., p. 483.
Harris Rendei, p. 67.
Hegel G. W. F., p. 332.
Heinemann Karl, p. 474.
Holmes Edmond, p. 3x6.
Internazionalismo: I. cristiano, p. 211.
Jackson H. Latimer, p. 463.
Jacobs Joseph, p. 149.
Jalla Corrado, p. 81.
Janni Ugo, p. 243.
Joergensen Johannes, p. 442.
Kant Emanuele: La religione razionale di E. K„ p. 131.
Karr Surendra, p. 460.
Kennedy I., p. 158.
Klein F., p. 163.
Konopnicka M., p. 240.
Lalo E., p. 134.
Laotze: Il misticismo di L., p. 460.
La Piana Giorgio, p. 75.
Lasbax Emil, p. 73.
Lattes Dante, p. 149.
Leibnitz: L. e l’unione delle Chiese, p. 144.
Levi Elifas, p. 414.
Locke Giovanni, p. 240.
Lods Ad., p. 465.
Lombardi-Satriani Raffaele, p. 228.
Lutero: La formazione di L. fino all’« Esperienza della Torre », p. 230.
Maia: Vestigia e tradizioni dei M„ p. 228.
Mainage Th., p. 414.
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X
BILYCHNIS
Male: I) problema del M., p. 72, 465; L’esistenza di Dio e il problema del M., p. 98.
Manicheismo, p. 459.
Manning Gordon Ruth, p. 73.
Marnicchi P., p. 144.
Marussi V., p. 50.
Mazzini Giuseppe: L'educazione religiosa di G. M., p. 15.
Meda Filippo, p. 243.
Meyer Erich W., p. 463.
Michel Ernst, p. 414.
Miroglio A., p. 144.
Mistero: Misteri pagani e M. cristiano,
P- 373Misticismo, p. 71.
Modernismo: A. Fogazzaro e il M., p. 132.
Momigliano Felice, p. 15.
Monti Gennaro Maria, p. 473.
Montier E., p. 416.
Morabito Francesca, p. 474.
Morale: Politica e M., p. 160.
Mormonismo, p. 68.
Mugnier G., p. 416.
Müller Vittorio Alfonso, p. 230.
Murri Romolo, p. 238, 400, 455.
Nazariantz Hrand, p. 244.
Nazzari Rinaldo, p. 99.
Newlin Hebert N. G., p. 71.
Neyron Gustave, p. 320.
Orano Paolo, p. 317.
Paladini Carlo, p. 331.
Paldi E., p. 86.
Papini Giovanni: La crisi spirituale di
G. P.. p. 305.
Parsismo: L’iniziazione dei sacerdoti parsi, p. 229.
Pascal Car’o, p. 242.
Pascucci R., p. 450.
Pastor Ludwig, p. 463.
PatshofI Ed., p. 475.
Pedagogia: Per l’educazione nazionale, p. 55; Vita scolastica, p. 217.
Peraita J. M., p. 416.
Perels Ernst, p. 463.
Pereyra Guido, p. 353.
Feritore G. A., p. 243.
Persi Guglielmo, p. 205.
Pettazzoni Raffaele, p. 177.
Plonij D., p. 462.
Politica: P. vaticana c azione cattolica, p. 60, 123, 221, 312, 402. 452; P. e morale, p. 160; Internazionalismo cristiano, p. 211; La P. estera del Vaticano, p. 312; P. e storia ecclesiastica, p. 409.
Poynter J. W., p. 69.
Previati Gaetano: Rappresentazioni ed intuiti del divino in G. P., p. 165.
Prczzolini Giuseppe, p. 84, 331.
Provenzal Dino, p. 38, 196, 241, 353. Foglisi Mario, p. 67, 372, 459.
Quadrotta Guglielmo, p. 144. Rauschenbusch Walter, p. 44. Razionalismo: La religione razionalo di E. Kant, p. 131.
Religione: L'educazione religiosa di G.< Mazzini, p. 15: Storia e psicologia religiosa (rassegne), p. 67, 459; La R. razionale di E. Kant, p. 131; Arte e R., p.134: La R. della terra (a proposito di R. e bolscevismo di E. Troubetzkoi), p. 205: Filosofia religiosa (rassegna), p. 315; La R. delia Cina moderna, p. 328; Bernard Sha we la R., p. 433; Sensualismo religioso, p. 450; Un apostolo moderno d’una R. antica (a proposito dello • Scetticismo -di G. Rensi), p. 467.
Renan Ernesto, p. 136.
Renaud A., p. 164.
Renda Antonio, p. 280, 356.
Rensi Giuseppe, p. 321, 467.
Riforma: Mattia Flacio, un istriano campione della R., p. 50; La formazione di Lutero sino all’« Esperienza della torre -, p. 230; Paul Gerhardt, un cantore di Dio e della pura fede evangelica, p. 389.
Rolland Romain, p. 83.
Roosevelt Teodoro: R.ke l’Italia, p. 52.
Rossi Mario, p. 230.
Rosthorn A. U., p. 476.
Rostovtzefl Michele, p. 137.
Rutili Ernestp, p. 211.
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INDICE GENERALE
XI
Sagcret Jules, p. 80.
Salvatorelli Luigi, p. 264, 333, 413, 470.
Sarkar B. K., p. 460.
Scetticismo: A proposito dello « S. » di G. Rensi, p. 467.
Schleiermacher F. D. E., p. 159.
Schwarz Lina, p. 155, 322.
Scolastica: Il neo-scolasticismo italiano, p. 133: Il ritorno alla S., p. 133.
Seibel Giorgio, p. 68.
Shams-ul-Ulma, p. 229.
Shaw Bernardo: B. S. e la religione, p. 433.
Sikhismo, p. 460.
Sizeranne (de la) Robert, p. 135.
Slonim M., p. 331.
Soavi J., p. 147.
Sociologia: La tripartizione deH'organismo sociale secondo lo Steiner, p. 155; Internazionalismo cristiano, p. 211; La contraddizione di domani, p. 428; W. Booth e la « Salvatici! Army », p. 445.
Sorley W. R., p. 465.
Sottochiesa G-, p. 143.
Stange Cari, p. 474.
Steiner Rudolf, p. 155.
Storia del Cristianesimo: Mattia Flacio (Un istriano campione della Riforma), p. 50; La formazione di Lutero sino alla Esperienza della torre », p. 230; Il pensiero del Cristianesimo antico intorno allo Stato, dagli Apologeti ad Origene, p. 264, 333» La chiesa ortodossa in Russia
secondo Bielinskii, p. 307; Le presunti affermazioni di primato della Chiesa romana nei primi tre secoli, p. 470.
I Storia delle Religioni: La dottrina idealistica delle « Upanishad 0, p. 1; Mattia Flacio (Un istriano campione della Riforma), p. 50; Storia c psicologia religiosa (rassegne), p. 67, 459; Il problema dello Zoroastrismo, p. 177.
Tarantino G-, p. 160.
I Tharaud J.rae e J.n, p. 416.
■ Thompson W. R., p. 70.
I Tilgher Adriano, p. 127, 245.'
Tosatti Quinto, p. 60, 123, 221, 312, 400, 402, 409, 452.
Truc Gonzague, p. 133.
Tyrrell Giorgio, p. 137.
Unanumo (de) Miguel, p. 127, 244.
Upanishad: La dottrina idealistica delle • U. », p. 1.
Valli L.» p. 143.
Vidoni G., p. 324.
Vinciguerra Mario, p. 445.
Vita: Il valore della V., p. 120.
Wagner Carlo, p. 45, 299, 443.
Walter Leslie J., p. 465.
Waston Fostcr, p. 70.
Wilm A., p. 196.
Wilson R. K., p. 464.
’ Wood Francis, p. 72.
Zarathustra: Il problema del Zoroastrismo, P- 177Zoroastrismo: Il problema del Z., p. 177.
93
■ Il I ■ I—
Istituto per la propaganda delia cultura italiana
Campidoglio, 5 - ROMA - Telefono 78-47
Presidente Onorario: IL MINISTRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
Consiglio Direttivo
FERDINANDO MARTINI, Presidente — UBALDO COMANDINE Vice Presidente
A. F. FORMIGG1NI, Consigliere Delegato.
Commissione di Consulenza : Biagi - Cirincione - Corbino - Croce - Einaudi - Manzini
L’Istituto si propone di
intensificare in Italia o di iar nota alTestero la vita intellettuale italiana;
favorire il sorgere o Io svilupparsi di librerie, bibliotèche, scuole librario o d’arti grafiche;
promuovere traduzioni dello opero più rappresentative del pensiero italiano ;
istituire premi o borse di studio por scrittori, librai, artieri del libro;
diffondere largamente nei mondo lo suo pubblicazioni, tradotte in piu lingue, attuando con mezzi finora intentali un vastissimo piano, che, approvato da una commissione di eminenti personalità nominavi dai Ministro dell' Interno, avrebbe dovuto essere svolto sotto gli auspici del cessato Sottosogrctariato per la propaganda all’ Estero.
/ soci ricevono GRATIS:
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Rassegna per coloro che leggono. Supplemento mensile a tutti i periodici (Abbonamento annuo L. 5) è» le «OAJXXJjtì? ICS,,
ossia Profili Bibliografici delle singole materie, bilancio del contributo portato alla civiltà, negli ultimi decenni, dagli Italiani.
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Gli studenti, gli insognanti di qualunque grado, lo persone colto in generale, hanno l’obbligo morale e la massima utilità pratica a contribuire allo sviluppo di questa iniziativa ohe metterà in valore nel mondo il pensiero e il lavoro degli Italiani.
Gli industriali potranno fare annunzi sulla rivista e sulle altre pubblicazioni .dell'istituto. Se poi disporranno che questo siano mandato in dono in loro nomo alla loro clientela fruiranno di una speciale o gratuita pubblicità sulla copertina delle pubblicazioni stesse.
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94
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Abbiamo perciò voluto dare alle nostre pagine una nuova organizzazione di palpi* tante attualità; esse sono infatti venute in 'luce in bella veste tipografica secondo le esigenze della stampa moderna.
La nostra Rivista che ha larga diffusione nel nostro Paese è circondata da grande e viva simpatia al di là delle Alpi e dell’Oceauo e dà ampia garanzia di far conoscere dentro e mori i confini il nostro pensiero, la nostra arto, la nostra industria e il nostro commercio che riprendono la loro vita più che mai fiorenti e fervidi di fattive attività.
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